In Italia, secondo il rapporto “GreenItaly 2014” di Unioncamere e Symbola (la fondazione presieduta da Ermete Realacci), ci sarebbero ben tre milioni di individui che lavorano grazie all’ambiente. E sarebbero circa 341.500 le aziende che hanno investito negli ultimi sei anni in prodotti e tecnologie green. In pratica, dall’inizio della crisi, nonostante le difficoltà, più di un’azienda su cinque ha scommesso sulla green economy. Una propensione che sale nettamente nel manifatturiero, esposto più di altri alle insidie della difficile congiuntura economica: qui quasi un’impresa su tre punta sul green, non solo per ridurre l’impatto ambientale e risparmiare energia, ma per riqualificare le proprie produzioni ed essere più competitiva. La green economy appare, inoltre, una scommessa ragionevole anche per le nuove imprese. Nel primo semestre del 2014 si contano quasi 33.500 start-up green. Le aziende che fanno eco-investimenti – evidenzia ancora il rapporto – hanno una marcia in più. Ad esempio, sono più forti all’estero: il 19,6 per cento esporta stabilmente (quasi 67mila in termini assoluti), contro il 9,4 per cento di quelle che non investono. Una percentuale che raddoppia nel comparto della manifattura, dove, tra le imprese che investono green, quelle esportatrici arrivano a superare il 40 per cento, mentre nel caso delle imprese che non investono, la quota si ferma al 24 per cento.
E’ un’economia verde in espansione quella che sta caratterizzando il panorama italiano negli ultimi anni. Un comparto che abbraccia diversi settori dell’economia nazionale, da quelli più tradizionali, come l’agroalimentare (che comprende le decine di migliaia di addetti nelle 50mila aziende biologiche italiane), la bioedilizia, la manifattura, la chimica, l’energia (sono ben 190mila soltanto i lavoratori che realizzano e gestiscono impianti di fonti rinnovabili), i rifiuti, fino a quelli high tech. Soltanto nel 2014 sarebbero state 234mila le nuove assunzioni in questo segmento economico, merito anche di quella stragrande maggioranza di consumatori (il 78 per cento, secondo una recente ricerca della Swg) disposta a spendere di più per prodotti e servizi eco-sostenibili, nonostante la recessione. Il rapporto indica anche una potenzialità di 460mila posti di lavoro da un programma di rafforzamento dell’efficienza energetica e 30mila da una gestione più efficiente della raccolta differenziata. La capacità dell’economia verde di rispondere alle questioni occupazionali presenti tutti i giorni sulle scrivanie dei membri del governo e nel dibattito pubblico vengono confermate ormai quotidianamente sia da studi specifici sia nei tavoli istituzionali. Una “verità” ribadita anche dagli Stati generali della green economy, promossi dal ministero dell’Ambiente e dal Consiglio nazionale della green economy, con il supporto tecnico della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, che si sono chiusi lo scorso 6 novembre a Rimini.
Il titolo di quest’anno era “Lo sviluppo delle imprese della green economy per uscire dalla crisi italiana” e ha collocato di proposito l’evento nell’acceso dibattito sul lavoro. Di fatto è stato diffuso il messaggio che le potenzialità esistono, supportate anche da numeri importanti. Quindi ora la politica deve fare la sua parte. “I numeri ci mostrano che le uniche aziende che hanno tenuto nella crisi economica, sono quelle della green economy. Sono cresciute, infatti, in fatturato e in occupazione – sottolinea, da buon commercialista, il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti. “Le imprese della green economy sono aziende nuove che creano nuovi posti di lavoro. Dobbiamo aiutare queste realtà con regole semplici, certe, che durino nel tempo – conclude Poletti. Due le principali proposte avanzate dagli Stati generali per far fronte alla disoccupazione giovanile: ridurre in maniera significativa, per almeno tre anni, il prelievo fiscale e contributivo per l’impiego dei giovani e il varo di un Piano nazionale per lo sviluppo dell’occupazione giovanile. Quest’ultimo, in particolare, dovrebbe essere sostenuto da misure mirate alla formazione e qualificazione, con lo scopo di dare più forza al manifatturiero ‘made in Italy’ associato alla bellezza e alla qualità ecologica, con produzioni pulite”. Gli imprenditori che hanno partecipato all’evento, hanno indicato nel dettaglio cinque azioni: la revisione e la riallocazione in chiave di green economy e di eco-innovazione degli incentivi distribuiti all’industria; un rafforzamento green delle principali filiere produttive; un programma di risanamento e riqualificazione ambientale degli impianti e delle produzioni ad alto impatto; il lancio di speciali iniziative nazionali di valorizzazione del tessuto produttivo attraverso la produzione del ‘made green in Italy’; il sostegno alle start up di imprese giovanili della green economy. Secondo stime, la green economy italiana ha un valore aggiunto di oltre 100 miliardi di euro, pari al 10 per cento dell’intera economia nazionale, sommerso escluso. Anche se i confini di questo settore non sono sempre chiari e, talvolta, ci finisce un po’ di tutto. L’industria verde, a livello mondiale, è sicuramente in crescita. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni unite per lo sviluppo industriale (Unido), si passerà dai 900 miliardi di euro nel 2005, distribuito in sei settori green (efficienza energetica, gestione sostenibile delle risorse idriche, mobilità sostenibile, energia, uso efficiente dei materiali, gestione dei rifiuti e riciclo), alla stima di circa 2.200 miliardi di euro nel 2020. In Italia oggi (Flash Eurobarometer 381), il 25 per cento delle aziende fino a 250 dipendenti offre prodotti e servizi eco e un altro 7 per cento intende offrirli nei prossimi tre anni (sono il 33 per cento in Germania, il 31 per cento nel Regno Unito, il 30 per cento in Francia e il 34 per cento negli Usa). In base ad un’indagine della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, che ha coinvolto 437 imprenditori, oltre il 90 per cento delle aziende della green economy è convinto che la produzione in chiave sostenibile possa contribuire alla ripresa.
Un movimento trasversale
Come abbiamo visto, nel novero della green economy rientrano differenti e vasti settori economici. Tutti permeati da una sorta di “verità ideologica” orientata al sostegno di un’evoluzione verde del nostro futuro, l’unica in grado di assicurare una controtendenza rispetto ad un’economia tradizionale che mostra ormai tutti i suoi limiti. Legambiente, ad esempio, interviene proprio su questo punto. “La green economy – sottolinea l’associazione ambientalista – non è un pezzo di chimica che si associa in parallelo alla chimica tradizionale o qualcosa di innovativo nella siderurgia: è una chiave per ripensare l'intera chimica, la siderurgia, l'edilizia, l'agricoltura. Se infatti non si immaginano nuove politiche, il rischio è che rimanga una nicchia crescente dentro settori che entreranno sempre più in crisi. Nell'edilizia e nella chimica sta succedendo proprio questo: cresce il pezzo della green economy mentre muore o si affievolisce quello tradizionale”.
Per Legambiente vi sono tre punti fondamentali:
– la legalità, che investe ormai tutta Italia e che inficia gli sforzi delle aziende per la pervasiva presenza della criminalità organizzata e della sistematica violazione delle regole;
– la fiscalità, che andrebbe ripensata proprio partendo dalle questioni ambientali, spostando ad esempio il peso della fiscalità sui consumi energetici di risorse, perché è così che si aprirebbe uno spazio trasparente alla green economy (Legambiente considera molto più efficace una carbon tax sulle centrali termoelettriche, riducendo invece la fiscalità sull'energia sull'esempio di quello che si fa all'estero per il trasporto pesante delle merci su gomma, riducendo la fiscalità sugli autoveicoli). Per quanto riguarda la tassazione dei beni e dei prodotti, l’organizzazione ambientalista propone di fare in modo che l'insieme delle tasse sui prodotti e sui beni (l'Iva, le accise, l'Imu, la Tares) premi i comportamenti virtuosi e l'uso efficiente delle risorse. In questo modo si premierebbero le fonti rinnovabili non attraverso incentivi, ma attraverso il vantaggio che determina il fatto di non emettere CO2, analogamente a ciò che è stato fatto per gli abbonamenti dei mezzi pubblici;
– le fonti rinnovabili e l'efficienza energetica in edilizia e nei consumi civili. Legambiente propone di legare i due temi e quindi scegliere per le fonti rinnovabili e per l'innovazione negli usi civili il premio dell'autoproduzione da fonti rinnovabili e della gestione delle reti elettriche e termiche con la vendita diretta dell'energia.
Proprio il tema dell’energia è una delle questioni che tocca trasversalmente tutti i settori produttivi. Il rapporto “Energy [R]evolution” di Greenpeace, nel sottolineare anzitutto le profonde trasformazioni degli ultimi anni per il settore dell'energia in Italia e in Europa, pone l'accento sulla necessità di favorire ulteriormente la rivoluzione energetica pulita per contrastare sia la crisi economica sia la crisi climatica, invitando pertanto ad un ripensamento delle strategie energetiche a livello globale e nazionale. Nel ritenere che i migliori mezzi a disposizione per ridurre le emissioni e migliorare l'indipendenza e la sicurezza energetica dell'Italia siano le fonti rinnovabili e nuove misure di efficienza energetica, lo scenario “Energy [R]evolution” mostra che il Paese sarà in grado di conseguire una riduzione dei gas climalteranti nel lungo periodo molto significativa, passando dalle attuali 7 tonnellate di CO2 per abitante a 0,5 tonnellate per abitante nel 2050; favorendo altresì la creazione di nuove figure professionali e posti di lavoro. Il Rapporto sottolinea altresì l'importante opportunità di fare della decarbonizzazione dell'economia uno dei pilastri principali per rinnovare il sistema energetico e per rilanciare la ripresa industriale del Paese.
Greenpeace condivide con l'industria delle rinnovabili una serie di richieste prioritarie che la politica dovrebbe implementare per incoraggiare la rivoluzione energetica:
– eliminare tutti i sussidi, diretti e indiretti, alle fonti fossili e al nucleare;
– internalizzare i costi esterni sociali e ambientali della produzione di energia da fonti tradizionali;
– imporre severi standard per l'efficienza energetica in tutte le apparecchiature elettriche gli edifici e i veicoli;
– stabilire obiettivi legalmente vincolanti per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e per la cogenerazione;
– garantire la priorità di accesso alla rete per gli impianti a fonte rinnovabile per la produzione di energia elettrica;
– garantire ritorni sicuri e stabili agli investitori, per esempio attraverso meccanismi di incentivazione con tariffe “feed-in”;
– introdurre e migliorare i sistemi di certificazione e di etichettatura energetica per fornire maggiori informazioni sugli impatti ambientali dei prodotti;
– aumentare i fondi destinati alla ricerca per le fonti rinnovabili e l'efficienza energetica.
