Anche il settore avicolo soffre il periodo terribile in cui ci siamo venuti a trovare. Oltre 800 milioni di euro bruciati in un anno, di cui 450 solo nella fase agricola. Sono queste le cifre dell’impatto che la crisi internazionale, il rialzo prezzi delle materie prime e dell’energia e gli effetti della guerra hanno avuto sulla filiera avicola italiana. Le stime sono di Unaitalia, associazione che rappresenta oltre il 90% della produzione avicola nazionale, durante l’assemblea nazionale “L’avicoltura italiana alla luce del nuovo contesto socioeconomico”, che si è svolta a Roma.
Dai numeri presentati è emerso che l’avicoltura, unica filiera zootecnica totalmente autosufficiente, ad esclusione del solo approvvigionamento delle materie prime per la mangimistica, è tra i settori più colpiti: nel I trimestre 2022, a fronte di un aumento generalizzato dei costi agricoli del 18,4%, la carne avicola ha registrato incrementi dei costi produttivi del 21,1% per la carne e del 50% per le uova (dati Ismea). Ad incidere maggiormente è il costo vertiginoso dei mangimi, che assorbono il 60% dei costi di produzione, aumentati del 33% nel primo trimestre 2022 e di un ulteriore 40% ad aprile su base annua. In particolare, solo ad aprile 2022 il mais è cresciuto del 59%, la soia del 15% e l’orzo del 90%.
“Sui prezzi delle materie prime – le parole del presidente di Unaitalia, Antonio Forlini – dobbiamo però essere chiari: oltre che ad aumenti derivanti dal conflitto Russia-Ucraina, dalla corsa all’approvvigionamento preventivo da parte della Cina ed alle difficoltà di produzione legate ai cambiamenti climatici, siamo di fronte a dinamiche speculative, in atto da quasi 2 anni, che devono essere fermate. Fino ad oggi il settore ha tenuto testa alla crisi grazie al suo alto livello di integrazione verticale, ma siamo molto preoccupati per il futuro. I cambiamenti dello scenario mondiale, a livello sanitario, politico ed economico ci stanno insegnando l’importanza della sovranità alimentare e dell’accesso al cibo. E che non possiamo più dare per scontata la nostra autosufficienza, oggi al 108,4%. Occorre perciò abbandonare le logiche del passato in un’ottica strategica di medio lungo periodo, che significa limitare la dipendenza dall’estero e garantire la nostra capacità produttiva, mettendo in campo tutti gli strumenti possibili, dal Pnrr alla Pac, alle nuove tecnologie. Ma anche procedere verso una graduale transizione green che miri ad una sostenibilità durevole ed efficace guardando anche agli aspetti economici e sociali”.
Con 6.000 allevamenti professionali e 64mila addetti (38.500 nella fase di allevamento e 25.500 addetti alla trasformazione), l’Italia nel 2021 ha prodotto 1.374.000 tonnellate di carne (-1,14% sul 2020), pari al 108% dei consumi. Sono 12,1 miliardi le uova prodotte, con un tasso di approvvigionamento pari al 97%.
Complessivamente il settore vale 5,9 miliardi di euro (4.830 milioni per le carni e 1.070 milioni per le uova). In ripresa l’export delle carni (+8,3%), soprattutto il pollo, passato a 131mila tonnellate (+12,2%).