Oggi è la "Giornata Mondiale delle Api", istituita nel 2018 dall'Onu. Le api danno un fondamentale contributo al mantenimento della biodiversità e si stima che il 76% del cibo che mangiamo è il frutto del loro lavoro di impollinazione.
Quando assaporiamo una fragola, una patata, una mela, la cioccolata, un caffè o una spremuta lo dobbiamo alle api. Che stanno scomparendo a causa dei cambiamenti climatici, dell'inquinamento, dell'uso intensivo di fitofarmaci per l'agricoltura e delle malattie. Ecco perché è necessario che tutti i cittadini si attivino per aiutarle.
L'apicoltura italiana costituisce un importante settore del comparto agricolo nazionale, per la capacità produttiva raggiunta e per la funzione impollinatrice che le api svolgono a favore degli ambienti rurali, naturali e urbani. L'ape italiana è una sottospecie autoctona che si è propagata in poco più di un secolo in tutto il Pianeta. Nelle campagne italiane ci sono 1,2 milioni gli alveari curati da 45.000 apicoltori, tra hobbisti e professionali, con un valore stimato in più di 2 miliardi di euro per l'attività di impollinazione alle coltivazioni.
Quest'anno il clima non ha consentito alle api di trovare il nettare sufficiente da portare nell'alveare. In Lombardia la produzione di miele millefiori e acacia è crollata. Il poco miele che le api sono riuscite a produrre se lo mangiano per sopravvivere. La pioggia no stop compromette il duro lavoro delle api, ma non si tratta solo della produzione del miele poiché prodotti come mele, pere, kiwi, castagne, ciliegie, albicocche, susine, meloni, cocomeri, pomodori, zucchine, soia dipendono completamente o in parte dalle api per la produzione dei frutti. Ma questi insetti sono utili anche per la produzione di carne con l'azione impollinatrice che svolgono nei confronti delle colture foraggere da seme come l'erba medica e il trifoglio, fondamentali per i prati destinati agli animali da allevamento.
La conseguenza commerciale di tutto questo è che il mercato è invaso di miele spacciato per italiano quando invece non lo è. Il prodotto, falsamente etichettato come miele, subisce fermentazioni, pastorizzazione, ultrafiltrazione, viene aggiunto a miscelazione di pollini, 'tagliato' con zuccheri come quello derivato dal riso.
Oggi le api sono stressate, escono ai primi raggi di sole e tornano indietro non appena inizia a piovere. Non fanno altro che produrre covata senza riuscire a immagazzinare miele, i fiori risultano perennemente bagnati dalle frequenti piogge e scaricano il nettare e non raccolgono neppure polline, innescando una situazione critica all'interno dello stesso alveare. Lo scorso anno la produzione nazionale finale è stata di 22.000 tonnellate grazie soprattutto al Centro e al Nord Italia dove gli apicoltori hanno potuto tirare un sospiro di sollievo dopo molte annate negative mentre al Sud l'andamento climatico ha pregiudicato i raccolti per tutto l'anno a partire dal miele di agrumi le cui rese sono state molto scarse. In Italia esistono più di 50 varietà di miele a seconda del tipo di "pascolo" delle api: dal miele di acacia al millefiori (che è tra i più diffusi), da quello di arancia a quello di castagno (più scuro e amarognolo), dal miele di tiglio a quello di melata, fino ai mieli da piante aromatiche come la lavanda, il timo e il rosmarino. Rilevanti sono però anche le importazioni dall'estero che nel 2018 sono risultate pari a 27,8 milioni di chili in aumento del 18% rispetto all'anno precedente. La metà arriva da Ungheria e Cina.
La Commissione Europea ha deciso di registrare un'iniziativa dei cittadini europei intitolata "Salvate le api! Protezione della biodiversità e miglioramento degli habitat per gli insetti in Europa". Gli organizzatori richiedono di rendere la promozione della biodiversità un obiettivo generale della politica agricola comune, ridurre drasticamente l'uso di pesticidi, promuovere la diversità strutturale nei paesaggi agricoli e tagliare l'uso dei fertilizzanti nelle aree Natura 2000.
Dal prossimo 27 maggio scatta la raccolta firme: gli organizzatori hanno tempo un anno per raccogliere un milione di dichiarazioni di sostegno, da almeno sette diversi Stati membri. Se il risultato sarà raggiunto, la Commissione dovrà reagire entro 3 mesi, decidendo di dare seguito alla richiesta o meno, con parere motivato.