L'Egitto brucia. Dopo che Tunisia e Algeria hanno vissuto analoghi momenti di guerriglia urbana. La scintilla, in Tunisia, è stato l'aumento di oltre il 20% delle tasse sui generi di prima necessità (poi abolito). Il detonatore di un'insurrezione popolare, propagatasi a macchia d'olio, contro l'insofferenza sociale e i regimi corrotti del Nord Africa. Situazioni diverse, ma con molto in comune. La Tunisia, dieci milioni di abitanti, è il Paese meno depresso della sponda sud del Mediterraneo. Il Pil lievita da diversi anni, grazie soprattutto agli investimenti stranieri e al turismo.
L'agricoltura, per quanto con elevate sacche di arretratezza, ha il punto di forza nell'esportazione di olio d'oliva (la Tunisia è il quarto produttore mondiale), ma anche di agrumi e di altri prodotti mediterranei, in primis i pomodori. Datteri e mandorle provengono dalla regione di Sfax. L'allevamento è prevalentemente ovino e caprino. L'indole autocratica ed elitaria del governo, l'annientamento del dissenso, la polizia fortemente repressiva, i frequenti episodi di corruzione e di nepotismo, il servilismo verso gli investitori europei sono i fattori che hanno caratterizzato a lungo la vita tunisina. La seconda moglie del presidente Ben Ali, un'ex parrucchiera, ha avuto le mani in pasta in tutti i principali affari economici del Paese. Il fantasma del generale Zine El-Abidine Ben Ali, oggi rifugiatosi all'estero, segna un capitolo di storia nordafricana che coinvolge direttamente le potenze occidentali, che lo hanno strenuamente sostenuto (Italia compresa). Nel 1984 Ben Ali depose il predecessore, Bourguiba, facendolo giudicare, dai medici, inidoneo per senilità. Nel 1999, in occasione delle prime elezioni presidenziali, il suo partito ottenne ben il 99,66% dei voti. Nel 2002, con una riforma costituzionale, abolì ogni limite di durata alla carica presidenziale, permettendo la sua rielezione con il 94,5% dei consensi. I suoi ritratti hanno ossessivamente accompagnato ogni angolo del Paese. Ecco perchè la liberazione del Paese, attraverso un moto popolare, da un premier poco amato rappresenta un esempio cui guardano tanti rappresentanti della società civile araba. In Algeria (35 milioni di abitanti), ad esempio, la precarietà a 360 gradi è una minaccia costante per gli equilibri del Paese. La mancanza di lavoro e di abitazioni popolari, accompagnate da inflazione in crescita, repressione e mancanza di libertà politica costituiscono il leit-motiv dell'insofferenza.
Il Fondo monetario internazionale stima che il 75% degli algerini ha meno di trenta anni, e di questi oltre il 20% sia senza lavoro. L'agricoltura occupa ancora gran parte della popolazione attiva: gli sforzi del governo per far lievitare le rese del comparto producono risultati effimeri. La lenta crescita e i timidi miglioramenti (che riguardano quasi esclusivamente il sistema sanitario e quello dell'educazione) non sono sufficienti a placare il desiderio di cambiamento. Se il tasso medio di crescita negli ultimi dieci anni è stato abbastanza simile in Tunisia ed Egitto, l'Algeria accusa pesanti ritardi. E se il tasso ufficiale (ma inattendibile) di disoccupati va dall'8,7% dell'Egitto al 14,2% della Tunisia, quello giovanile è drammaticamente più elevato. I giovani istruiti sono sempre di più, ma, fuoriusciti dall'economia agricola, non riescono a trovare sbocchi occupazionali. E nelle ultime settimane la rabbia esplosa nelle piazze è soprattutto la loro. Prima si esprimeva principalmente attraverso la musica rap e internet. "Presidente, il tuo popolo muore", è la hit di Hamado Bin Omar, 22 anni, in arte Il Generale, mito delle giovani generazioni arabe. L'esplosione dell'Egitto potrebbe avere conseguenze anche non prossime in Medio Oriente (ad iniziare dallo Yemen), non può far dimenticare l'area africana, dove Ciad, Costa d'Avorio, Nigeria, Sudan alimentano timori internazionali. Il terreno di coltura sono le diseguaglianze sociali, le intolleranze religiose, gli scontri di potere tribali. Senza dimenticare che Cina, India e Brasile assumono con spregiudicatezza un ruolo sempre più strategico anche in questioni geopolitiche, mentre Europa e Stati Uniti perdono nettamente terreno.
Franco Rizzi, docente ordinario di Storia dell'Europa e del Mediterraneo all'Università di Roma Tre, nonchè autore del fortunato saggio "L'Islam giudica l'Occidente", avverte che c'è il rischio che l'integralismo islamico possa dilagare. "Al Qaida sta studiando queste manifestazioni“ spiega Rizzi. "Cercherà di infiltrarsi tra l'esasperazione di questi giovani. Ma non dimentichiamo che i governi sono molto determinati contro il terrorismo e combatteranno con il pugno di ferro contro gli estremismi. E per l'Europa questa è una garanzia". "Ma il vecchio continente, secondo il professore, non ha mai trovato il coraggio di elaborare il lutto del colonialismo. Ha lasciato che questi Paesi si organizzassero senza aiutarli in modo concreto"- spiega. "La conferenza di Barcellona ha fallito, così come l'Unione per il Mediterraneo di Sarkozy. Da sempre l'Europa ha elaborato programmi astratti, fatti di parole a cui non sono seguiti i fatti. L'Europa non ha mai accompagnato questi Stati nel processo di democratizzazione. Ecco perchè ora parlo di paradosso. Il nodo non è economico ma culturale. I meccanismi non possono essere solo economici. Il problema vero sono proprio i governi, democrazie ereditarie. Il dissenso giovanile parte anche da questa mancanza di dialettica democratica che non funziona. Sono Stati, specie la Tunisia, che hanno formato giovani colti ma che oggi non hanno la possibilità di esprimersi".