Non è certamente un iter tranquillo quello che sta affrontando il dossier sulla riforma del biologico in Europa, il cui esame tecnico è iniziato con la presidenza greca e sta continuando sotto quella italiana. L’intenzione manifestata dalla Commissione europea, con questo provvedimento, è quella di elevare gli standard di qualità degli alimenti biologici fissando soglie sulla presenza di pesticidi o di coadiuvanti nel prodotto e imponendo l’etichettatura, di semplificare la legislazione, di impostare regole armonizzate per rafforzare il settore e di garantire una maggiore apertura al mercato internazionale. Sulla riforma, però, l’Europa è spaccata in due.
L’Italia, decisamente favorevole, ha enormi interessi nel settore: il nostro Paese è tra i leader europei e mondiali nelle coltivazioni biologiche. Dall’analisi dei dati forniti al ministero delle Politiche agricole dagli Organismi di controllo operanti in Italia al 31 dicembre 2013, sulla base delle elaborazioni del Sinab, il Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica, risulta che gli operatori del settore sono 52.383 di cui 41.513 produttori esclusivi, 6.154 preparatori esclusivi (comprese le aziende che effettuano attività di vendita al dettaglio), 4.456 che effettuano sia attività di produzione che di preparazione, 260 operatori che effettuano attività di importazione. Rispetto ai dati riferiti al 2012 si rileva un aumento complessivo del numero di operatori del 5,4%. La distribuzione degli operatori sul territorio nazionale vede, tra le regioni con maggiore presenza di aziende agricole biologiche, in testa la Sicilia, seguita dalla Calabria; per il numero di aziende di trasformazione impegnate nel settore la leadership spetta invece alla Toscana, seguita da Emilia-Romagna e Puglia. Un settore, quindi, in forte crescita. Anche a livello internazionale. Nell’ultimo decennio la domanda di prodotti bio nella sola Unione europea è quadruplicata, mentre la produzione interna è raddoppiata. A beneficiare, però, dell'aumento dei consumi non sono stati soltanto i produttori europei, ma soprattutto quelli extraeuropei.
Di conseguenza, mentre alcuni Paesi, soprattutto quelli mediterranei, si aspettano una conclusione favorevole di questo spinoso iter comunitario, con l’Italia che vorrebbe portare a casa qualche risultato entro la fine del semestre di presidenza, dal Nord Europa spirano venti contrari. Diverse indicazioni puntano il dito sulla Germania, probabilmente spalleggiata (le cautele sono d’obbligo) da un gruppo di Paesi formato da Austria, Danimarca, Lussemburgo e Olanda, non disposti a compiere ulteriori passi in avanti in favore del rafforzamento della produzione biologica. Anche la posizione dei Paesi scandinavi è ambigua. Una contrarietà motivata anche dalla ventilata espansione delle importazioni dal mercato mondiale, le cui merci spesso hanno standard qualitativi non conformi alle rigide regole europee e soprattutto prezzi inferiori a quelli comunitari. Attualmente in Europa giungono prodotti biologici da 130 Paesi terzi con 70 diversi standard produttivi. I Paesi del Nord Europa, in sostanza, vogliono un sistema di norme molto flessibile, mantenendo le aziende miste, le deroghe sulle sementi e sulla zootecnia, preferendo una soglia di contaminazione accidentale da Ogm. Del resto alcune organizzazioni del nostro Paese denunciano le difficoltà già attualmente incontrate dagli esportatori italiani di alimenti biologici proprio in queste nazioni nordiche, che in genere contestano all’Italia, talvolta in modo pretestuoso, l'ampio ricorso all'uso di sementi convenzionali e a contaminazioni accidentali di fitofarmaci.
Le posizioni distanti erano nettamente emerse anche lo scorso 15 settembre a Bruxelles, nel corso dell’audizione pubblica sull’agricoltura biologica tenuta dal Comitato economico e sociale dell’Unione europea. Tema dell’incontro “L’avvenire della produzione biologica in Europa”. Nell’occasione, il rappresentante della DG Agricoltura, Joao Onofre, aveva dichiarato che “è tempo di ridurre al massimo la flessibilità delle norme di produzione, per garantire ai consumatori prodotti ottenuti al 100% con metodo biologico”. Ifoam, da parte sua, ha sottolineato la propria contrarietà alla proposta di regolamento elaborata dalla Commissione europea, in quanto carente sotto il profilo delle valutazioni di impatto che l’introduzione di un regolamento così modificato avrebbe sull’intero settore del biologico.
L’European Organic Certifiers Council ha messo in evidenza l’eccessivo ricorso agli atti delegati chiedendo il mantenimento sia delle norme attualmente vigenti in materia di etichettatura sia dell’annuale visita di controllo che gli Organismi di controllo eseguono sugli operatori del biologico. Tanti, quindi, i punti di frizione. Uno, particolarmente acceso, riguarda l’estensione del sistema di controllo in tutta la filiera alimentare, compresi i rivenditori, con la presidenza che in fase di compromesso ha proposto di escludere i dettaglianti che vendono soltanto prodotti alimentari confezionati per il consumatore finale. Una significativa novità nel testo di compromesso riguarda la reintroduzione del principio di “equivalenza” rispetto a quello di “conformità”, previsto dalla proposta originaria della Commissione, che avrebbe obbligato i Paesi terzi a produrre secondo norme conformi alla regolamentazione comunitaria. Un’altra questione spinosa interessa le aziende cosiddette “miste”, cioè che praticano sia il metodo biologico sia quello convenzionale nella stessa unità produttiva. L’eventuale proposta di conversione di tutta l'azienda al solo metodo biologico potrebbe indurre molti operatori ad abbandonare l'agricoltura biologica. Ecco perché la gran parte degli Stati membri si è espressa a favore del mantenimento in regime “misto”.
Altro tema: l’introduzione di nuove regole per l'utilizzo del logo Ue, per il quale si pensa a prodotti con una soglia quasi totale di ingredienti biologici. Tra gli altri punti, il periodo di conversione, attualmente previsto dal regolamento (CE) n 834/2007. le deroghe previste dall'attuale legislazione, la soglia di contaminazione su alimenti bio per le sostanze non consentite, quali ad esempio i fitofarmaci. Phil Hogan, neocommissario europeo all’Agricoltura, ha comunque dichiarato che non vuole ritirare la proposta dell’Esecutivo di Bruxelles (come forse auspicherebbe la Germania), frutto di una complessa mediazione tra la Commissione europea e gli Stati membri, pur essendo pronto ad apportarvi delle modifiche. Il conto alla rovescia è appena cominciato.