La zootecnia italiana ha diversi nemici, ma soprattutto uno sta mettendo a dura prova il comparto, la Peste Suina Africana meglio conosciuta come Psa. Si tratta di una malattia virale dei suini e cinghiali selvatici che causa un’elevata mortalità negli animali e che per l’uomo è innocua.
Secondo l’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, la PSA è endemica nell’Africa sub-sahariana, dove venne inizialmente scoperta. In Europa, tra il 1995 e il 2007, la Psa era presente sono in Sardegna. Tuttavia, nel 2007 si verificarono focolai di PSA in Georgia e la malattia si diffuse ai Paesi limitrofi, colpendo maiali e cinghiali selvatici. Nel 2014 vennero segnalati i primi focolai nell’Unione europea, tra i cinghiali selvatici degli Stati baltici e della Polonia. Da allora la malattia si è diffusa ad altri Paesi dell’UE e ai Paesi terzi confinanti. Una sciagura che ha colpito tutta l’Europa, praticamente. Il virus si propaga attraverso i cinghiali selvatici, ormai presenti in forza nei nostri boschi, e attraverso gli spostamenti degli esseri umani.
La Psa, problema che riguarda tutta l’Europa
Negli ultimi tre anni la situazione è precipitata andando ad aggredire anche gli allevamenti della Pianura Padana, procurando ingenti danni economici poiché in caso di presenza del virus l’intera popolazione suina dell’allevamento viene abbattuta.
Ma in ballo c’è molto di più. “Ci troviamo costretti a rinunciare a tantissimi capi di bestiame situati soprattutto in aziende di montagna o che praticano un allevamento virtuoso, in reale connessione con il territorio. In pratica, rischiamo di perdere le ultime razze suine autoctone, strettamente collegate alle migliori produzioni norcine italiane e ad un mondo del lavoro legato ad una professionalità antica, di tipo artigianale”, le parole di Mario Serpillo.
Nel nostro Paese ci sono 8 razze tradizionali, tra queste la Cinta senese, che ha ottenuto la DOP per le sue carni; altre 4 sono Presìdi Slow Food (Suino Nero dei Nebrodi, Suino Sardo, Mora Romagnola, Suino Nero Pugliese), ma esistono anche la Casertana, il Nero di Parma, e il Nero di Lomellina o Nero del Piemonte.
“Dobbiamo tutelare le razze autoctone italiane, l’allevamento estensivo e di piccola scala. Siamo di fronte, probabilmente, all’ultima occasione per farlo. È per tali ragioni che abbiamo aderito l’appello lanciato da Slow Food e lo sosteniamo convintamente”, ha poi concluso il Presidente dell’Unione Coltivatori Italiani. Invitiamo tutti a fare lo stesso, potete trovarlo qui: https://shorturl.at/M1in2
Come affrontare la difficile situazione
Diversi allevatori non hanno altra scelta che chiudere le proprie aziende, con grave danno per chi lavora carni di qualità per salumi tradizionali.
Purtroppo, le normative di contrasto alla peste suina non prevedono attenzioni specifiche per queste razze e per questi sistemi di allevamento su piccola scala e, laddove si verificasse un focolaio, gli animali – compresi i riproduttori – dovrebbero essere abbattuti, come è già purtroppo accaduto.
L’Unione Coltivatori fa proprio il grido d’aiuto di tutta una categoria e sostiene con forza l’appello proposto da Slow Food. L’obiettivo è richiamare l’attenzione sull’urgenza di prevedere meccanismi di deroga alla macellazione immediata, insieme allo stanziamento di fondi che consentano di portare in sicurezza in altri luoghi i riproduttori, laddove le aziende fossero in prossimità di focolai. Chiede inoltre di verificare l’effettiva presenza della malattia nei suini e prevedere quarantene, cercando di evitare la macellazione immediata a priori.
Contestualmente, ci sembra necessario prelevare il seme dai riproduttori e stoccarlo in centri sicuri per non perdere nessuna linea genetica, remunerando gli allevatori per il duro lavoro collegato a tali operazioni. Le recenti esperienze di perdita del seme delle razze bovine Garfagnina, Pontremolese, Mucca Pisana e Calvana dovrebbe mettere in guardia su questo aspetto.
L’appello è rivolto in particolare al Ministero dell’Agricoltura, titolare della salvaguardia del patrimonio zootecnico nazionale. Con esso, si chiedie che siano prese in considerazione le richieste tecniche sottoposte da Slow Food Italia, Veterinari Senza Frontiere, Federbio, Aiab, Associazione Rurale Italiana, ed UCI.