E’ in corso di svolgimento in queste settimane nella Capitale, nel cuore di Trastevere, la mostra “La Roma di Ettore Roesler Franz”, omaggio ad uno dei più noti acquerellisti che hanno egregiamente ritratto la Roma di fine Ottocento.
Al di là degli aspetti pittorici, l’evento offre l’occasione per riscoprire le testimonianze dell’anima fortemente agricola della Città Eterna e dei suoi vulcanici e fertili dintorni, dalla millenaria vocazione vitivinicola dei Castelli Romani fino, sul fronte geografico opposto, alle eccellenze ortofrutticole nell’area nord, sia verso l’entroterra ricco di acqua e di laghi sia verso il litorale, ad esempio a Maccarese.
I quadri di Franz presentano rioni – per lo più quelli semicentrali – irriconoscibili nel confronto odierno. Sono tutti caratterizzati dalla prevalenza del paesaggio verde, arricchito dalla presenza di molti fiumi che contribuivano a creare un imponente ecosistema agricolo. Nei rioni centrali non mancano mai i contadini, inseriti nei contesti monumentali tipici romani, intenti a vendere la propria mercanzia “a chilometri zero”. Molte denominazioni degli odierni quartieri – da Prati a Monti, da Città Giardino a Monteverde – richiamano proprio la veste del passato.
L’occasione dell’esposizione romana è un formidabile pretesto non solo per richiamare alla memoria lo straordinario patrimonio rurale che ha a lungo caratterizzato – e in un certo senso continua a caratterizzare – la Capitale e molte città italiane, si pensi a Verona per il nord e a Napoli per il sud, ma soprattutto per interrogarsi sul necessario riavvicinamento di un’agricoltura moderna e multifunzionale e delle relative filiere agroalimentari ai bisogni di una società sempre più urbanizzata ed urbanocentrica.
La nostra Capitale, benché difficile da credersi, è una delle città più verdi d’Europa, grazie ai 16mila ettari di natura protetta con undici riserve naturali. Ed è, inoltre, la città più agricola d’Italia, merito delle oltre 2.500 aziende agricole, che diventano 4.500 con la Città metropolitana. Tra gli esempi più noti possiamo citare Castel di Guido, con i suoi duemila ettari, o la Tenuta del Cavaliere. Si consideri che oltre il 50 per cento della superficie dei parchi ha destinazione agricola.
Tuttavia, nell’attuale fase di rapida crescita del numero di persone che vivono in città – entro il 2050 la popolazione urbana sarà circa il doppio della popolazione rurale – metropoli sempre più problematiche avranno crescenti bisogni di risorse come acqua potabile, cibo, fibre, ma anche ambienti naturali, rurali, giardini, oasi di biodiversità, armonici spazi ricreativi soprattutto per bambini e anziani, anche per abbattere il crescente inquinamento.
Il tema sociale, economico, urbanistico, ecologico ed etico del rapporto tra agricoltura e città, perfettamente inserito in quello più generale della nutrizione del Pianeta, bandiera di questa Expo 2015, è quindi cruciale per il futuro dei cittadini e dell’ambiente.
Aree urbane e rurali, anche attraverso nuove relazioni, dovranno tornare – e stanno tornando – ad essere strettamente interdipendenti per accorciare le filiere di produzione e per rispondere ai nuovi bisogni reciprocamente espressi.
Sono connessioni caratterizzate dal valore supremo della territorialità, insito nell’idea e nella funzione stessa dell’agricoltura di qualità, al centro di una riscoperta ormai globale in contrapposizione all’omologazione dei gusti e dei sapori.
Se la città, da parte sua, sta abbandonando quella cultura antitetica alla campagna che l’ha a lungo caratterizzata – vengono in mente alcune profetiche canzoni di Adriano Celentano – facendo, ad esempio, propria l’idea che attività agricole integrate nel territorio svolgano un ruolo basilare per la resilienza urbana, da parte sua l’agricoltura urbana e peri-urbana gode di crescenti riconoscimenti – di cui Michelle Obama è soltanto una delle testimoni – per le sue strategiche funzioni anche sociali.
L’elenco dei benefici offerti dagli spazi verdi in città e nell’hinterland è lungo e, per certi versi, anche scontato. Ma è bene richiamare l’attenzione su alcuni aspetti salienti.
Si pensi, in proposito:
■ al recupero della fruizione attiva di aree verdi attraverso gli orti urbani, che a Roma città, per fare un esempio, hanno raggiunto 3.000 unità nel 2013, secondo il censimento Inea. Si tratta del primato nazionale. E’ un ruolo che incide fortemente anche sulla riqualificazione urbana del territorio;
■ agli spazi del welfare e della salute pubblica rappresentati da agrinidi e agriasili, ludoteche, pet-therapy, in particolare ono e ippoterapia, orticoltura-terapia, ecc.;
■ alla funzione di accoglienza e inclusione svolta dall’agricoltura sociale, oggi riconosciuta dalla nuova legge nazionale, strategica anche per l’inserimento della popolazione immigrata. Viene in mente, per Roma, la quarantennale esperienza di Capodarco, tra le prime in Italia;
■ alle funzioni formative, pedagogiche ed educative condotte dalle fattorie didattiche, luoghi diventati ibridi grazie al patrimonio di esperienze culturali che investono, ad esempio, la lettura collettiva o il teatro;
■ alle ricadute economiche attraverso la commercializzazione diretta dei prodotti e del benessere o tramite l’esperienza dei Farmers Market, i mercati agricoli cittadini a chilometri zero, che eliminano la figura degli intermediari tra produttori e consumatori;
■ al crescente ruolo ricettivo svolto dagli agriturismi, anche a ridosso delle città monumentali;
■ al rafforzamento dei legami comunitari e alla promozione della convivialità.