Nel rilevare altresì la necessità di quadri normativi stabili nel tempo, al fine di pianificare gli investimenti nel settore energetico, sia in nuovi impianti sia per l'ammodernamento delle infrastrutture, il rapporto di Greenpeace intende fornire quindi un percorso concreto, economico e sostenibile verso la riconversione del sistema energetico in modo da favorire l'indipendenza energetica dell'Italia e affrontare la sfida dei cambiamenti climatici, seguendo quattro principali linee di indirizzo:
1) adottare obiettivi legalmente vincolanti per la riduzione delle emissioni, l'efficienza energetica e le fonti rinnovabili;
2) rimuovere le barriere che limitano lo sviluppo delle rinnovabili e di misure di efficienza energetica;
3) implementare politiche efficaci per la transizione verso un futuro energetico pulito e sostenibile;
4) assicurare infine i finanziamenti per attuare la rivoluzione energetica.
Ricerca e sviluppo
L’importanza degli investimenti in ricerca e sviluppo è un altro dei temi collegati a quello della green economy. E purtroppo la quota di investimenti mondiali in ricerca e sviluppo rivolti alla green economy è ancora relativamente modesta, da pochi punti percentuali a meno del 15 per cento del totale, anche se il trend degli ultimi anni registra un aumento. A ricordarcelo è l’Enea. Il programma delle Nazioni Unite per l'ambiente sostiene che il 2 per cento del Pil mondiale annuo da investire fino al 2050 nei settori chiave basterebbe per uscire dalla crisi economica e ambientale e per favorire la transizione verso un'economia verde. Un recente studio commissionato dall'Unione europea ha stimato il valore del settore europeo delle eco-industrie pari a 319 miliardi di euro, per un totale di 3,5 milioni di addetti. Un analogo studio britannico ha stimato il valore del settore a livello mondiale in 3.800 miliardi di euro nel 2010. Nel nostro Paese, la percentuale di imprese che investono in tecnologie ambientali è fortemente cresciuta, attestandosi intorno al 57 per cento, quasi raddoppiando nel biennio 2010-2011 sia nelle piccole sia nelle medie imprese. Tali valori sono positivi, anche se la grande maggioranza degli investimenti in green economy, a livello sia internazionale sia nazionale si distribuisce in maniera significativa soltanto nei settori della cosiddetta industria ambientale e della produzione sostenibile di energia, mentre pochi investimenti ancora si registrano nel settore dell'industria manifatturiera e di altri settori industriali, ricorda ancora l’Enea. L'industria manifatturiera è responsabile di circa il 35 per cento dell'energia globale impiegata, di oltre il 20 per cento delle emissioni mondiali di CO2, di più di un quarto di estrazioni di risorse primarie, di circa il 10 per cento della domanda globale di acqua, di circa il 17 per cento dell'inquinamento atmosferico. Per rendere verde questo settore, bisogna estendere la vita utile dei manufatti attraverso una più attenta progettazione che consideri il ricondizionamento e il riciclaggio fasi di una produzione a ciclo chiuso, in un'ottica di riduzione drastica dei rifiuti. Il riciclaggio di materiali come l'alluminio, per esempio, richiede solo il 5 per cento dell'energia richiesta per la produzione primaria. Il passaggio alla green economy – evidenzia ancora Enea – implica la capacità di innovare non solo cicli produttivi e consumi, ma anche cultura e stili di vita tramite lo sviluppo e la messa in pratica dell'ecoinnovazione, che tenga conto del profilo economico e delle dimensioni sociali e ambientali come componenti imprescindibili dello sviluppo sostenibile.
Altro settore strategico è la messa in sicurezza del territorio. Secondo stime del ministero dell'Ambiente, questa priorità che ridurrebbe anche un prezzo pagato annualmente in vite umane, richiederebbe 40 miliardi di euro in 20 anni, cioè due miliardi di euro l'anno, con un ritorno annuale, però, di sei miliardi di euro l'anno tra costi di emergenze evitati e sviluppo economico. Con un vantaggio anche per la ricerca scientifica. L’importanza della chimica verde, o green chemistry, è richiamata dalla Cnr. L’istituto di ricerca ricorda che l'Italia ha una forte tradizione nel settore della chimica, ormai obsoleta. La chimica è messa un po’ al bando in quanto considerata fortemente impattante, inquinante, ma ci sono molti siti industriali dismessi o in dismissione, che potrebbero invece essere proficuamente riutilizzati e impiegati nella green economy, e in particolare nella green chemistry. Cnr, proprio sul fronte della ricerca, ricorda che si registra una crescita esponenziale, in tutto il mondo, di pubblicazioni scientifiche dirette proprio verso la green economy in generale e, in particolare, verso la chimica verde o, più correttamente, verso le “biotecnologie bianche”, e cioè quella branca delle biotecnologie che ha portato negli ultimi anni fortissimi sviluppi nella degradazione enzimatica della biomassa che è poi ciò che serve nei processi produttivi: ossia la sostituzione delle materie prime per l'industria petrolchimica con una materia prima rinnovabile, naturale, che porta quasi a zero il bilancio di CO2. È crescente, dunque, lo sviluppo di attività scientifica in tutto il mondo, in particolare nel mondo occidentale. Si tratta forse della nostra unica chance per rimanere competitivi nei confronti di Paesi che presentano un'ampia crescita economica che consente una competitività nella produzione di prodotti consolidati nel tempo. Dal punto di vista scientifico, quindi, il fermento è grande.
In Italia, ci sono già stati investimenti importanti. Ad esempio, il lancio di un bando interno nel Cnr, per partecipare a un progetto premiale per il quale ha ricevuto, incredibilmente, più di 400 risposte dai ricercatori, i quali hanno chiesto di mettere a disposizione le loro competenze perché ritenevano che fossero congrue e ben inquadrate all'interno della chimica verde, e quindi della green economy in generale. L'ente occupa altri spazi nella green economy, come tutta la parte delle energie alternative, dei pannelli solari e così via. Cnr spiega che bisognerebbe spingere su nuove vie per formare i ragazzi in tale campo, in modo che possano essere competitivi con i colleghi europei, per i quali certi ambiti sono particolarmente sentiti da tempo. Basti pensare al Nord Europa, alla Germania, ma anche alla Francia, che è un buon competitor rispetto all'Italia in questi settori. Una formazione, dunque, sarebbe importante, ma dal punto di vista occupazionale la chimica verde, o comunque la green economy in generale, non prevede occupazione solo di altissimo livello. Bisognerebbe riuscire a rilanciare e a ricreare quei poli chimici che erano veramente importanti in Italia, riconvertendoli dal punto di vista “verde”, per inquinare di meno, produrre materiali innovativi, che quindi hanno un alto valore aggiunto, ritornando competitivi sul mercato. Nelle bioplastiche, ricorda ancora la Cnr, l'Italia è molto competitiva. Il fatto che una delle nostre aziende italiane abbia vinto la gara per fornire il catering alle Olimpiadi di Londra con plastiche biodegradabili significa che la competitività esiste, e quindi anche dal punto di vista occupazionale potrebbero esserci vantaggi. Forse non crescerà di molto l'occupazione, ma si salverà quella delle maestranze destinate necessariamente ad andare a casa perché le industrie chimiche, così come sono oggi, certamente non sono sostenibili. Il Cnr sta spingendo una parte importante della ricerca completamente verso questo tipo di approccio green, sicuramente per quanto riguarda la chimica, parte della fisica e gran parte dell'ingegneria, che ovviamente ha una parte importante anche per i riflessi sul settore dell'edilizia, sull'occupazione e sul governo del territorio.Nel nostro Paese ci sono, quindi, eccellenze industriali nel settore della green chemistry, in particolare nel settore delle bioplastiche e in quello dei biocarburanti di seconda e terza generazione, che andrebbero opportunamente sfruttate. In particolare, ci sono imprese che si stanno giocando un po’ il futuro su questo argomento, ad esempio Mossi & Ghisolfi, Novamont, Eni.
Il Gruppo Mossi & Ghisolfi, con sede centrale a Tortona (Alessandria), è leader nell’innovazione applicata al settore del Pet, dell’ingegneria e dei prodotti chimici rinnovabili derivati da biomasse non alimentari. La multinazionale italiana della chimica è presente in cinque Paesi nel mondo (Italia, Stati Uniti, Brasile, Cina ed India), grazie a poderosi investimenti in ricerca e sviluppo (circa 250 milioni di euro). L’azienda è convinta che il futuro della chimica europea è nella biochimica. L'auspicio è un più diffuso utilizzo, nell'immediato, di etanolo di seconda generazione, in miscela con la benzina; successivamente si arriverà alla sostituzione dei prodotti petrolchimici con i prodotti biochimici. Mossi & Ghisolfi sottolinea che i biocarburanti, bioetanolo e biodiesel, si sono affermati da tempo come unica soluzione credibile per raggiungere gli obiettivi fissati per i trasporti. Tuttavia, solo i biocarburanti rispettosi di severi criteri di sostenibilità possono essere conteggiati ai fini del rispetto degli obblighi ambientali e tali criteri diventano progressivamente sempre più stringenti. È per questo che si è cercato negli ultimi anni di sviluppare i cosiddetti “biocarburanti avanzati” (o di seconda generazione), più virtuosi dal punto di vista ambientale e più sostenibili, che non utilizzano materie prime in conflitto con la catena alimentare e che consentono drastiche riduzioni delle emissioni di gas climalteranti. I biocarburanti rispondono anche alla crescente esigenza di individuare alternative ai tradizionali carburanti fossili per il trasporto, ottenuti da materie prime costose e necessariamente di importazione, stante la penuria di materie prime fossili in Europa, compreso il nostro Paese, in cui la capacità estrattiva è di gran lunga inferiore alla domanda (più di dieci volte). Il Gruppo ha messo a punto un’esclusiva piattaforma tecnologica che consente di ottenere biocarburanti e numerosi intermedi chimici a partire da biomasse lignocellulosiche non alimentari. La tecnologia si è dimostrata valida su scala industriale, con un investimento di oltre 150 milioni di euro, nello stabilimento di Crescentino (Vercelli), primo impianto al mondo per la produzione di bioetanolo avanzato, con una capacità installata di 50 milioni di litri all'anno ed in grado di convertire residui agricoli e colture non alimentari (ad esempio, la canna comune). L'impianto di Crescentino riutilizza i sottoprodotti della trasformazione per alimentare una caldaia da 13 MW in grado di soddisfare le esigenze energetiche dell'impianto. Il bioetanolo prodotto consente di risparmiare oltre l'85 per cento delle emissioni rispetto alla benzina, sulla base del bilancio eseguito su tutto il ciclo (coltivazione della biomassa, trasporto, processo di produzione del biocarburante).
