Il Ceta, corrispettivo canadese (con tanto di negoziati segreti) del ben più famoso TTIP, un estesissimo accordo commerciale tra Canada e Unione Europea, sarebbe dovuto essere firmato il prossimo giovedì ma l’operazione è saltata per via dell’opposizione di alcuni europei. Secondo chi lo contesta, l’eliminazione degli “ostacoli” alla produttività delle aziende porterà in realtà a una diminuzione della sicurezza alimentare, dei diritti dei lavoratori e delle tutele ambientali.
Un esempio è quello delle sabbie bituminose. Si tratta di sabbie impregnate di petrolio misto ad acqua e argilla, che si trovano in superficie e il cui processo di estrazione causa grossi danni all’ambiente (molto più del petrolio “convenzionale”). La maggior parte delle “tar sands” viene estratta nell’Alberta, in Canada, e con l’approvazione del CETA, il loro uso potrebbe diventare più facile anche in Europa (dove, al contrario, si pensava di tassarlo maggiormente, per scoraggiarne l’import).
Il Canada, poi, è il terzo principale produttore di OGM e nel Paese non esiste etichettatura. Sono ammessi la ractopamina negli allevamenti dei suini (uno steroide già vietato in oltre 160 Paesi), i neonicotinoidi (pesticidi sistemici) e sin dagli Anni 80 gli ormoni nella carne bovina, così come fanno gli Stati Uniti. Ecco spiegato il motivo per il quale Il CETA contiene anche una versione annacquata del principio di precauzione, che rischia di aprire la strada a un indebolimento degli standard ambientali europei. Secondo il principio precauzionale, che sta alla base delle normative europee, se ci sono dubbi ragionevoli circa la pericolosità di un alimento o una sostanza per la salute pubblica, le autorità devono vietarla. In gran parte del mondo domina invece l’”approccio scientifico“, secondo il quale è possibile introdurre divieti solo se c’è una “prova evidente” (che potrebbe essere cercata per decenni), ovvero non basta il dubbio ragionevole per bloccare il commercio di un alimento.
Dato non trascurabile, infine, è il fatto che le associazioni ambientaliste e i movimenti nati attorno alla contestazione del TTIP considerano il trattato con il Canada il cavallo di troia di quello con gli USA. Vista la stretta integrazione fra i colossi industriali e agroalimentari statunitensi e canadesi. Che cosa sostengono i belgi valloni? Lacune relative alla protezione dell’agricoltura e in materia di regolamenti delle tecniche d’arbitrato.
La coraggiosa posizione dei valloni belgi non è comunque del tutto isolata e, in fondo, fa comodo anche a chi ha maggiore difficoltà ad esprimersi così esplicitamente. Alcune preoccupazioni, anche se non ufficialmente, sono ampiamente condivise. È un gioco classico della diplomazia. Poi c’è un attore non trascurabile e cioè la “società civile europea”, che ha messo in campo un movimento di contestazione forte e, soprattutto, transnazionale. Il 13 ottobre scorso, per esempio, la Corte Costituzionale tedesca, interpellata da tre organizzazioni non governative, ha posto alcune condizioni per il via libera dell’accordo da parte dell’esecutivo.
E adesso? Dopo la conferma del no vallone il presidente del Parlamento Europeo Martin Schultz ha dichiarato, ottimisticamente, di “non vedere problemi che non si possano risolvere”. Per altro il vertice euro-canadese per la firma dell’accordo non è stato ancora ufficialmente annullato. E pare che pressioni incrociate siano in corso per spingere il parlamento vallone a dire sì. Possono comunque entrare in vigore, prima della ratifica nazionale, solo quelle parti dell’accordo di competenza esclusiva dell’UE. Ciò significa che tutte quelle parti in cui i governi esprimono preoccupazioni circa il rispetto del principio di sussidiarietà, andranno riviste finché non vi sarà chiarezza.