Era la Campania Felix, terra fertile, vulcanica, ricca di acque e di produzioni di altissima qualità. Territorio dove mangiare bene è sempre stato un dovere: nel 2011 – come ricorda Gianluca Abate in “Pomodoro Flambé” – la Campania è stata la regione in cui la spesa alimentare è risultata la più alta d’Italia, 558 euro a famiglia, contro i 491 della Lombardia e i 481 del Piemonte.
Poi è arrivato l’infamante marchio “Terra dei fuochi”, copyright di Legambiente del 2003. Titolo utilizzato da Roberto Saviano, nel 2006, per l’ultimo capitolo del suo “Gomorra”. Un’etichetta associata al business dei rifiuti (“Ma quale droga, la vera miniera d’oro sono i rifiuti – disse il pentito di camorra Nunzio Perrella ai magistrati di Napoli già alla fine degli anni Ottanta). Un’immagine forte che richiama altri drammi, come gli sversamenti, i roghi tossici, le contaminazioni, il malaffare, l’illegalità, i tumori. Con un vessillo indelebile: le sconvolgenti dichiarazioni di Carmine Schiavone di fronte alla Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti nel 1997, per la loro gravità desecretate solo di recente (il 31 ottobre 2013). Ma anche i sequestri della Forestale, che confermano come la presenza di cadmio, arsenico e piombo supera di 4-500 volte il limite massimo consentito. O i dati dell’Arpac, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale in Campania: 800 siti inquinati in provincia di Caserta, 1.201 in quella di Napoli. O ancora le catastrofiche previsioni del geologo Giovanni Balestri, una relazione di 290 pagine in cui si dice che la contaminazione nell’area vasta di Giugliano è così grave che entro il 2064 provocherà un disastro ambientale da percolato che potrebbe arrivare in falda.
Le province di Caserta e di Napoli, ma un po’ tutta la Campania in generale, continuano a subire l’onta di questo panorama poco esaltante. E soprattutto il danno economico, dal momento che la filiera agroindustriale incide per il 4,3 per cento sull’economia regionale, con un’alta propensione dall’esportazione. “Maggiore della media italiana”, attesta Banca d’Italia. Un panorama fatto di 13 produzioni Dop, 12 Igp, 4 Docg, 15 Doc, 10 Igt e 335 prodotti tradizionali.
Nonostante, come tengono a sottolineare i coltivatori diretti, i terreni inquinati costituiscano soltanto l’uno per cento del territorio regionale, la pubblicità Pomì del 3 novembre 2013, dove viene specificato con tanto di cartina d’Italia che i pomodori utilizzati sono soltanto del Nord, o i servizi della trasmissione “Le Iene” che dimostrano come nella pianta di pomodoro coltivata presso Giugliano hanno trovato mercurio, arsenico e piombo, o ancora don Maurizio Patriciello, il celebre prete anticamorra, che espone i pomodori “avvelenati” sull’altare della sua chiesa di Caivano continuano a non fare un buon servizio all’agricoltura campana nel suo insieme.
In tanti parlando di ingiustificata psicosi. E non ci stanno. “La stragrande maggioranza delle pesche qui non puzza – dichiara Tommaso De Simone, presidente della Camera di commercio di Caserta. “Qui vengono prodotti 2 milioni di quintali di pesche all’anno e non puzzano. Solo nella nostra provincia ci sono 15 mila aziende agricole su 100 mila imprese, che nei primi sei mesi del 2013 segnavano un export agroalimentare di un più 36 per cento rispetto al 2012. Eravamo tra le province del meridione più avanti rispetto alle altre”.
Molti magistrati, da Federico Cafriero de Raho a Raffaele Cantone, come ricorda Lidia Baratta nell’approfondita inchiesta “Terra dei fuochi, la leggenda del cibo che uccide”, pubblicata a febbraio 2014 su Linkiesta.it, minimizzano sulle dichiarazioni di Schiavone: “Siamo andati nei laghetti di Castelvolturno – dice Cafiero de Raho al TgR Campania, “lì dove Schiavone aveva detto che erano stati scaricati i fusti. Arrivammo con la Forestale, i Carabinieri, i sub. Avevamo anche apparecchiature incredibili. Ma i rifiuti radioattivi non c’erano”.