Con la stessa tecnologia nel prossimo futuro sarà in grado di produrre, a partire dalle stesse biomasse, non solo bioetanolo, ma anche tutta una serie di prodotti (bio)chimici secondo lo schema della bioraffineria e cioè secondo lo schema che prevede di generare una molteplicità di prodotti dalla stessa materia prima. Il tutto in una logica di valorizzazione dell'intera filiera, che va dal campo al prodotto, e di rispetto per l'ambiente, creando opportunità di reddito integrativo per il mondo agricolo grazie all'utilizzo di residui o di terreni abbandonati. La realizzazione delle bioraffinerie favorirà quindi lo sviluppo della cosiddetta “chimica verde”, alternativa ma complementare alla tradizionale petrolchimica, e cioè una chimica da biomasse non alimentari. Ciò consentirà il rilancio della chimica nazionale, oggi in grave sofferenza, a causa sia dei crescenti costi delle materie prime che della maturità delle tecnologie utilizzate. Le ricadute positive sul sistema Paese sono molteplici, come evidenzia la multinazionale:
– possibilità di affrancarsi anche parzialmente dall’import di greggio, con una stima di almeno il 25 per cento di riduzione della spesa dell’import energetico legato ai trasporti entro il 2030;
– creazione di una filiera agroindustriale che possa rilanciare contemporaneamente sia il comparto agricolo sia quello industriale nazionale, con l'opportunità di riconvertire poli chimici in crisi da anni e con la prospettiva di un mercato europeo del valore stimato al 2020 di oltre 200 miliardi di euro all'anno;
– creazione di nuova occupazione qualificata lungo tutta la filiera su processi e prodotti ad elevato contenuto tecnologico ed eco-compatibili (in tal senso, si stima che oltre un milione di posti di lavoro possano essere creati in Europa entro il 2030);
– supporto allo sviluppo rurale attraverso la valorizzazione di risorse agricole locali;
– opportunità di utilizzare e valorizzare terreni abbandonati o inutilizzabili dall'agricoltura tradizionale o anche scarti agroforestali con evidenti molteplici vantaggi legati alla manutenzione delle aree verdi ed alla gestione dello smaltimento degli stessi scarti;
– vantaggi ambientali in termini di emissioni di gas ad effetto serra grazie a processi che riducono fino all'85 per cento le emissioni di gas clima-alteranti;
– grande opportunità di creare sinergie con la ricerca pubblica, anche attraverso il nuovo cluster della chimica verde, sulla base di tecnologie di avanguardia a livello mondiale.
Altro operatore in campo è il Gruppo Eni, attraverso Versalis, azienda chimica di cui detiene il controllo. La multinazionale italiana punta sullo sviluppo della chimica da feedstock rinnovabili integrato con la chimica tradizionale, per cogliere il grande potenziale della “chimica verde”.
Eni persegue un duplice obiettivo di lungo termine:
1) diversificare, offrendo prodotti a basso impatto ambientale in Paesi in forte crescita, in particolare nel Sud-Est Asiatico;
2) sviluppare la chimica da materie prime rinnovabili, anche riqualificando siti industriali non più competitivi, garantendo così occupazione di qualità e sviluppo di un nuovo indotto con filiere produttive integrate con il territorio.
Sul piano delle scelte concrete da porre in essere da parte delle istituzioni pubbliche, Eni ritiene fondamentale:
1) una visione strategica d'insieme fondata su un equilibrato bilanciamento fra i diversi obiettivi di carattere generale (ambiente, sviluppo, occupazione, competitività, modernizzazione, qualità della vita) che consenta lo sviluppo di un modello industriale “a sostenibilità reciproca”;
2) un effettivo coordinamento tra la Strategia energetica nazionale (Sen), il Programma nazionale di politica industriale (previsto dal ddl collegato alla legge di stabilità), la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (prevista dal Codice ambientale) e il Piano nazionale di azione per l'efficienza energetica.
Tra le altre esperienze, spicca quella di Novamont, realtà di innovazione che lavora sull'uso delle materie prime rinnovabili con l'utilizzo di tecnologie chimiche e ha sviluppato il Mater-Bi, il primo tipo di prodotto di bioplastiche. L'oggetto dell'attività di Novamont è lo sviluppo di prodotti a basso impatto tramite l'utilizzazione di siti deindustrializzati, la valorizzazione della biodiversità locale, cioè materie prime e scarti locali, e di tecnologie in continuo avanzamento. Lo scopo è quello di creare filiere corte che permettano non solo di fare della bioraffineria integrata un'area dove si produce materiale per le bioplastiche, ma anche, con una continua integrazione, di far emergere nuovi tipi di applicazioni. Tra letecnologie messe a punto da Novamont: i prodotti a base di amido, i poliesteri, il butandiolo da fonte rinnovabile.
Novamont rimarca l'importanza delle disposizioni normative sui rifiuti organici del 2006, che hanno definito una volta per tutte un compost di qualità, stabilendo che il compost non può essere fatto da raccolta indifferenziata, ma da raccolta differenziata, e che deve essere raccolto in modo corretto, senza plastiche tradizionali, eventualmente con carta oppure con prodotti biodegradabili. Da questa legge è nata in Italia una grande crescita dell'organico (dai 2,6 milioni del 2006 ai 5 milioni dioggi). Novamont ha inoltre sviluppato un modello italiano per la raccolta differenziata che in questo momento sta giocando un ruolo importante e si sta confrontando con la Germania, prima a livello europeo nella raccolta differenziata dell'umido, ma con un problema molto grave: anche laddove raccoglie in modo differenziato l'organico, ha una percentuale di organico nel resto del rifiuto molto elevata. Il modello di raccolta differenziata italiana, invece, permette con questo sistema di avere una qualità dell'organico molto buona, ma anche di avere nel resto del rifiuto, cioè in ciò che va a discarica, oppure che viene trattato in altro modo, una piccola quantità di organico. Attraverso la combinazione virtuosa di plastiche biodegradabili, laddove c’è un inquinamento da parte di plastiche tradizionali del rifiuto organico, andando a individuare una serie di applicazioni molto specifiche, è possibile immaginare di avere un compost di qualità molto migliore, un resto del rifiuto più facilmente riciclabile e trattabile e uno sviluppo virtuoso di bioeconomia. Questa è una tecnologia che va a risolvere un problema ambientale specifico, creando una filiera importante di notevole dimensione.
I vantaggi apportati da questa tecnologia sono così individuati da Novamont:
– circa un miliardo di euro di investimenti privati in impianti;
– tre primi impianti al mondo con tecnologia interamente italiana in questi settori, che hanno ricadute non soltanto nelle bioplastiche, ma anche nel campo dei biolubfiricanti, della cosmesi e in tantissimi altri settori;
– filiere agricole dedicate, che stanno studiando e sviluppando localmente, collegate direttamente alle bioraffinerie integrate, attività di sviluppo sul territorio;
– fenomeni di reindustrializzazione che occupano sei siti, tenendo conto che la chimica tradizionale delle commodity, in Italia, così come in Europa, non ha più sviluppo;
– la partenza di un cluster della chimica verde che mette insieme le competenze migliori del Paese e i centri di ricerca più importanti d'Italia.
Altra significativa esperienza è quella Tesla Italia Mobilità Green.L'obiettivo dichiarato di Tesla a livello mondiale è quello di accelerare la transizione verso la mobilità elettrica che diverrà la maggiore produzione nel settore automotive. La tecnologia che Tesla utilizza è legata all'infrastruttura di ricarica. Nel sottolineare l'importanza di fornire al cliente un'infrastruttura di ricarica che permetta di ricaricare la macchina nel minor tempo possibile, l’azienda sottolinea la difficoltà di realizzare tale obiettivo con le strutture di ricarica presenti sul territorio italiano; ciò rischia conseguentemente di tradursi nella rinuncia all'acquisto da parte dell'acquirente italiano, potenzialmente interessato a questo veicolo. Al riguardo Tesla ha iniziato l'installazione dei supercharger, che dispositivi a 120 chilowatt che permettono di ricaricare l'auto Model S, prodotta da Tesla, in circa cinquanta minuti. Con riferimento alle norme in vigore negli altri Paesi, l’azienda evidenzia che in California è stato varato un Piano di incentivazione estremamente importante legato allo sviluppo della mobilità sostenibile. Lo Stato californiano si è mosso, da una parte, con un incentivo d'acquisto, variabile da 7.000 a circa 12mila dollari per l'acquisto dell'auto, dall'altra, con un Piano infrastrutturale estremamente importante, che prevede l'installazione di punti di ricarica praticamente ovunque.
In Norvegia, invece, il riferimento principale dal punto di vista dell'incentivazione è rappresentato dalla detassazione dell'auto elettrica. In Italia, come si lamenta l’azienda, manca un programma specifico di sviluppo e di incentivazione all'acquisto di veicoli elettrici, di una regolamentazione precisa sulla gestione del parco circolante dei veicoli elettrici e, soprattutto di una rete infrastrutturale di supporto che permetta anche psicologicamente al potenziale acquirente di avvicinarsi a questo tipo di prodotti. Tesla vede come priorità una regolamentazione legata al parco circolante dei veicoli elettrici. Pur non considerando gli incentivi come la chiave di volta dal punto di vista economico, questi rappresntano un segnale molto importante, perché è rassicurante per il potenziale acquirente osservare il governo e le Istituzioni che investono in quella direzione. Enel ha un piano molto ambizioso per lo sviluppo di infrastrutture di ricarica in Italia per quest'anno e per il prossimo; Tesla formalizzerà una partnership con Enel, una collaborazione, attraverso la quale comunicare al mercato che le strutture Enel sono compatibili con le macchine Tesla, e viceversa.
