Crolla la coltivazione di tabacco, sale quella dei cereali e soprattutto dei legumi, con un forte balzo in avanti delle fave. E’ il quadro generale delle intenzioni di semina dichiarate dai coltivatori e raccolte dall’Istat con riferimento all’annata agraria 2014-2015. Da tale documento emerge una contenuta diminuzione della superficie a seminativi (meno 1,3 per cento).
Nel dettaglio, il nostro istituto di statistica ha rilevato come il quadro agrario per l’annata 2014-2015 mostri un marcato aumento percentuale delle superfici destinate ai cereali – riso (più 0,7 per cento), orzo (più 3,6 per cento), avena (più 0,3 per cento) e altri (più 10,5 per cento) – e leguminose da granella – fagioli e fave (più 12,7 per cento), piselli (più 5,3 per cento) e altri (più 4,4 per cento).
Di contro, sembra che un forte calo interesserà le cosiddette piante industriali come tabacco (meno 26,2 per cento), colza e ravizzone (meno 6,5 per cento), girasole (meno 0,7 per cento) e altre (meno 30,2 per cento). Fa eccezione la soia, con un aumento del 13,5 per cento.
Tale documento fa emergere anche decrementi delle superfici destinate a frumento tenero (meno 7,6 per cento), mais da granella (meno 8 per cento) e sorgo (meno 8,5 per cento), mentre risultano in aumento le superfici a frumento duro (più 2,9 per cento). Le prospettive per le ortive indicano un calo generalizzato delle superfici investite a pomodoro (meno 1,9 per cento), legumi freschi (meno 0,3 per cento) e altre (meno 9,9 per cento).
Per le foraggere temporanee, rispetto ad una riduzione delle superfici investite per il mais da foraggio (meno 20,1 per cento), le intenzioni dichiarate indicano un aumento di quelle destinate alle altre foraggere temporanee (più 3,6 per cento).
Risultano in flessione anche le superfici investite nella coltivazione della patata (-3,6 per cento) e della barbabietola da zucchero (-3,9 per cento).
In questa annata è previsto un aumento dell’1 per cento delle superfici investite a colture floreali.
Contenuto l’aumento delle superfici dichiarate a riposo (più 0,2 per cento), legato principalmente alla rotazione agronomica pluriennale (61,9 per cento delle aziende agricole) e, in misura minore, all’incertezza sull’andamento del mercato o alla scarsa remunerazione dell’attività (19,2 per cento).
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