Sempre meno mais viene prodotto nel belpaese. Nel 2016 la terra coltivata è scesa sotto i 700mila ettari, ben il 30 per cento in meno di dieci anni fa. Lo afferma l’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari che spiega come la flessione sia in controtendenza rispetto ai trend di crescita mondiale di produzione econsumo diquesto cereale. Oggi il mais è uno degli alimenti più utilizzati sul pianeta, insieme al riso e al frumento. E allora perché i produttori italiani lo hanno abbandonato? Per via dei margini di guadagno, che non sono elevati.
Il rimedio potrebbe essere quello di puntare sulla qualità per garantire la marginalità ai produttori, anche in considerazione della necessità di una adeguata valorizzazione e differenziazione del prodotto.
Il calo della produzione nazionale di mais è un problema per un paese che, come facciamo noi, continua a mangiarne in grandi quantità. Per la basilare legge dell’economia, ad una diminuzione della produzione in una situazione di aumento della domanda quello che accade è che aumentano i costi.
Una stima dell’associazione nazionale dei produttori di alimenti zootecnici (Assalzoo) li ha determinati in oltre 3 miliardi di euro negli ultimi 4 anni. E anche nel 2016 le importazioni di questo prodotto, secondo i dati di Anacer, l’associazione nazionale dei coltivatori di cereali, hanno registrato un’impennata: sono arrivate in Italia 662mila tonnellate in più rispetto all’anno precedente, di cui 367mila tonnellate da altri paesi europei.
il dato più allarmante è quello della contrazione delle superfici adibite a mais. Soprattutto, servirebbe un Piano d’azione nazionale specifico, che possa disporre di adeguate risorse finanziarie per invertire la tendenza. Anche per arrivare preparati all’appuntamento con la riforma della PAC, di cui già si comincia a parlare.