Riparte la battaglia del riso nel vecchio continente. Dopo uno stop durato dieci anni, la scorsa estate la Commissione europea ha ripreso i negoziati con l’India per la definizione di un accordo di libero scambio. E non è una notizia da poco, in quanto il gigante asiatico è il maggiore esportatore mondiale di riso e nei negoziati precedenti aveva avanzato la richiesta di prevedere diversi contingenti di importazione a dazio zero che, se fossero concordati negli attuali negoziati, ridurrebbero ulteriormente lo spazio commerciale per il riso Lungo B comunitario, già ridottosi a seguito delle continue concessioni daziarie da parte dell’Unione europea ai maggiori esportatori mondiali di riso.
Cosa dicono i produttori italiani
Immediata è giunta la replica dei produttori nostrani. Secondo l’Ente Nazionale Risi, “le richieste dell’India devono essere rigettate non solo perché questo Paese gode dell’esenzione del dazio per otto varietà di riso semigreggio Basmati, ma anche perché nel 2022 sul portale del sistema di allerta comunitario Rasff sono risultate ben 42 notifiche sul riso importato dall’India (28% del totale delle notifiche sul riso), a causa della presenza di agrofarmaci (thiamethoxam, triciclazolo, carbendazim e clorpirifos) il cui impiego non è consentito nell’Unione europea”. Un allarme non da poco.
Le implicazioni per la salute
Non più tardi di un paio di mesi fa nell’ambito del Comitato permanente per piante, animali, alimenti e mangimi (Scopaff) non è passata la proposta della Commissione europea di innalzare il livello massimo di residuo del triciclazolo dall’attuale valore di 0,01 mg/kg allo 0,09 mg/kg per il solo riso d’importazione. Ora la Commissione dovrà passare dal Comitato d’appello e, se dovesse ottenere la maggioranza qualificata, potrà adottare la proposta che rappresenterebbe un’autentica beffa per la filiera risicola comunitaria perché nell’Unione europea rimarrebbe il divieto dell’utilizzo del triciclazolo per la coltivazione del riso, mentre il riso di importazione, in particolare quello indiano, godrebbe di un limite di 0,09 mg/kg.
Non è da trascurare anche il fatto che a settembre 2020 l’India ha inoltrato alla Commissione europea la richiesta per il riconoscimento dell’Igp “Basmati”. “In punto di diritto la richiesta indiana doveva addirittura essere considerata irricevibile, ma sta di fatto che, invece, è ancora operativa e, qualora riuscisse ad andare in porto, verrebbe presa in considerazione negli attuali negoziati con il rischio più che concreto di un accesso illimitato nel mercato dell’Ue a dazio zero per il riso Igp Basmati indiano”, prosegue la nota dell’Ente Nazionale Risi.