Esemplare anche la storia di Fater Spa, azienda leader in Italia nella produzione e commercializzazione dei pannolini per bambini Pampers, degli assorbenti femminili Lines e dei prodotti per l'incontinenza Linidor. Fondata nel 1958 dal Gruppo Angelini, è dal 1992 una joint venture paritetica fra il gruppo fondatore e la Procter&Gamble, con sede a Pescara. Impiega attualmente 1.021 dipendenti e circa 1.000 persone nell'indotto. Ha circa un miliardo di euro di fatturato; investe 3,5 milioni di euro l'anno in dati e ricerche sui consumatori; ha quattro stabilimenti di produzione: Pescara, Campochiaro (Campobasso), Porto (Portogallo) Mohammedia (Marocco). Fater Spa da alcuni anni ha orientato le sue attività ad una sostenibilità fondata su pilastri tematici: ambientale, sociale, di innovazione e culturale. Il pilastro ambientale comprende i processi logistico-produttivi, iniziative per ottimizzare l'uso delle risorse, progetti di efficienza energetica, la promozione di forme di mobilità sostenibile. Negli ultimi sei anni ha ridotto del 6 per cento il consumo di metano per unità di prodotto e del 5 per cento il consumo per unità di prodotto di energia elettrica in ambito logistico, ha eliminato dalle strade 6.580 camion, risparmiando così l'equivalente di 4.500.000 chilometri percorsi grazie allo studio di modalità più efficienti di carico dei camion e attraverso l'utilizzo del trasporto via nave per alcune destinazioni. Ha avviato un progetto di mobilità sostenibile dotandosi di mezzi elettrici per coprire i percorsi urbani effettuati dai dipendenti per motivi di lavoro; ha realizzato un impianto di cogenerazione alimentato tramite olio vegetale sostenibile per soddisfare le necessità energetiche dello stabilimento produttivo di Pescara. Nel pilastro sociale confluiscono le attività di responsabilità sociale e ambientale e i sistemi di qualità e sicurezza. Fra i progetti più recenti:
– la riqualificazione della Pineta Dannunziana a Pescara e il contributo alla realizzazione del Ponte Ciclo-Pedonale per migliorare la fruizione della città;
– il finanziamento per la costruzione di un sistema di piste ciclabili a Pescara, in collaborazione con la Provincia;
– attività di formazione sui temi ambientali e della sicurezza sul lavoro verso le circa 200 aziende con le quali collabora. Il pilastro Innovazione comprende le iniziative di prodotto e packaging, il recupero dei rifiuti industriali, il ciclo di vita dei prodotti, le attività con il commercio. L'azienda ha ridotto negli ultimi sette anni il peso dei pannoloni per incontinenza del 19 per cento; Pampers negli ultimi 20 anni ha ridotto il peso dei pannolini del 45 per cento e la dimensione del packaging del 68 per cento. Per quanto riguarda invece la valorizzazione dei rifiuti, Fater avvia a recupero il 100 per cento dei rifiuti industriali dello stabilimento di Pescara. Relativamente alla minimizzazione del post uso dei prodotti assorbenti per la persona, Fater ha ideato il primo sistema sperimentale in Italia di raccolta e riciclo dei pannolini per bambini, assorbenti femminili e prodotti per l'incontinenza usati, di tutte le marche, che consente di eliminare tali prodotti dalle discariche trasformandoli in nuove materie prime utilizzabili in differenti processi produttivi.
Il pilastro Culturale opera infine sull'incentivazione dei comportamenti sostenibili e sul monitoraggio e miglioramento costante delle performance ambientali raggiunte. In tal senso, Fater ha avviato una serie di progetti quali l'implementazione di un sistema di scorecard che coinvolge i singoli dipartimenti aziendali ed è esteso anche ai partner di business. L'obiettivo è monitorare i risultati raggiunti in termini di efficienze ambientali e fornire supporto ai fornitori per sviluppare progetti che possano orientare maggiormente alla sostenibilità l'intera filiera produttiva, logistica e commerciale. Parallelamente al progetto di finanziamento delle piste ciclabili, Fater ha offerto a tutti i dipendenti la possibilità di acquistare a prezzi vantaggiosi biciclette a pedalata assistita per i propri spostamenti in città. Il contributo aziendale copre fino al 70 per cento del costo di acquisto delle biciclette. Infine un’ultima esperienza tra quelle presentate anche alla Camera dei deputati durante l’audizione per la green economy è quella di KiteGen, titolare di una tecnologia nuova, che intende sfruttare i venti troposferici. Il progetto base ha svolto quasi dieci anni di ricerca e adesso è a un livello di industrializzazione. Questa tecnologia promette di abbassare molto il costo dell'energia: 10 euro a megawattora, contro i 200-600 euro a megawattora del fotovoltaico, i 90-160 euro dell'eolico, i 60 euro a megawattora del carbone e i 90 euro a megawattora del nucleare.
KiteGen ha vinto almeno una ventina di bandi italiani, dal Fit (Fondo innovazione tecnologica) per l'energia, al digitale, ai Por, ai Pnr, a Industria 2015, per un totale di progetto di 78 milioni. Ma, per vari motivi, KiteGen non ha mai potuto godere di un supporto italiano su questo progetto, che è stato condotto soprattutto con fondi europei. Attualmente KiteGen è impegnata con l'Alcoa in Arabia Saudita, dove andrà ad installare le centrali, anziché in Italia, dove peraltro l'azienda vorrebbe restare. Il giacimento di energia pulita a basso costo è sempre esistito e si dispiega su di noi sotto forma di immense quantità di energia solare trasformata in nobile energia meccanica mediante il più grande pannello solare a nostra disposizione, l'atmosfera terrestre, un pannello che può essere definito fotocinetico, anziché fotovoltaico, sempre pronto all'uso e manutenuto gratuitamente dalla natura. La rivista “Nature Climate Ch’ange”, nel settembre 2012, stimava la potenza estraibile dal vento troposferico senza apprezzabili modifiche climatologiche in valori prossimi a 1.800 terawattora, ovvero più di cento volte, in termini di flusso energetico, l'attuale fabbisogno di energia primaria dell'intera umanità, stimato in circa 16-18 terawatt. Sulla sola Italia fluisce una potenza totale intorno ai 100 terawatt. Ipotizzando di riuscire a estrarre e rendere disponibile in continuo anche solo lo 0,1 per cento, ovvero 100 gigawatt, da tale giacimento, l'energia ottenibile corrisponderebbe a oltre 800 terawattora all'anno, valore equivalente a una produzione netta di ricchezza endogena stimabile in 60 miliardi di euro l'anno, una ricchezza paragonabile alla bolletta energetica italiana. Il recente sviluppo di tecnologie per lo sfruttamento del giacimento eolico di alta quota, come i materiali polimerici ultraresistenti, le tecnologie dei compositi e la riduzione del costo del supercalcolo parallelo, ha consentito di sviluppare un ampio insieme di brevetti sul concetto KiteGen eolico ad alta quota e di avviare lo sviluppo industriale di questa tecnologia, che consentirà di sfruttare l'immenso giacimento, fornendo finalmente l'energia pulita e a basso costo. KiteGen sta chiedendo l'istituzione di una Commissione tecnica per il riconoscimento, quale fonte rinnovabile di importanza strategica, del vento troposferico e delle tecnologie completamente italiane che ne abilitano lo sfruttamento, mettendo queste in condizioni di parità con le altre fonti energetiche rinnovabili.
La Legge di Stabilità
Nelle scorse settimane, la Camera dei deputati ha approvato a larga maggioranza il Collegato ambientale alla Legge di Stabilità 2014, denominato “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”. Si tratta della prima legge italiana dove viene introdotto il termine green economy. Silvia Velo, sottosegretario all’Ambiente, riassume così il provvedimento, che ora passerà all’esame del Senato. “Sono molte le misure contenute che vanno dai contratti di fiume agli appalti verdi; dalla mobilità sostenibile, al sostegno della quale sono stati stanziati 35 milioni di euro, all’accesso universale all’acqua; passando per la lotta ai cambiamenti climatici. Ma il tema affrontato in maniera più ampia è quello del riuso dei materiali. Il nostro Paese – aggiunge il sottosegretario – può vantare il primo posto in Europa nell’industria del riuso del materiali e con questo provvedimento sosteniamo e incentiviamo un settore che è contemporaneamente vitale per l’economia e per l’ambiente”.
Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera, conferma che il cuore del provvedimento sono le misure che rafforzano il recupero e il riciclo delle materie prime seconde, quelle per la riduzione della quantità di rifiuti prodotti e le disposizioni in sostegno della mobilità sostenibile insieme alla strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile. Sono stati introdotti anche un fondo di investimento per la green economy e agevolazioni sulle tasse sui rifiuti per i comuni virtuosi. Il testo interviene anche sul contrasto al dissesto idrogeologico introducendo misure per la corretta gestione e la valorizzazione dei bacini idrici, e contro l’abusivismo edilizio, in particolare per quanto riguarda le aree del Paese più delicate dal punto di vista idrogeologico. Previsti, infine, interventi per una maggiore salvaguardia dell’ambiente, tra cui l’ampliamento della tutela nei confronti dei disastri ambientali in mare e provvedimenti che tendono a favorire le pratiche virtuose sul fronte energetico.
L’indagine della Camera
La forte attenzione pubblica sul tema della green economy è conseguente anche all’indagine conoscitiva sul tema svolta nei mesi scorsi dalla Camera dei deputati (Commissioni riunite VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici e X-Attività produttive), da cui è emerso che la tematica non costituisce soltanto il modello di sviluppo ormai convintamene indicato a livello internazionale ed europeo, ma anche il modello più aderente alle caratteristiche dell'Italia, cioè “più in grado di tenere insieme e di rinvigorire gli elementi fondamentali dell'identità italiana: la bellezza del patrimonio storico-naturalistico e la qualità delle produzioni, la creatività e l'operosità degli imprenditori e dei lavoratori, la coesione sociale e il rapporto stretto fra economia, territorio e comunità”. Il lavoro parlamentare è partito dall’assunto che il concetto di green economy s’è ampliato nel tempo, fuoriuscendo dal solo ambito ambientale, e in particolare delle energie rinnovabili, per sfociare nell’intera economia, con ricadute sociali nella consapevolezza di dover assicurare un migliore e più equo benessere per tutto il genere umano nell'ambito dei limiti del pianeta. Nel contempo si è sempre più diffuso a livello di comunicazione, nei mass media, nel lessico comune, nelle agende e nelle strategie politiche. L’indagine ha richiamato anche i numerosi e autorevoli studi internazionali che hanno analizzato le opportunità di un'economia verde, passando per il Rapporto Unep 2011 “Towards a green economy: pathways to sustainable development and poverty eradication”, fino al Rapporto Ocse 2012 “Towards green growth”.
