Le chiamano “Agromafie” a voler indicare le organizzazioni criminali di stampo mafioso che tempo fa hanno spostato le proprie mire sull’intero sistema agroalimentare, nel quale hanno presto trovato un ambito privilegiato di impiego dei proventi illeciti e una straordinaria redditività per le diverse attività illegali poste in essere. Sono l’espressione dell’evoluzione della malavita, che ha ormai contaminato l’economia legale del comparto, aggredendo sia la produzione che la distribuzione e la vendita ed esercitando il proprio potere attraverso la finanza, gli incroci e gli intrecci societari, la conquista di marchi prestigiosi, il condizionamento del mercato, l’imposizione degli stessi modelli di consumo e l’orientamento delle attività di ricerca scientifica.
Dunque, il settore agroalimentare, a tutti noto come quello di maggiore tradizione del nostro Paese e che meglio di altri ha saputo resistere alla congiuntura economica negativa degli ultimi anni, vive un drammatico risvolto, di cui la gran parte dei cittadini ancora non coglie la reale portata: si pensi all’incredibile business parallelo delle Agromafie, che, secondo le stime della più recente indagine dell’Eurispes, nell’anno scorso ha generato un volume d’affari superiore ai 16 miliardi di euro.
E vi è un dato preoccupante che emerge dagli ultimi studi: la ristorazione è uno degli ambiti più appetibili per la criminalità organizzata, che giunge a compromettere da un lato il libero mercato e dall’altro la qualità e la sicurezza dei prodotti stessi.
Non lascia indifferenti quanto si legge testualmente nel Terzo Rapporto sui Crimini Agroalimentari presentato a Roma nel gennaio 2015: “Le attività ristorative sono molto spesso tra gli schermi “legali” dietro i quali si cela un’espansione mafiosa sempre più aggressiva e sempre più integrata nell’economia regolare”. Nella relazione si aggiunge: “Gli esercizi ristorativi rappresentano efficienti coperture, con una facciata di legalità dietro la quale è difficile risalire ai veri proprietari e all’origine dei capitali”. Per poi così concludere: “Le operazioni delle Forze dell’Ordine indicano con chiarezza gli interessi di tutte le organizzazioni criminali nel settore agroalimentare, ma anche in modo specifico nella ristorazione nelle sue diverse forme, dai franchising ai locali esclusivi, da bar e trattorie a ristoranti di lusso e aperibar alla moda”.
E nel medesimo Rapporto viene pure riportato che sarebbero “5.000 i locali di ristorazione in Italia, da Nord a Sud, in mano ai clan”.
E’ in questo contesto, poi, che si è registrato un incremento del cosiddetto money dirtyng, che è esattamente speculare al riciclaggio: a differenza di quest’ultimo nel quale i capitali ‘sporchi’ affluiscono nell’economia sana, per contro, nel money dirtying sono i capitali puliti ad indirizzarsi verso l’economia sporca. Un fenomeno che, nel settore del food & beverage, assicurerebbe un transito di circa 1,5 miliardi di euro sotto forma di investimento dall’economia sana a quella illegale, vale a dire circa 120 milioni di euro al mese, 4 milioni di euro al giorno.
Un allarme di analoga sorta è stato lanciato anche da Legambiente nell’ultimo Rapporto sulle Ecomafie, presentato l’estate scorsa all’EXPO di Milano. Il lavoro di censimento e analisi condotto dall’associazione in riferimento a tutto il 2015 ha rimarcato, nel denunciare una vera e propria aggressione in atto al Made in Italy gastronomico, che “a tavola siede il gotha della malavita con 30 famiglie criminali coinvolte” e che “dall'agromafia il nuovo fronte della criminalità organizzata interessa la ristorazione, attraverso l'acquisizione da parte dei clan di ristoranti, alberghi, pizzerie, bar che diventano luoghi ideali per proseguire i propri affari e ripulire il denaro sporco”.
Non bastasse ciò, il Quarto Rapporto sulle Agromafie, curato – come i precedenti – da Eurispes e presentato a Roma pochi mesi fa, ha evidenziato che la ristorazione è in cima alla black list dei settori più colpiti dalla frodi alimentari. Tale primato negativo è emerso sulla base del valore dei sequestri effettuati nel 2015 dai Nuclei Anti Sofisticazione (Nas). I 38.786 controlli operati dai Carabinieri hanno condotto al sequestro di 25,2 milioni di prodotti alimentari adulterati, contraffatti, senza le adeguate garanzie qualitative-sanitarie o per carenze nell'etichettatura e nella rintracciabilità (per un totale di 436 milioni di euro): la percentuale più alta, il 24%, ha coinvolto proprio la ristorazione, con, a seguire, il 18% relativo al settore della carne e salumi e l'11% a quello delle farine, del pane e della pasta.
Ebbene, ritengo che una costante e corretta azione informativa che contribuisca a diffondere e radicare un’autentica e profonda coscienza della legalità agroambientale – che personalmente indico da tempo e ovunque come una priorità sociale nel nostro Paese – non possa ignorare o tralasciare questi dati, che, mentre forniscono uno spaccato preoccupante di questo comparto, nel contempo esaltano e ci chiedono di decantare i tantissimi operatori del settore che hanno scelto, anche con grande sacrificio, la strada dell’onestà e del rispetto delle regole.