La Coop, come racconta Fanpage.it, ha sottoposto i fornitori vicini alla Terra dei fuochi a un campionamento straordinario. Il risultato è stato che “tutti i campioni analizzati, sia di vegetali edibili, che di acque e terreni, sono risultati a norma di legge per i tenori dei metalli pesanti, Pcb, diossine, radioattività”.
Molti produttori, in particolare consorzi e cooperative, si sono attrezzati per effettuare analisi sui terreni e sui prodotti. Come i coltivatori della mela annurca, vanto della Campania. I risultati, come informa la Camera di commercio, dimostrano la bontà delle produzioni.
L’Istituto superiore di sanità ha raccolto trenta prodotti diversi: tutto in regola.
Nonostante ciò, soprattutto i prodotti della zona di Giugliano – e spesso quelli dell’intera regione – continuano ad essere messi al bando da tanti consumatori.
Insomma, occorrerebbe non lasciarsi travolgere dalla psicosi e dividere il buono dal cattivo.
E’ quello che sta facendo l’Uci, l’Unione coltivatori italiani, particolarmente presente nella zona.
Dopo numerose assemblee promosse nella circoscrizione regionale, l’Uci sta organizzando iniziative di sensibilizzazione e di rilancio delle tematiche mezzadre in tutta l’area. Lo ha già fatto ad Aversa, Bellona, Casal di Principe, Caserta, Cellole, Maddaloni, Mondragone, Piedimonte Matese, Pignataro Maggiore, San Felice, Sessa Aurunca, Trentola Ducenta, Villa Literno, Vitulazio.
L’ambiente che cambia, il ruolo del sindacato e della politica, la crescita della struttura a livello nazionale e l’intento di mettere al centro della società di oggi i lavoratori agricoli, la tutela del territorio e la difesa delle aziende agricole campane che stanno attraversando un periodo di crisi proprio per effetto della questione “Terra dei fuochi” sono le tematiche al tappeto. In particolare la psicosi dell’inquinamento continuano a determinare preconcetti verso le produzioni locali: i prodotti delle terre campane non vengono acquistati dai mercati e di conseguenza si verifica una congestione dei magazzini ed il fermo delle attività agricole e industriali per la lavorazione e la trasformazione dei prodotti agroindustriali. Il tutto sta determinando l’aumento della disoccupazione che in provincia di Caserta ha già livelli molto elevati
“Il tema centrale è la salvaguardia delle attività agricole in Campania e le azioni da promuovere ai vari livelli istituzionali per marginare le gravi perdite delle attività agricole che stanno attraversando per l'effetto della ‘Terra dei fuochi’ – spiega il coordinatore regionale campano dell'Unione coltivatori italiani, Adolfo De Petra. “Tutelare il territorio in primis, ma mettere in campo attraverso le tutele di politiche sindacali, tutte, a vari ammortizzatori sociali ed incentivazioni per alleggerire le gravi perdite che le aziende stanno subendo. Valorizzare i prodotti garantendo qualità e controlli per i mercati attraverso una serie di filiere istituzionali ed una politica valorizzativa delle nostre terre attraverso forme di aiuti finanziari alle piccole imprese, da poter creare posti di lavoro da poter far esprimere alla nostra amata Campania Felix il succo delle bontà produttive agricole che ha sempre avuto dai tempi dell'Antica Roma”.
Partecipi al progetto il presidente dell’Unione coltivatori italiani, Mario Serpillo, il sovrintendente Enac (Ente nazionale assistenza al cittadino) l’avvocato Angelo Di Stavolo, il presidente nazionale dell’Ansas (Associazione nazionale solidale sulle attività sociali), nonché nuovo coordinatore regionale Campania dell’Uci-Enac. e vice presidente dell’Uci di Caserta, Adolfo De Petra, il presidente regionale Ansas e dirigente dell’Uci e dell’Enac di Caserta, Baldassarre Borrelli, il presidente Unap (Unione nazionale pensionati) di Caserta, Alfredo Caramico.
Aderiscono all’organizzazione professionisti del settore, politici ed esponenti della società civile, che scelgono di dare il proprio supporto per lo sviluppo del territorio martoriato da crisi occupazionale e inquinamento. Un impegno, questo, che alimenta le esperienze sindacali ed il relativo ruolo nell’agricoltura che si trasforma attraverso analisi dei giovani imprenditori e delle attinenti esigenze.