Anche a livello di Unione europea, negli ultimi anni, si è svolto un intenso dibattito sulle tematiche dell’economia verde. La Commissione europea, infatti, ha pubblicato documenti importanti come la comunicazione “Rio+20: verso un'economia verde e una migliore governance” (COM(2011)363) e l'agenda per l'efficienza delle risorse stabilita nell'ambito della Strategia “Europa 2020” sulla crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. In particolare, con la tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse, presentata nel 2011 (COM(2011)571), la Commissione ha proposto un quadro d'azione e ha sottolineato la necessità di un approccio integrato in molti settori d'intervento e a più livelli. In tale tabella la transizione verso un «economia circolare», in cui i rifiuti costituiscono una risorsa, ha un ruolo centrale. Nel giugno 2013, il Commissario europeo dell'Ambiente aveva dichiarato che il 2014 sarebbe stato dedicato alla green economy, per stimolare la trasformazione dell'economia europea in un'economia circolare, puntando, in particolare, ad un uso più efficiente delle risorse. L'obiettivo principale è quello di aiutare la transizione verso un'economia a basse emissioni di CO2 e resiliente ai cambiamenti climatici. Lo scorso 2 luglio la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure nel quadro della comunicazione “Verso un'economia circolare: un programma a zero rifiuti per l'Europa” (COM(2014)398), che si basa sul presupposto che da un uso più efficiente delle risorse deriveranno nuove opportunità di crescita e occupazione. La transizione verso un'economia circolare richiede modifiche sostanziali, che implicano l'adozione di nuovi modelli di mercato, nuove modalità di trasformare rifiuti in risorse, nuovi modelli di comportamento dei consumatori. Il pacchetto che accompagna la comunicazione intende creare il contesto che aiuterà a realizzare l'economia circolare, con politiche meglio integrate e con il sostegno delle attività di ricerca e innovazione. Ciò, ad avviso della Commissione, permetterà di sbloccare gli investimenti e attrarre i finanziamenti, incentivando, nel contempo, la partecipazione dei consumatori e il coinvolgimento delle imprese.Il pacchetto, oltre alla comunicazione sull'economia circolare, consta delle proposte seguenti:
– il “Piano d'azione verde per le piccole e medie imprese: aiutare le piccole e medie imprese a trasformare le sfide ambientali in opportunità di business”. Si tratta di una comunicazione (COM(2014)440) che individua una serie di iniziative, proposte a livello europeo e indirizzate alle piccole e medie imprese, per aiutarle a sfruttare le opportunità offerte dal passaggio a un'economia verde, rendendo più efficiente la gestione delle risorse, promuovendo l'imprenditorialità verde, sfruttando le opportunità offerte da catene del valore più verdi e facilitando l'accesso al mercato delle piccole e medie imprese verdi;
– la comunicazione “Opportunità per migliorare l'efficienza delle risorse nell'edilizia” (COM(2014)445), che reca proposte per ridurre l'impatto ambientale degli edifici ristrutturati e di nuova costruzione, migliorando l'efficienza delle risorse e aumentando le informazioni disponibili circa le prestazioni ambientali degli edifici;
– la comunicazione «Iniziativa per favorire l'occupazione verde: sfruttare le potenzialità dell'economia verde di creare posti di lavoro» (COM(2014)446), che reca un quadro integrato per consentire alle politiche del mercato del lavoro di svolgere un ruolo attivo a sostegno della transizione verso l'economia verde. In particolare, la comunicazione si concentra sull'importanza di anticipare e definire politiche delle competenze adeguate a sostenere i lavoratori nel far fronte al cambiamento strutturale, ad assicurare le transizioni nel mercato del lavoro, e a rafforzare la governance e le iniziative basate sul partenariato;
– la proposta di direttiva (COM(2014)397), che modifica le direttive sui rifiuti (2008/98//CE), sugli imballaggi (94/62/CE), sulle discariche (1999/31/CE), sui veicoli fuori uso (2000/53/CE), sulle batterie ed accumulatori (2006/66/CE) e sui rifiuti elettrici ed elettronici (2012/19/CE).
“I citati documenti nel panorama internazionale hanno fatto riferimento a diverse definizioni di ‘economia verde’ – ricorda il testo della Camera dei deputati – a partire dalla definizione di green economy dell'Unep, volta al miglioramento del benessere sociale, alla riduzione dei rischi ambientali e ad un uso efficiente delle risorse, fino a quella di ‘crescita verde’, coniata dall'Ocse, che promuove un modello di sviluppo in grado di garantire alle nuove generazioni le risorse e i servizi ambientali su cui si basa il benessere, e a quelle concernenti lo sviluppo sostenibile e l'utilizzo efficiente delle risorse a livello delle istituzioni europee”. Alle differenti definizioni corrisponde una visione centrata sulla green economy come strategia di sviluppo basata sulla valorizzazione del capitale economico, naturale e sociale. Sul piano energetico, il documento rileva il ruolo fondamentale delle politiche governative di aumento degli investimenti e di incentivi a sostegno delle fonti rinnovabili, congiuntamente ai vari accordi internazionali sui limiti alle emissioni, e dell'efficienza energetica. In particolare il testo sottolinea come la Strategia energetica nazionale (Sen) – documento di programmazione energetica a livello nazionale adottato con il decreto 8 marzo 2013 – indica tra i suoi obiettivi principali il superamento di tutti gli obiettivi ambientali europei (riduzione delle emissioni di CO2, penetrazione delle rinnovabili, riduzione del consumo di energia). Questi includono la riduzione delle emissioni di gas serra del 21 per cento rispetto al 2005 (obiettivo europeo: 18 per cento), riduzione del 24 per cento dei consumi primari rispetto all'andamento inerziale (obiettivo europeo: 20 per cento) e raggiungimento del 19-20 per cento di incidenza dell'energia rinnovabile sui consumi finali lordi (obiettivo europeo: 17 per cento). In particolare, ci si attende che le rinnovabili diventino la prima fonte nel settore elettrico al pari del gas con un'incidenza del 35-38 per cento. Le rinnovabili, lo ricordiamo, costituiscono una parte basilare della green economy, che viene considerata anche un'opportunità per la ripresa economica.
Le previsioni parlano di 170-180 miliardi di euro di investimenti di qui al 2020, sia nella green e white economy (energie rinnovabili ed efficienza energetica), sia nei settori tradizionali (reti elettriche e gas, rigassificatori, stoccaggi, sviluppo idrocarburi). Secondo le Commissioni parlamentari, bisogna quindi mirare ad una nuova visione del sistema economico basata su maggiore condivisione, che passa necessariamente attraverso la sostenibilità dello sviluppo. In tale prospettiva occorrerà puntare su nuove tecnologie, fonti rinnovabili, efficienza energetica, ricerca e innovazione, tutela e promozione del patrimonio naturale e culturale, per riprendere un cammino di sviluppo durevole e sostenibile a fronte della grave crisi economica.L'indagine, come ricorda il testo della Camera – si è posta come contributo concreto alla formazione di una nuova agenda politica nella quale l'ambiente da vincolo possa diventare opportunità economica immediata e la green economy sia posta come orizzonte strategico delle scelte di fondo dell'azione del governo, nelle politiche di bilancio e in quelle fiscali, nelle politiche per la ricerca e per l'innovazione e in quelle per l'occupazione e la formazione, nelle politiche per la difesa del territorio e in quelle per la promozione produzioni agroalimentari, nelle politiche per la competitività del sistema industriale e in quelle per gli investimenti infrastrutturali. Nel dettaglio, le Commissioni congiunte hanno deliberato lo svolgimento dell'indagine conoscitiva il 30 ottobre 2013, istituendo un apposito Comitato di indagine, composto da una rappresentanza di tutti i gruppi politici presenti nelle due Commissioni, con lo scopo di poter procedere in maniera più agile allo svolgimento del ciclo delle audizioni.
L'indagine è stata finalizzata a:
1) individuare il perimetro della green economy, e quindi il contributo che a livello economico-produttivo e a livello ambientale può derivare da tale modello di sviluppo, analizzando anche le potenzialità in termini occupazionali (creazione di nuovi posti di lavoro e di nuove competenze professionali) e di costruzione di nuovi e più elevati percorsi di istruzione e di formazione professionale;
2) delinearne la mappa geografica (presenza nelle diverse aree del Paese) e produttiva (dimensione nel settore manifatturiero, ma anche nell'agricoltura e nel terziario);
3) conoscere i dati sulla green economy nei maggiori Paesi europei ed extraeuropei;
4) valutare l'efficacia delle politiche fiscali e industriali attualmente vigenti ai fini della loro effettiva capacità di influenzare lo sviluppo in termini di maggiore eco-sostenibilità, e individuare nuove più efficaci misure di fiscalità ambientale capaci di orientare maggiormente l'economia verso l'innovazione ecologica;
5) analizzare possibili politiche di sostegno alla riconversione green di aziende altamente impattanti;
6) eseguire una ricognizione completa delle misure e degli strumenti di governance dello sviluppo delle tecnologie e delle produzioni verdi, sia relativamente agli specifici settori dell'eco-innovazione, dell'industria del riciclo, del risparmio e dell'efficienza energetica (in primo luogo nell'edilizia e nei trasporti, ma anche nelle apparecchiature, nell'illuminazione, nei processi produttivi, ecc.), delle fonti energetiche rinnovabili, delle filiere agricole ad alta valenza qualitativa e ambientale, dei servizi ecosistemici (dalla tutela e valorizzazione delle aree protette e dei suoli agricoli, alla conservazione e all'uso efficiente delle risorse idriche e del patrimonio forestale), sia relativamente a profili fiscali e di servizi di credito a sostegno dei processi di eco-convergenza dell'economia italiana.
7) verificare la sussistenza di eventuali profili problematici del modello di sviluppo green economy, individuando proposte normative tese a superare gli aspetti distorsivi eventualmente individuati in un'ottica di maggiore efficienza e produttività. L'indagine si è articolata nelle audizioni di soggetti in rappresentanza dei ministeri dell’Ambiente, dello Sviluppo economico e dell’Economia (nonché di altri ministri titolari di dicasteri con competenze nel settore della green economy quali ad esempio il ministro del Lavoro, il ministro dell'Istruzione, e quello dell'Agricoltura), della Conferenza dei presidenti delle regioni, dell’Anci, del mondo imprenditoriale, del mondo universitario, dell'economia e della ricerca, dei sindacati, di istituzioni ed enti aventi competenza nel settore della green economy, delle associazioni e fondazioni operanti nell'ambito dello sviluppo sostenibile e delle energie rinnovabili, nonché esponenti di enti e organismi che hanno effettuato studi in materia di green economy, delle istituzioni europee e delle associazioni di categoria. Le audizioni sono proseguite fino a giugno 2014.
Gli organismi impegnati
Le audizioni alla Camera sono state utili sia per raccogliere le posizioni della cosiddetta “società civile”, rappresentata da organizzazioni economiche, sindacali, ambientaliste, ecc., sia per avere un quadro quanto mai completo delle varie sfaccettature incluse nel grande bacino della green economy. E’ chiaro che ogni organizzazioni punti alla strenue difesa della propria rappresentanza (inevitabile, ad esempio, la discutibile inclusione dell’intero comparto edile nell’economia verde, sbandierando la riqualificazione in chiave ecologica degli edifici o le nuove costruzioni con caratteristiche sostenibili ad esempio sul piano energetico). Tuttavia la panoramica generale offre indubbiamente degli interessanti spunti per un dibattito a 360 gradi sulla materia. Emblematico il caso della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, che ha fatto da supporto tecnico all'organizzazione degli Stati generali della green economy. Questo processo partecipativo, fondato sul modello della Grenelle de l'environnement francese, ha portato all'elaborazione di una serie di interessanti proposte e di una piattaforma per lo sviluppo della green economy in chiave green new deal, ossia di sviluppo e di risanamento e di prospettiva di crescita per l'Italia. La piattaforma che è stata sviluppata è molto complessa, ma è sintetizzata in dieci proposte principali.