L’interconnessione, non conflittuale, tra città e campagna richiama, inoltre, alle proprie responsabilità la politica, che deve essere protagonista nel censire e regolare fenomeni che spesso si mettono in moto in forme spontanee e caotiche.
In particolare, le istituzioni – in sinergia con organismi settoriali di mediazione e di rappresentanza finalmente disponibili a fare sistema, come noi dell’Uci auspichiamo da sempre – debbono essere capaci di cogliere tutte le potenzialità dell’agricoltura multifunzionale. Debbono accompagnarla, ad esempio, nel passaggio critico dalla conservazione delle risorse alla loro gestione sostenibile, nella promozione dei consumi locali attraverso un’attenzione costante alla comunicazione e al marketing, nello sviluppo delle competenze umane, nel rapporto con l’impiego di risorse naturali fino al suo riconoscimento nelle politiche di sviluppo rurale.
Parallelamente, seppure in una dimensione locale, è necessario non perdere di vista le questioni annose che interessano tutto il sistema agricolo, sempre presenti nell’agenda della nostra organizzazione sindacale;
■ esigenza di semplificazione burocratica;
■ facilità di accesso al credito;
■ modernizzazione delle infrastrutture;
■ sgravi fiscali per gli investimenti;
■ potenziamento dei servizi pubblici di supporto;
■ promozione di reti d’impresa.
Sono esigenze espresse in particolare dalle (e per le) giovani generazioni che, lontane da logiche di sussistenza e padroni delle lingue e delle nuove tecnologie, sono consapevoli che oggi l’agricoltura è soprattutto impresa, cioè aziende da cui ricavare reddito, anche in forme gestionali aggregate o in reti aziendali intersettoriali.
Pertanto sia sul piano territoriale sia su quello delle sfide globali, in gioco ci sono quelle tematiche che echeggiano in queste settimane nei padiglioni dell’Expo milanese, dall’accesso al cibo al problema della malnutrizione, dalle forti pressioni ecologiche su tutte le fasi della filiera al ruolo dello spreco alimentare.
Non va dimenticato che l’agricoltura è dentro la nostra quotidianità di persone e di cittadini, garantisce posti di lavoro, indirizza ad ogni latitudine e in ogni continente, compreso quello di un’Europa coesa, a creare un progetto agricolo moderno e sostenibile, volto a ridurre sacche di povertà e di emarginazione. L’agricoltura valorizza il territorio in tutti i suoi aspetti, in armonia con il know out rappresentato dai giovani agricoltori, capaci di osare una sfida globale a salvaguardia dell'ambiente, della salute, del domani eco-sostenibile.
L’Uci, l’Unione coltivatori italiani, dalla storia ormai cinquantennale, è dentro questi processi. Pur avendo nel suo dna la salvaguardia della dimensione locale dell’agricoltura quale patrimonio di valori irrinunciabili, tuttavia è consapevole che le sfide ormai globali vanno affrontate su un piano sinergico e di sistema. Per questo, in una logica confederativa, è tra i soci fondatori di Copagri, seconda forza nazionale del comparto agricolo, e si muove in un’ottica europea e transeuropea con importanti partnership per la cooperazione internazionale nell’area del Mediterraneo e dell’Est europeo.
Il Mediterraneo in particolare, da sempre vocato a relazioni strategiche di persone, beni e servizi, è ora sotto i riflettori mediatici principalmente per il costante flusso migratorio. Ma, al di là delle emergenze e dei sensazionalismi, va riconcepito nel suo ruolo storico, cioè come bacino di intelligenze, di saperi, di scambi, di opportunità. Si tratta di connessioni in cui l’agricoltura – anche per la sua funzione osmotica con il cammino umano – svolge un ruolo primario: è pertanto indispensabile – soprattutto in questa fase – un comune progetto agricolo orientato ad una vera e propria “conversione ecologica”.
Tale concetto, su un piano ancora più elevato, è stato espresso profeticamente da Papa Francesco nella sua ultima enciclica “Laudato Si”. Un testo che ci scuote nel profondo del nostro essere ruolo e presenza capace di riconvertire l’ordine delle cose, dei diritti e dei doveri tra Paesi e sistemi volti a cogliere l’esigenza prioritaria della qualità di vita, della qualità dell’ambiente, della qualità agricola futura.
Una sfida globale – ma che parte dal basso, anche dalle nostre città – per la dignità di ogni donna e di ogni uomo presenti nel nostro Paese, nell’Europa intera, nel mondo.
“Nutrire il pianeta” è lo slogan.
L'Uci punta quindi, concretamente, a trasferire i valori agricoli sui tavoli istituzionali e della concertazione internazionale, tra gli imprenditori, i consumatori, tra gli opinions leader, oltrepassando desuete barriere fisiche ideologiche e purtroppo lobbistiche.
Obbligato è quindi il percorso di un’agricoltura alla ricerca della specializzazione, di buone pratiche agronomiche, dall’attenzione all’ambiente e alla salute degli animali, della qualità e della sicurezza alimentare, della tracciabilità, in grado di garantire certezze salutistiche e di buona vita al consumatore.
I nostri quasi cinque decenni di vita ci consentono di scendere in campo autorevolmente, a fianco degli agricoltori e dei coltivatori del nostro Paese, per fare con loro un tratto di strada insieme, calcando con loro un’impronta nel terreno buono, non inquinato, per gettare il seme buono, non modificato, al fine di vedere crescere insieme il frutto, buono e capace di rendere grande il nostro faticare quotidiano, le nostre speranze di futuro, il nostro Paese che amiamo e per il quale, tutto insieme, da sud a nord, vogliamo semplicemente migliore e capace di un riscatto utile alla sfida globale del pianeta.