Giunto il riconoscimento ufficiale per il consorzio di tutela del pistacchio di Bronte. Il provvedimento è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 novembre. Il riconoscimento chiude un iter iniziato nel 2012 con il via libera alla Dop e pone le basi per contrastare uno dei fenomeni commerciali che tristemente si abbinano alla vendita di questo prodotto, la contraffazione che, secondo le stime, ha un giro d’affari superiore ai 100milioni di euro.
La costante crescita delle quotazioni che registra questa eccellenza tipica siciliana (coltivata in circa 30mila ettari nei Comuni di Bronte a Biancavilla, ha fatto crescere, parallelamente, anche il mercato dei “falsi pistacchi”. Il quale avrebbe raggiunto proporzioni abnormi fino ad arrivare ad un rapporto di uno a tre. Ossia per ogni chilo di pistacchio di Bronte in circolazione, ce ne sarebbero – stando ad una stima – ben tre contraffatti.
La contraffazione non viene effettuata a monte della filiera. Di norma i produttori vendono il loro prodotto in guscio a circa 13 euro al chilo e le falsificazioni si sviluppano nelle fasi successive della catena distributiva e per la parte di prodotto che, tendenzialmente, non è destinato all’export ma rimane sul mercato italiano come prodotto sgusciato destinato, ad esempio, alle pasticcerie e venduto a circa 40 euro al chilo.
Sui circa 30-40mila quintali di prodotto disponibile ogni anno (la raccolta è biennale ed è mediamente di 60-80mila quintali), il 60% viene lavorato ed esportato, pelato, prevalentemente in Germania dove viene venduto ad un prezzo che viaggia intorno ai 50 euro al chilo.
Il prodotto che rimane in Italia rappresenta il 40% del totale. Se è vera la proporzione di uno a tre con il prodotto contraffatto, questo significherebbe che in Italia, il giro d’affari dei “fake” del pistacchio di Bronte è di circa 120 milioni di euro.
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