La prima proposta è la riforma fiscale in chiave ecologica a saldo netto zero. L'idea è quella di attivare, anche attraverso una carbon tax, uno spostamento della fiscalità in chiave ecologica. La seconda è quella di attivare programmi per un miglior utilizzo delle risorse europee e per sviluppare strumenti finanziari innovativi per le attività della green economy. La terza è l'attivazione di investimenti che si ripagano con la riduzione dei costi economici oltre che ambientali: il tema centrale di questa proposta sono gli investimenti in infrastrutture verdi.La quarta è un programma nazionale di misure per l'efficienza e il risparmio energetico, con una road map di obiettivi chiari da qui al 2030: tra le misure proposte, c’è quella di rendere permanente e stabile la detrazione fiscale del 65 per cento per la riqualificazione energetica degli edifici. La quinta è l'attivazione di misure per sviluppare le attività di riciclo dei rifiuti. La sesta è la promozione del rilancio degli investimenti per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili: in particolare la Fondazione segnala che eventuali interventi con effetti retroattivi su sistemi di incentivazione esistenti scoraggiano gli investitori e che sarebbe necessario uscire da un sistema basato sulle tariffe, per passare a misure quali le detrazioni fiscali, che potrebbero costare molto poco e avere degli impatti molto grandi. Inoltre il rapporto del Green growthgroup europeo stima la creazione di 6,5 milioni di nuovi posti di lavoro a livello europeo da qui al 2020, lavorando su efficienza energetica e fonti rinnovabili. La settima è rappresentata dall'attuazione di programmi di rigenerazione urbana, di recupero di edifici esistenti, di bonifiche, fermando il consumo di suolo non urbanizzato. L'ottava è quella di una mobilità sostenibile: secondo l'ultimo rapporto dell'Agenzia internazionale dell'energia, il 40 per cento del potenziale di riduzione delle emissioni di CO2 è nei trasporti. La nona investe il tema dell'agricoltura attraverso un sistema di detrazioni fiscali e un fondo specifico per sostenere l'agricoltura di qualità e biologica. La decima riguarda il tema dell'occupazione giovanile lanciando un piano nazionale per l'occupazione giovanile nella green economy, ad esempio, attraverso la riduzione per tre anni del prelievo fiscale e contributivo per l'impiego dei giovani.Questo decalogo riassume molti dei punti che saranno poi toccati dai diversi organismi interessati, a vario titolo, alla materia.
Così il fenomeno del car sharing viene portato ad esempio dal Coordinamento Free che lo indica come esperienza capace di ridurre le spese complessive e il numero di auto sulle strade. L’organizzazione mette sul tappeto anche altre questioni, dalla cosiddetta “chimica verde”, dove il nostro Paese vanta eccellenze di valore mondiale che stanno consentendo di trasformare il vecchio e inquinante petrolchimico di Porto Torres in una bioraffineria, fino al problema dell’accesso al credito, risolvibile in parte attraverso un “fondo di garanzia”, con adeguata dotazione finanziaria, che fornisca alle banche assicurazioni sufficienti a indurle a fornire crediti al settore. Il tema dell’edilizia, comparto da sempre centrale nell’economia nazionale, è molto presente anche nel dibattito sulla green economy. Le organizzazioni del settore mirano ad includere il settore delle costruzioni nel processo della “rivoluzione verde”. Così Green Building Council Italia (Gbc Italia), associazione no profit nata nel 2008, mira a trasformare in chiave ecologica il settore delle costruzioni attraverso, ad esempio, la riduzione di impatto ambientale, la qualità degli ambienti interni e l’utilizzo di materiali adeguati. Green building council punta a diffondere un sistema volontario di certificazione delle performance della sostenibilità degli edifici e dei quartieri, che si chiama Leed, acronimo di Leadership in energy and environmental design, che ha l'obiettivo di cercare di ridurre le emissioni del settore degli edifici, che è quello che impatta maggiormente sull'ambiente. Esistono circa 200mila progetti Leed in tutto il mondo e circa 1,5 miliardi di metri quadri di edifici certificati. In Italia, dal 2000 al 2012 sono stati certificati e registrati Leed 2 milioni di metri quadri di edifici. Si parla di edifici nuovi e anche esistenti. Con la certificazione, il prodotto finale, comprensivo di involucri e di impianti, presenta caratteristiche di qualità certificata, che è quella delle direttive europee, dalla n. 27 del 2012 sull'efficienza energetica nell'edilizia alla n. 31 del 2010 sulla prestazione energetica nell'edilizia. L’idea di Gbc è quella di attivare 100 ecoquartieri per 100 città, con il supporto dei fondi europei, dal momento che l'intera programmazione comunitaria è volta in questa direzione. Resta il nodo di quanto oggi la nuova edilizia, incluso il consumo del suolo, possa davvero risultare strategica per una ripartenza, considerato che anche il mercato delle compravendite immobiliari è fermo.
Sulla stessa linea è l’Ance, associazione dei costruttori, che ricorda i tre macrosettori dell’edilizia: le nuove costruzioni, il patrimonio edilizio esistente e la città in senso lato. Per il primo, per quanto riguarda l'aspetto energia, viene richiamata la direttiva che prevede edifici a energia quasi zero dal 2020, di cui si attendono i decreti attuativi. Nel contempo, è ritenuto necessario il tema dei materiali, in quanto occorre cercare di limitare l'uso di materie prime naturali, quindi non solo quelle energetiche, ma anche i materiali da costruzione.Sul patrimonio edilizio esistente, Ance evidenzia gli incentivi fiscali del 55 e oggi 65 per cento per la parte energetica, misura che secondo l’associazione andrebbe consolidata e rafforzata. Per il terzo ambito l’Ance richiama il concetto di smart city, termine che racchiude al proprio interno la parte energetica, che va dagli edifici ai trasporti, ai sistemi di comunicazione. Andrebbe posta molta attenzione su come favorire e sviluppare il mercato della sostituzione edilizia, perché ci sono singoli edifici e a volte interi quartieri che ormai hanno perso la loro funzionalità: sono energeticamente scadenti, non sono sicuri da un punto di vista sismico, presentano barriere architettoniche difficilmente eliminabili, che quindi ormai non assolvono più alla funzione dell'abitare per come oggi la si intende.
Sul piano delle imprese, Confindustria indica tre strade per l’incremento della green economy nel nostro Paese:
1) porre l'industria al centro delle politiche di sviluppo per forzare la capacità del sistema economico italiano di incrementare i processi di innovazione. Le imprese della green economy – secondo gli industriali – sono infatti fortemente integrate con gli altri settori produttivi (la distinzione tra green e brown economy è, secondo Confindustria, un'astrazione): green economy non vuol dire abbandonare la tradizionale vocazione manifatturiera, ma migliorarne la competitività ambientale e favorire lo sviluppo di nuovi prodotti. Insomma, secondo viale dell’Astronomia occorre evitare che il raggiungimento di obiettivi ambientali alimenti delocalizzazioni produttive, poiché un impoverimento della base industriale si tradurrebbe in minori prospettive di crescita anche per i settori della green economy fortemente integrati. Occorrono quindi politiche industriali in grado di orientare le risorse pubbliche verso le imprese più impegnate sulle nuove frontiere tecnologiche;
2) puntare sull'efficiente utilizzo delle risorse, in particolare quelle energetiche, che rappresentano un fattore decisivo per la tutela dell'ambiente e la competitività delle imprese italiane. In proposito Confindustria sottolinea che la strutturale dipendenza italiana dalle fonti fossili raggiungerà il 95 per cento nel 2030, per cui essere efficienti sul piano energetico è una questione di sopravvivenza. Si auspica quindi, per il settore-chiave manifatturiero, una riduzione del 30 per cento delle componenti parafiscali della bolletta energetica, per restringere il differenziale di costo con i principali Paesi.Secondo Confindustria sarà inoltre cruciale puntare sulle tecnologie per l'efficienza energetica, poiché esse giocheranno un ruolo prioritario – addirittura più delle rinnovabili – al raggiungimento dei target nazionali del pacchetto clima-energia dell'Unione europea. In quest'ambito bisogna puntare su smart building(riqualificazione energetica in edilizia, attraverso automazione, sistemi di riscaldamento innovativi ed elettrodomestici efficienti), urban network (mobilità elettrica,smartlighting, sistemi per l'integrazione delle fonti energetiche rinnovabili, smartgrid) e industrial cluster (motori elettrici ad alta efficienza, inverter di rifasamento, gruppi statici di continuità, tecnologie per teleriscaldamento, teleraffreddamento e cogenerazione ad alto rendimento) e per farlo occorre un quadro di regole stabile nel tempo. In proposito Confindustria auspica: la proroga al 2020 dell'attuale quadro di misure fiscali; il rafforzamento degli obiettivi incentivanti attraverso meccanismi di efficienza energetica, con l'allargamento a nuovi settori di applicazione; la revisione del sistema tariffario per promuovere il vettore elettrico.Quanto proposto, secondo le simulazioni svolte, consentirebbe nel solo periodo 2014-2020, di ottenere una crescita della produzione industriale italiana di oltre 65 miliardi di euro in media annui; un incremento del numero di occupati di circa 500 mila unità; un risparmio del 10 per cento della bolletta energetica nazionale e di circa 270 milioni di euro in termini di CO2 evitata);
3) stimolare investimenti produttivi connessi alla tecnologia per la sostenibilità e alla riqualificazione, recupero e manutenzione dell'esistente, soprattutto per quello che riguarda le risorse ambientali esauribili e non rinnovabili.Da questo punto di vista – secondo Confindustria – bisognerebbe facilitare i processi di bonifica e reindustrializzazione dei siti contaminati per assicurare sia la tutela dell'ambiente e della salute sia il recupero del territorio e il rilancio delle attività produttive. Per raggiungere tali obiettivi, è necessario, secondo gli industriali, agire sul fronte della semplificazione e prevedere efficaci meccanismi di attrazione di investimenti produttivi, anche attraverso l'utilizzo della leva fiscale. Il potenziale dell'Italia in questo settore è notevole, se si pensa alla possibilità di convertire siti non competitivi in bioraffinerie per la produzione di bioplastiche o biolubrificanti.Occorrerebbe ancora puntare, secondo viale dell’Astronomia, sull'utilizzo dei materiali derivanti da lavorazioni industriali come sottoprodotti, anziché avviarli nella gestione dei rifiuti, nonché su accordi di filiera integrata per il mercato nazionale e, soprattutto, internazionale, poiché la domanda dei Paesi emergenti di tecnologiegreen si basa su progetti di ampie dimensioni, strutturati e integrati, nei quali è difficile che la singola impresa possa presentarsi da sola.Infine occorrerebbe definire una politica che promuova l'attività di ricerca e sviluppo per assicurare un alto standard di innovazione, anche attraverso la promozione di partenariati tra industrie, istituzioni e centri di ricerca universitari, oltre a favorire il finanziamento di progetti di sviluppo delle filiere industriali particolarmente interessanti. Viene riconosciuto come valido strumento l'istituzione, da parte della legge di stabilità, di una risksharingfacility per il finanziamento dei grandi progetti di innovazione e ricerca, per supplire al fatto che le banche non sono particolarmente propense a finanziare tali progetti che, per loro natura, sono ad alto rischio e a redditività molto differita nel tempo.
