Il momento contingente appare molto complicato, per diverse ragioni. Siamo ancora in piena crisi pandemica, anche se il Covid – 19 non è più la notizia d’apertura di nessuna testata. Al già dibattuto caro energetico (dovuto essenzialmente all’aumento della domanda di elettricità) si era già aggiunto il rincaro degli spostamenti dovuto all’aumento del costo dei container. La guerra in Ucraina ha fatto il resto, facendo aumentare il costo dei cereali e gettando ombre sulle forniture energetiche dell’Europa, argomenti cui non eravamo pronti a rispondere.
Il risultato finale per la zona – euro è l’esplosione dell’inflazione. Un aumento dei prezzi a due cifre che alimenta tante domande e pone interrogativi cruciali. È ormai avviato il dibattito europeo per affrontare l'emergenza energetica e sulla reperibilità delle materie prime agricole. Un contesto che ha divelto l'impianto stesso della Pac, basata su presupposti green piuttosto che economici e che ora – a fronte del nuovo contesto geopolitico – sembra già non reggere più, non essere (ancora) attuale.
La diplomazia agricola si è messa all’opera. Sembra che i ministri dell'Agricoltura della Ue stiano studiando un 'pacchetto' relativo all'import delle materie prime, mentre il ministro dell'Agricoltura francese, Denormandie, a quanto pare stia per chiedere la sospensione dell'obiettivo di Set aside, ovvero i campi da non coltivare.
La messa a riposo dei terreni è stata introdotta per la prima volta nel 1988, e con l’obiettivo di diminuire l’offerta cerealicola in un periodo di eccedenze strutturali; sostanzialmente per garantire redito adeguato ai produttori. Dalla sua introduzione, il Set Aside è stato sottoposto a numerosi cambiamenti a seconda delle esigenze delle Pac. Il Set Aside divenne obbligatorio con la riforma del 1992 (quella che prende il nome dal commissario irlandese all’agricoltura, MacSharry, durante la Commissione Delors), che introdusse il ritiro dalla produzione del 15% della superficie aziendale dedicata a COP (cereali, semi oleosi e piante proteiche) come pre-requisito per ottenere i pagamenti diretti. Da allora la quota obbligatoria ha subito numerose variazioni, in modo di adattare l’offerta dei cereali all’evoluzione degli stock e all’andamento dei mercati internazionali.
Oggi si tratta di una misura volontaria, prevista sia nel primo che nel secondo pilastro della Politica agricola comune. Nel primo, è una delle opzioni per soddisfare il requisito greening delle aree di interesse ecologico da costituire a livello aziendale. Nel secondo, diventa una misura ventennale che riguarda le superfici che hanno un interesse naturalistico.
In passato era già successo che venisse chiesta la sospensione per far fronte a emergenze ma era obbligatorio. Oggi si tratta di una misura volontaria. Rinunciarvi potrebbe essere uno strumento per aumentare la produzione continentale di cereali e sfuggire al giogo dell’import dalla già sanzionata Russia. Insomma, ancora una volta il cibo diventa affare politico, su cui ci si gioca molto. Vedremo come andrà a finire.