L’inquinamento atmosferico dovuto alle polveri sottili è la causa stimata di 467.000 morti premature l’anno in Europa, uno dei principali fattori ambientali di rischio per la salute umana. Sono questi i primi dati del rapporto “Qualità dell’aria in Europa 2016”, pubblicato dall’EEA, l’Agenzia Europea per l’Ambiente.
Lo studio presenta l’analisi della qualità dell’aria nel Vecchio Continente per il periodo 2000-2014 sulla base di dati provenienti da stazioni di monitoraggio ufficiali, più di 400 città in tutta Europa e costruisce un quadro inquietante. Nel 2014 l’85% della popolazione urbana nell’Unione Europea è stata esposta al particolato PM2.5 a livelli ritenuti dannosi per la salute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Mentre le vittime del biossido di azoto (NO2) sono 71.000 e quelle dell’ozono (O3) sono 17.000.
Un primo passo per combattere questo fenomeno arriva dal Parlamento Europeo, che ha appena approvato, in via definitiva, la revisione della direttiva sui limiti delle emissioni nazionali (NEC) delle principali sostanze inquinanti, tra cui NOx (ossidi di azoto), particolato e biossido di zolfo, da raggiungere entro il 2030.
Una revisione che va nella giusta direzione, ma che è ancora lontana dagli obiettivi che consentirebbero di evitare morti, patologie e costi sanitari legati all’inquinamento atmosferico. Ancora molte le deroghe autorizzate agli Stati Membri, che potrebbero ritardare ulteriormente il raggiungimento degli obiettivi. Le cause sono sempre le stesse, individuate ormai da decenni: la combustione da carbone e biomassa (soprattutto legno) da parte di industrie e centrali elettriche, i trasporti, l’incenerimento di rifiuti, ma anche l’agricoltura (pesticidi e diserbanti).
“La riduzione delle emissioni ha portato a miglioramenti nella qualità dell’aria in Europa, ma non abbastanza per evitare danni inaccettabili alla salute umana e all’ambiente“, ha ricordato Hans Bruyninckx, il direttore esecutivo dell’EEA, commentando gli allarmanti dati del rapporto 2016 sulla qualità dell’aria in Europa. “Abbiamo bisogno di affrontare la cause dell’inquinamento dell’aria, il che richiede una trasformazione radicale e innovativa della nostra mobilità, dell’energia e del sistema alimentare“.
Questo processo di cambiamento necessita di un’azione collettiva da parte di tutti: autorità pubbliche, imprese, cittadini e comunità della ricerca. Occorre quindi una forte volontà politica per metterlo in atto..
Sembra però che, talvolta, possa fare più la giustizia che la politica. E’ notizia di questi giorni, ad esempio, che la Corte di giustizia UE ha emesso una sentenza secondo la quale la tutela dei segreti industriali e commerciali non può più essere invocata per coprire le informazioni sulle emissioni nocive nell’ambiente. Nel caso specifico si trattava dell’usatissimo e contestatissimo erbicida glifosate.
La Corte ha stabilito che nella richiesta di accesso agli atti sull’autorizzazione di prodotti agrochimici il diritto all’informazione prevale sulla tutela del segreto commerciale e industriale. I giudici comunitari hanno in questo modo dato torto alla Commissione Europea, che aveva divulgato solo parte delle informazioni richieste dalle due Ong circa la prima autorizzazione del glifosate trincerandosi dietro l’obbligo del mantenimento del segreto. Secondo i giudici UE, quindi, sia le autorità europee sia quelle nazionali dovranno d’ora in poi rendere pubblici tutti gli studi utilizzati per le valutazioni dei rischi ambientali e di salute, inclusi quelli forniti dalle aziende produttrici. La decisione fa giurisprudenza e potrà essere usata come precedente in altri casi di segreto relativo a sostanze ritenute dannose e rilasciate nell’ambiente.