Secondo Rete Imprese Italia la green economy rappresenta il modello su cui bisogna orientare l'economia per poter uscire dalla crisi. Al primo posto l’organizzazione indica l'efficienza energetica e le fonti rinnovabili, che hanno prodotto in Italia oltre 500mila impianti, ma hanno mantenuto anche l'occupazione in oltre 100mila piccole e micro imprese. Altrettanto – secondo l’organizzazione – si può dire in edilizia, dove in un periodo di profonda crisi le 650mila piccole e medie imprese del settore hanno visto negli interventi di efficienza e di riqualificazione energetica e di ristrutturazione degli immobili un polo di sviluppo in controtendenza con la crisi. Rete Imprese Italia cita poi altri esempi relativi alle manifatture a cominciare dalle attività legate al riciclo dei rifiuti e al recupero dei materiali. Solo nel settore del recupero e del riciclo delle materie plastiche, si registrano oltre 300 piccole e medie imprese, che sommano oltre 2.000 dipendenti e producono già 700mila tonnellate di prodotti riciclati, cioè 700mila tonnellate di prodotti in meno che dovrebbero essere importati, evitando quindi un'importazione, che fino a poco tempo fa aveva ad oggetto prodotti riciclati provenienti dai Paesi asiatici non connotati né da garanzie igieniche né da atossicità degli stessi prodotti.
Assorinnovabili sottolinea come i dati sui disastri naturali mostrino una forte correlazione con l'aumento delle emissioni di CO2 e che quindi, agendo sui fattori di emissione, è possibile intervenire pesantemente per cambiare la situazione. Ma per farlo occorre rimuovere una serie di ostacoli allo sviluppo delle fonti rinnovabili, peraltro in contrasto con le linee guida europee, quali: l'estensione della Tobintax alle aziende che fatturano più di tre milioni di euro; la mancanza, ormai quinquennale, di ogni regolamentazione sull'autoproduzione, sulle SEU e sulle reti private; la mancanza di qualsiasi incentivo e di qualsiasi idea sulle modalità per inserire l'accumulo elettrico negli impianti a fonti rinnovabili, per ridurre l'impatto con la rete; l'imposizione di oneri di sbilanciamento non discussi dal punto di vista tecnico per misurarne davvero i valori; osserva altresì che sono stati tolti quei vantaggi che venivano dati a chi riusciva a ridurre le perdite della rete considerato che il vantaggio dato dalla generazione distribuita è stato ridotto drasticamente ed è praticamente sparito.
Il consorzio Rimedia richiama il tema dei rifiuti elettrici ed elettronici (Raee), che può rientrare tra le attività nell'ambito dello sviluppo di un’economia sostenibile e anche della creazione di posti di lavoro in un settore con rilevanti potenzialità. Dall'entrata in vigore del decreto legislativo 151/2005 il settore è infatti in continua espansione sia come numero di imprese e di addetti che in termini di sviluppo tecnologico e, anche alla luce dei nuovi obiettivi imposti dall'Unione europea, si attende un ulteriore e crescente sviluppo.
Riprendendo le criticità sollevate dall'Ocse, Fise Assoambiente lamenta l'assenza di un Piano nazionale per la gestione dei rifiuti efficace e la mancanza, nel sistema autorizzativo, di un quadro normativo certo, stabile ed omogeneo. Vi sono autorizzazioni completamente diverse fra loro. Alcuni impianti sono classificati come smaltimento, altri come impianti di recupero.
E l’agricoltura?
“Integrazione” è la parola-chiave per l’ingegner Riccardo Pietrabissa, docente del Politecnico di Milano e presidente del Network per la valorizzazione della ricerca universitaria. Secondo l’illustre scienziato, gli ambiti applicativi della green economy, quali l'agricoltura, l'alimentazione, l'ambiente, l'energia, le materie prime e i rifiuti, devono essere integrati in un unico progetto. L'altro ambito d'integrazione è quello dell'università, del sistema pubblico, della ricerca e dell'alta formazione. Il terzo, infine, riguarda gli investimenti senza i quali non è possibile alcun progetto.
Fabio Fava, rappresentante italiano nel Comitato bioeconomia di Horizon 2020, ribadisce l'importanza di attuare politiche nei settori come l'agricoltura e le foreste, dove si potrebbe aumentare la fertilità, utilizzare le aree incolte, inserire tecniche di coltivazione che possano favorire la produzione di biomassa primaria. Inoltre sottolinea la necessità di una gestione più razionale delle risorse idriche garantendo la purezza dell'acqua e la possibilità che siano utilizzate per l'acquacoltura e per la produzione di energia; ancora evidenzia la necessità di intervenire al fine di mantenere il mare in salute e al fine di un suo utilizzo per la produzione di energia, auspicando un potenziamento dell'industria alimentare e delle bioraffinerie.
Copagri, la confederazione dei produttori agricoli, parte dal riconoscimento dell'agricoltura come avanguardia della nuova economia moderna. Per l’organizzazione del comparto primario, l’agricoltura non solo non è residuale, ma è in crescita in termini qualitativi e di valore umano, così come crescono le facoltà di agraria e i nuovi imprenditori agricoli giovani.Nella nuova green economy, quindi, occorrerebbe un'agricoltura tecnologicamente avanzata e ambientalmente sostenibile in grado di garantire prodotti salubri e di qualità. Ma la green economy – secondo la confederazione – si fa soltanto all'interno di un grande quadro di scelte politiche e di investimenti finanziari. Occorre insomma una forte governance che indirizzi e incoraggi questo percorso, per esempio risolvendo il problema dell'accesso al credito, perché non è possibile fare green economy, cioè cambiamento tecnologico e modernità, senza credito. Per Copagri occorre quindi deburocratizzare, semplificare, specialmente per il mondo della piccola impresa agricola italiana. Un caso esemplare è quello della gestione degli scarti in agricoltura, del loro riutilizzo sia a fini energetici sia in altro modo: il riciclo degli scarti e la produzione di biogas vengono sostenuti da Copagri come priorità energetica (rispetto ad esempio al fotovoltaico a terra che sottrae terreni) del settore agricolo.
L’Alleanza delle cooperative italiane ricorda di puntare, ad esempio nell'agricoltura tradizionale, aggiungendo la componente energetica, su un uso del territorio che sia non solo sostenibile, ma anche innovativo. In questo senso l'Alleanza apprezza la direzione intrapresa con il disegno di legge sul consumo di suolo.
Cobase, organizzazione scientifica indipendente accreditata a partecipare al lavoro di varie convenzioni internazionali, fa proprio il principio della bioeconomia, consapevole della scarsità delle risorse e che i processi non sono ciclici, contrapposta quindi all'economia neoclassica, basata sull'assunto che le risorse sono infinite ed è possibile, di volta in volta, trovare nuovi equilibri e tornare alla situazione precedente la crisi. Se l’economia neoclassica è quindi statica, fondata sulla possibilità di riprodurre i processi e di trovare costantemente un equilibrio attraverso la variazione delle tre variabili fondamentali, capitale, lavoro e risorse, viceversa la bioeconomia si distingue anche dall'economia verde, presentata come un insieme di attività volte genericamente a salvaguardare l'ambiente e a produrre nuovi livelli di occupazione. Esiste, secondo Cobase, una profonda discriminante di natura tecnico-scientifica per distinguere le attività economiche che possono far parte dell'economia verde e quelle che, prendendo spunto da un approccio bioeconomico fondato sui rendimenti del sistema, sono da considerarsi operazioni di pura cosmesi, se non vere e proprie mistificazioni. Nella mission di Cobase rientra il sostegno alla penetrazione dell’agricoltura e della biodiversità in città, non separando più l'agricoltura dalla biodiversità e favorendo l'utilizzo di orti sociali e delle serre e con la realizzazione di parchi agro-ecologici. Si tratta di rideterminare intorno alle città situazioni agricole strettamente collegate, che abbiano la caratteristica di realizzare prodotti qualificati, tradizionali e locali e di garantire la salvaguardia della biodiversità locale (piante e animali) di fronte alla prospettiva che si determini un'appropriazione globale di cibi globali, a basso costo, che verranno distribuiti nelle situazioni generali.
Il tema della correzione delle distorsioni commerciali nella distribuzione di generi alimentari e nel consumo degli alimenti e del cibo, che determinano enormi sprechi, è richiamato da Federambiente. L’organizzazione ricorda, inoltre, che ogni anno vengono usate nove miliardi di bottiglie di plastica e solo il 50 per cento viene effettivamente riciclato, mentre la restante parte finisce negli inceneritori. Inoltre andrebbe incentivata la raccolta differenziata delle “frazioni organiche” e la successiva produzione di compost, anche se “fuori specifica” (cioè non riutilizzabile come concime ma solo, ad esempio, per riempimenti), perché è un’attività che comunque sequestra CO2 dall'atmosfera.
Posizione decisamente più radicale è quella del Movimento per la decrescita felice, che ribadisce la necessità, in un momento di crisi e di cambiamento epocale come l'attuale, di rimettere in discussione dei veri e propri dogmi contemporanei, in primis quello della necessità della crescita continua del Prodotto interno lordo. La credenza diffusa – evidenzia il movimento – è quella che l'aumento del Pil comporti necessariamente un aumento dell'occupazione e quindi della domanda e del benessere generale; i dati reali dimostrano invece che tale automatismo non esiste. Quello della crescita del Pil sembra diventato l'unico parametro per misurare il nostro benessere, e la felicità sembra essere misurata attraverso la quantità di cose che possono essere comprate e possedute: occorrerebbe una virata decisa dalla quantità alla qualità della produzione, attraverso un programma di recupero ambientale, economico ed energetico.Secondo l’organizzazione, sarebbe necessario cambiare le priorità anche nella definizione delle spese produttive: ad esempio spese finalizzate tramite project bond alla realizzazione delle grandi opere anzitutto costituirebbero un debito a carico delle future generazione, poi sarebbero foriere di grandi danni ambientali avendo in genere un impatto di grande rilievo ed infine creerebbero poca occupazione perché il flusso economico si concentrerebbe su poche imprese. Diverso sarebbe invece indirizzare le risorse esistenti verso una serie di piccoli cantieri operanti nella realizzazione di lavori quali l'efficientamento energetico, le bonifiche ambientali, la messa in sicurezza del territorio: questo tipo di investimento genera molti posti di lavoro in più ed è una spesa qualitativamente valida.
