Non c’è settore dell’agroalimentare che non sia stato toccato dalla pandemia. A sei mesi dall'inizio della crisi sanitaria dobbiamo constatare, purtroppo, un pesante impatto anche sul comparto delle carni bovine italiane.
L'offerta nazionale, già in contrazione nel 2019 (-3,6%), accentua pesantemente la tendenza flessiva nel primo semestre del 2020, arrivando a far segnare un doloroso – 13,6% (cioè 48 mila tonnellate di carne in meno) rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.
Nonostante a questo trend si unisca anche una diminuzione delle importazioni (-8,1% nel semestre, la più importante oscillazione negativa degli ultimi tre anni) i prezzi pagati agli allevatori su base annua rimangono comunque inferiori a quelli dello scorso anno: dal -1% dei vitelloni al -7% del vitello.
Cosa è accaduto? A pesare è stata soprattutto la chiusura del canale Ho.re.ca durante il lockdown, che ha colpito tutta la filiera europea, portando un'importante riduzione dei consumi (dal 27% circa della Francia, passando al 35% dell'Italia, fino a oltre il 40% della Spagna). Un calo che ha trovato solo parziale compensazione nel buon andamento delle vendite presso il canale domestico.
A complicare ulteriormente il quadro anche la pressione competitiva del prodotto comunitario, proveniente in particolare da Polonia, Spagna, Irlanda e Francia, che nel periodo di massimo picco produttivo stagionale, si è trovato privato anche di importanti sbocchi sui mercati Extra Ue, riversandosi soprattutto in Italia, data la strutturale dipendenza dal prodotto estero e i prezzi interni più alti.