In occasione del World Wildlife Day, che si è celebrato lo scorso 3 marzo in tutto il mondo, il WWF valuta lo stato di salute di specie e habitat italiani più a rischio, elaborando i dati messi a disposizione dal nostro Paese alla Comunità Europea per il report quinquennale sulla Direttiva Habitat, la norma che a livello comunitario protegge le specie maggiormente minacciate d’estinzione. Purtroppo, sebbene le valutazioni siano ancora preliminari, il quadro per la natura italiana è tutt’altro che roseo.
Dati generali
Delle 570 specie italiane protette dalla Direttiva Habitat, solo 248 (43%) mostrano uno stato di conservazione favorevole. Purtroppo ben 206 (36%) presentano ancora uno stato di conservazione inadeguato e 93 (16%) addirittura sfavorevole. Del restante 5% non si hanno dati sufficienti per una valutazione secondo gli standard europei.
I gruppi più a rischio
Tra i diversi gruppi di animali considerati (esclusi gli uccelli, tutelati da una specifica Direttiva), a passarsela peggio sono i pesci (a rischio estinzione specie quali storione cobice, barbo canino e trota macrostigma) con oltre l’80% delle specie considerate che presentano uno stato di conservazione non favorevole, il 39% addirittura cattivo e con trend di popolazione in diminuzione.
Seguono a ruota gli anfibi, con il 64% delle specie in cattivo o inadeguato stato di conservazione (fortemente minacciati ululone appenninico e salamandra di Aurora); ma anche i mammiferi (lince, foca monaca, orso marsicano ma anche i pipistrelli) non se la passano bene: in media, solo 4 specie su 10 tra quelle presenti in direttiva presentano uno stato di conservazione favorevole. La situazione appare lievemente migliore per i rettili (67% in buono stato) e gli artropodi (insetti, ragni, etc.; 53%). Anche per le piante, solo il 46% presenta uno stato di conservazione favorevole, che però scende al 21% per muschi e licheni. Tra le specie che rischiamo di perdere: l'abete dei Nebrodi e ribes di Sardegna
Lo stato degli habitat
Anche la situazione a livello dei diversi ambienti naturali è tutt’altro che rosea. Appena il 10% di quelli in Direttiva (pari a 26 tipi di habitat) presenta infatti un buono stato di conservazione, che risulta invece inadeguato per 47% (124 habitat) e addirittura cattivo per il 39% di essi (102 habitat), per il restante 4% non ci sono dati sufficienti alla valutazione.
Tra gli habitat che presentano, in media, le peggiori condizioni troviamo quelli dunali, quelli di acqua dolce, torbiere e acquitrini, nessuno dei quali (0%) è in uno stato di conservazione favorevole. Per gli habitat dunali, in particolare, il 71% di quelli tutelati dalla Direttiva sono in cattivo stato e in regressione, così come il 47% di acqua dolce, il 39% delle praterie, il 28% di torbiere e acquitrini, ma anche il 21% delle foreste, che includono gli habitat tutelati dalla Direttiva più estesi d’Italia (oltre 17.000 km2).
Solo per lande e arbusteti temperati la maggioranza degli habitat (55%) è in uno stato di conservazione favorevole, percentuale che scende al 26% per gli habitat costieri e marini, 15% sia per quelli rocciosi sia per le macchie di sclerofille.
Le cause
Tra le pressioni principali alla biodiversità del nostro Paese, troviamo al primo posto (in termini di numero di habitat impattati da ciascun fattore) l’agricoltura, che interessa oltre il 68% degli habitat protetti dalla Direttiva. Al secondo posto (con impatti negativi sul 58% degli habitat) troviamo invece le specie aliene, ovvero animali o piante trasportati volontariamente o involontariamente dall’uomo in aree geografiche diverse da quelle in cui si sono originate, creando squilibri ecologici agli ecosistemi locali. Segue a breve distanza, impattando quasi il 56% degli habitat, lo sviluppo delle infrastrutture ad uso industriale, commerciale, residenziale e ricreativo. Tra gli ulteriori fattori di minaccia troviamo infine attività forestali, modifiche ai regimi idrici legate alle attività umane e cambiamenti climatici, oltre a processi naturali che favoriscono l’espansione di alcuni habitat a discapito di altri.
Carenza di dati
Una percentuale significativa di specie e habitat è caratterizzata da uno stato di conservazione incerto o del tutto indefinito: in molti casi regioni ed enti locali non hanno infatti provveduto ai monitoraggi indispensabili per valutare lo stato di conservazione della biodiversità, che vanno fatti con personale, competenze e risorse adeguate: da questo dipende l’efficacia delle misure di conservazione.
“La biodiversità è il nostro vero tesoro, la cui ricchezza non ha pari in Europa”, dichiara Marco Galaverni, Direttore Scientifico WWF Italia. “Come le opere d’arte che riempiono d’orgoglio il Bel Paese, anche la natura di casa nostra va tutelata al meglio. Purtroppo siamo ancora ben lontani dal riuscirci, per questo speriamo che il 2020 sia finalmente un anno di svolta in cui governi, regioni, comuni, aziende e singoli cittadini comprendano che senza natura non possiamo vivere e si attivino per conservarli con ambizione e coraggio. Non possiamo più rimandare”.
Fonte: dati preliminari sullo stato di conservazione degli habitat e delle specie riportati dagli Stati Membri ai sensi dell’Articolo 17 della Direttiva Habitat 92/43/CE –