Passando al mondo sindacale, Cgil ritiene che tutti gli incentivi rispetto alle infrastrutture e al rilancio industriale devono essere mirati e indirizzati verso la green economy, verso l'innovazione diretta alla difesa e soprattutto al mantenimento dell'ambiente in condizioni che garantiscano il futuro delle nuove generazioni. Secondo la Cgil, la proposta di legge sul contenimento del consumo di suolo non prosegue l'iter perché non si riesce a comprendere come si vogliano realizzare gli interventi sul territorio. Sarebbe necessario un indirizzo rispetto alla ristrutturazione e alla riqualificazione urbana.
L'Ugl focalizza l'attenzione sulla necessità di sviluppare un dibattito per individuare percorsi concreti, finalizzati alla crescita verde secondo il concetto Ocse, effettiva, socialmente equa, incisiva nel combattere la povertà globale, ma anche quella silente, sempre più emergente nel vecchio continente e nella nostra Italia.
Le proposte dell'Ugl sono in sintesi:
– adozione di nuovi modelli economici e sociali per educare allo sviluppo sostenibile, anche con il coinvolgimento della scuola;
– rafforzamento della governance della politica energetica comunitaria;
– maggiore attenzione alle particolari categorie di utenti finali, come imprese di settori strategici e famiglie, a iniziare da quelle inserite nelle fasce deboli;
– avvio e potenziamento di programmi formativi, per favorire la creazione di nuova, ulteriore occupazione e la riqualificazione professionale del personale già occupato;
– ridefinizione della rete di distribuzione dell'energia, propedeutica a un passaggio a un sistema di una generazione diffusa;
– interventi normativi e regolamentari per ridurre gli ostacoli burocratici e per sostenere lo sviluppo delle energie rinnovabili;
– incentivazione al recupero di efficienza, risparmio energetico in tutti i settori;
– miglioramento del mix energetico;
– coinvolgimento strategico del territorio;
– avvio di programmi di informazione e sensibilizzazione dei cittadini;
– sostegno alla ricerca e all'innovazione anche attraverso incentivi fiscali ed economici, per stimolare le sinergie fra pubblico e privato;
– recupero della Strategia energetica nazionale (Sen).
Secondo la Cisl la green economy non deve esaurirsi in un ragionamento di nicchia, ma deve intendersi come economia ambientalmente e socialmente più orientata, dove i parametri ambiente e lavoro devono costituire gli elementi fondanti del nuovo sviluppo e in cui occorre garantire maggiore partecipazione dei lavoratori e delle rappresentanze sindacali che non è automatica nella green economy. Una proposta pragmatica del sindacato è quella di portare la green economy nella contrattazione, per esempio introducendo i parametri ambientali come elemento fisso del premio di produttività. Sulla fiscalità ambientale la Cisl è pienamente d'accordo, nella misura in cui va ad alleggerire la pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese, così come è d'accordo sullacarbon tax. Secondo la Cisl tale tassa deve raggruppare alcune tasse che già ci sono (per esempio sui combustibili e sui carburanti) e anche sostituire l'Ets che non funziona e non ha mai funzionato. Con la carbon tax inoltre si potrebbe fare un diverso approccio al post-Kyoto perché questa imposta potrebbe essere uno strumento contro il dumping sociale e ambientale.
La Uil sottolinea come ci sia attualmente un forte interesse delle categorie dei lavoratori alle tematiche della green economy, dagli agricoltori ai lavoratori edili, che senza l'ecobonus avrebbero avuto probabilmente una situazione tragica. Così come sta crescendo un po’ dappertutto l'idea che la nostra economia si salva sul piano dalla qualità, ma non sul piano del prezzo più basso.La Uil evidenzia altresì il ruolo chiave che può avere la pubblica amministrazione sia sul piano degli acquisti verdi, sia su quello della revisione degli immobili (rimettere a norma gli edifici più vecchi della pubblica amministrazione determinerebbe un risparmio di 92 milioni all'anno, detraendo i costi della ristrutturazione).
Tra i rappresentanti del governo presenti all’audizione, anche il sottosegretario per le Politiche agricole, alimentari e forestali Giuseppe Castiglione.Secondo il rappresentante del ministero delle Politiche agricole, rientra nella green economy la dimensione sostenibile dell'agricoltura che integra le risorse naturali locali e i processi biologici per ripristinare e migliorare la fertilità del suolo, favorire un uso più efficiente dell'acqua, aumentare la biodiversità delle colture e del patrimonio zootecnico, ridurre l'uso della chimica per la gestione di parassiti e infestanti e promuovere l'occupazione all'interno di aziende agricole di piccola scala. L'agricoltura offre quindi importanti opportunità pratiche in termini di green economy, anche legate alla mitigazione degli effetti e all'adattamento ai cambiamenti climatici attraverso azioni di carbon sequestration e l'aumento della resilienza del suolo che, per la maggior parte, va attribuita alla presenza di una maggiore biodiversità. In quest'ottica il ministero delle Politiche agricole ritiene che l'agricoltura dovrà essere sempre più orientata a conseguire: riduzione dell'emissione dell'anidride carbonica nell'aria ed aumento del contenuto di carbonio organico nel suolo, attraverso l'adozione di apposite tecniche colturali; diminuzione e razionalizzazione dei fattori necessari alla produzione agricola (acqua prodotti chimici); razionalizzazione del processo produttivo zootecnico e dell'uso delle macchine agricole; preferenza per processi produttivi a basso bilancio energetico; tutela della biodiversità vegetale ed animale. Il rappresentante del ministero sottolinea che la natura sostenibile dell'agricoltura come nuovo modello produttivo ha trovato collocazione anche all'interno del primo pilastro della Politica Agricola Comune, se si considera che, all'interno della nuova strutturazione dei pagamenti Pac, trova ampio spazio il pagamento per pratiche agricole benefiche per l'ambiente (mantenimento di prati e pascoli permanenti, oltre che delle colture arboree, presenza di isole ecologiche (Ecological Focus Area – Efa), ovvero di porzioni di superfici a seminativo sottratte alla produzione, dove è vietato l'uso di pesticidi e fortemente limitato l'utilizzo di fertilizzanti) alle quali è destinato il 30 per cento del massimale nazionale dei pagamenti diretti condizionato al rispetto di talune misure finalizzate alla resilienza ai cambiamenti climatici, al mantenimento della biodiversità, allo stoccaggio della CO2, alla conservazione del suolo. Anche le politiche del secondo pilastro prestano particolare attenzione alla sostenibilità ambientale delle attività agricole, visto che il totale della spesa pubblica, Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr) più il co-finanziamento, nel settennio 2014-2020, ammonterà complessivamente a circa 21 miliardi di euro, di cui il 38,8 per cento destinato a obiettivi di carattere ambientale, in particolare a misure dirette a orientare i comportamenti aziendali verso pratiche più sostenibili e con finalità multiple, quali la riduzione dell'uso delle risorse idriche e energetiche, il miglioramento della qualità dei suoli, il mantenimento del paesaggio rurale o lo stoccaggio di carbonio, pratiche che impegnano gli operatori agricoli oltre il dovuto, e che devono, pertanto, essere compensate.
Il rappresentante del ministero delle Politiche agricole concentra la sua attenzione su uno dei comparti – emblema della green economy: le agro-energie, e quindi la produzione di energia da biomasse e biogas utilizzando prevalentemente scarti e residui delle produzioni agricole e agro-alimentari, che hanno avuto un'enorme diffusione negli ultimi anni. Infatti più di mille degli impianti a biomasse e a biogas realizzati fino a febbraio del 2014 risultano di proprietà di imprese agricole, con un contributo al fatturato del settore pari a circa 2,5 miliardi di euro e con una stima in termini di occupazione di circa 1.600 occupati solamente per gli impianti di biogas, senza poi considerare l'intera filiera legno-energia che comprende 80mila imprese per oltre 500mila lavoratori. Alla promozione delle agro-energie è poi finalizzato il Decreto bio-metano del 5 dicembre 2013 che offre al settore agricolo opportunità di integrazione del reddito del tutto nuove in un settore fortemente innovativo. Il rappresentante del ministero delle Politiche agricole evidenzia l'orientamento del dicastero a proseguire la promozione in tale settore favorendo la semplificazione delle procedure collegate alla gestione degli interventi agro energetici, l'effettiva attuazione del Decreto bio-metano, nonché il proseguimento degli interventi di efficienza energetica avviati con il decreto 6 luglio 2012 e con quello “conto termico” (interventi di efficienza energetica), anche al fine di evitare la sperequazione territoriale che ha accompagnato la crescita delle fonti rinnovabili in ambito agricolo, particolarmente concentrate nel Nord-Italia, mentre anche le Regioni meridionali offrono un notevole potenziale di biomasse da valorizzare. In tale prospettiva il ministero delle Politiche agricole ha attivato il Tavolo di filiera per le bio-energie al quale partecipano tutti gli attori della filiera e delle amministrazioni centrali e locali, con il compito di arrivare a un Piano di settore che prevede come azioni prioritarie: un ruolo centrale dell'agricoltura per lo sviluppo delle energie rinnovabili, interventi per la ricerca e l'innovazione, maggior diffusione di attività di formazione e informazione, efficienza energetica, sviluppo sostenibile delle energie rinnovabili e bio-raffinerie con la previsione di attivare un tavolo specifico per la chimica verde.
Il rappresentante del dicastero conclude evidenziando come la crescita di produzioni basate sulla chimica verde costituisce la nuova frontiera di sviluppo strettamente collegata alle produzioni agricole e in particolare alla valorizzazione dei sottoprodotti e dei residui ma anche di colture che non contrastino con quelle a finalità alimentare, anche grazie alla re-introduzione di pratiche di avvicendamento colturale. In tale prospettiva occorrerà abbattere gli attuali costi eccessivi dei bio-prodotti per le basse rese di processo, valorizzando quindi tutti i co-prodotti e scarti generati nelle differenti fasi del ciclo produttivo, includendo anche una destinazione energetica dei residui finali, senza comunque dimenticare la necessità di semplificazione degli iter burocratici/amministrativi per la realizzazione degli impianti, l'esigenza di maggiore chiarezza normativa che aiuti i consumatori e produttori ad orientarsi nella difficile «lettura» delle loro scelte di consumo e il riconoscimento del valore sociale ed ambientale dell'innovazione che viene immessa sul mercato, senza che questo comporti necessariamente incentivi economici specifici.