La Francia si riconferma il Paese più virtuoso al mondo. Lo ha stabilito la terza edizione del Food Sustainability Index (FSI) l’indice che analizza le performance di 67 Paesi in base alla sostenibilità del loro sistema alimentare e al reddito. I Paesi presi in esame rappresentano oltre il 90% del PIL globale e i 4/5 della popolazione mondiale. Il Food Sustainability Index è stato sviluppato dal Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN) in collaborazione con The Economist Intelligence Unit. L’edizione 2018 si concentra principalmente sulle best practices nel campo della sostenibilità alimentare che contribuiscono a raggiungere i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile ed è stato presentato in occasione del 9° Forum della Fondazione BCFN su Alimentazione e Nutrizione, tenutosi a Milano.
La Francia rimane leader indiscussa in sostenibilità alimentare, grazie all’ottima performance ottenuta sui tre pilastri alla base del Food Sustainability Index: spreco di cibo, agricoltura sostenibile e sfide nutrizionali. Il Paese d’Oltralpe viene riconosciuto il migliore per aver adottato politiche concrete per la riduzione dello spreco, sia a livello industriale che domestico, in un mondo dove circa un terzo di tutta la produzione globale di cibo viene buttata via. Tra i casi virtuosi, la legge che impone ai supermercati di ridistribuire agli enti di beneficenza che servono le comunità povere il cibo avanzato o prossimo alla scadenza, ma anche la costruzione di infrastrutture solide in grado di minimizzare le perdite lungo la catena di distribuzione.
Tra i Paesi a basso reddito, il Ruanda mostra la performance complessivamente migliori. Se da una parte le abitudini alimentari del Paese sono caratterizzate da diete a basso contenuto di zuccheri, grassi saturi e sodio che permettono al Ruanda di distinguersi tra quelli della stessa fascia per le sfide nutrizionali, dall’altra la malnutrizione rimane un problema che deve essere affrontato prontamente. La prevalenza della denutrizione è elevata (41,1% della popolazione, secondo i dati della FAO) così come la ridotta altezza per età causata proprio dalla malnutrizione cronica tra i bambini sotto i cinque anni. Tuttavia, il Ruanda è il Paese con i migliori risultati tra quelli dell'Africa subsahariana sul fronte della carenza di micronutrienti. Il Ruanda si distingue anche per pratiche agricole sostenibili come, per esempio, la sostenibilità dei prelievi di acqua destinata all’agricoltura proveniente da fonti rinnovabili. Un indicatore fondamentale perché l'agricoltura è responsabile nel mondo del 70% dei prelievi globali di acqua dolce.
Tra i 23 Paesi a medio reddito, la Colombia quello che si distingue maggiormente in agricoltura sostenibile e sfide nutrizionali. L'agricoltura sostenibile, così come la buona gestione e la conservazione delle risorse idriche, rappresentano i punti di forza del Paese. Tuttavia, ci sono ancora margini di miglioramento in una serie di settori, ad esempio sul fronte delle sfide nutrizionali. Pur avendo la Colombia un’alta prevalenza di sovrappeso e obesità (il 59% degli adulti e il 24% di bambini e adolescenti), il Paese sta puntando molto sull’educazione alimentare e, dal 2012 ha avviato un Piano Nazionale sulla Sicurezza Alimentare e Nutrizionale (PNSAN), un programma educativo che promuove diete salutari e programmi ad hoc sulla base delle differenti necessità della popolazione.
ITALIA: SFIDE NUTRIZIONALI DA SUPERARE, MEGLIO AGRICOLTURA SOSTENIBILE E LOTTA A SPRECO
L’Italia, secondo l’analisi del Food Sustainability Index, ha davanti una serie di opportunità interessanti da cogliere per migliorare ancora sotto il profilo della sostenibilità alimentare e ambientale. Le sfide maggiori continuano a riguardare il campo della nutrizione dove, pur rimanendo molto alta l’aspettativa di vita, pari a una media di 83 anni (come Spagna e Australia, ma meno del Giappone che arriva a 84), cambia l’“aspettativa di vita sana” che, per questo indicatore, si abbassa a 73 anni. Determinante, in questa situazione, la percentuale di persone sovrappeso o obese, che registrano picchi fra i più giovani che, nella fascia 5-19 anni, riguarda il 37% della popolazione. E che sale al 59% tra gli adulti. Allontanamento dalla Dieta Mediterranea e da modelli alimentari sostenibili, uniti ad una scarsa propensione all’attività fisica, sembrano essere le principali cause di questa situazione, che potrebbe – anche in futuro – portare a un peggioramento dello stato di salute degli italiani.
Discorso diverso merita lo spreco di cibo dove, a fronte di un 2% di cibo gettato rispetto al totale che viene prodotto (un risultato importante se paragonato alla totalità dei Paesi analizzati, ma migliorabile rispetto agli altri membri UE), si registrano circa 65 Kg/anno di cibo sprecato a persona. Un numero ancora piuttosto alto che però il Bel Paese sta provando a ridurre significativamente. A cominciare dalle politiche recenti, come la Legge Gadda del 2016, che aiuta nella donazione di cibo alle associazioni del terzo settore o il piano nazionale di riduzione dello spreco chiamato PINPAS che analizza le diverse fasi della catena di distribuzione per capire dove avvengono i maggiori sprechi e intervenire per ridurli o ridistribuire il cibo avanzato. Provvedimenti, questi, che lasciano ben sperare in un miglioramento anche nel breve periodo.
Infine, tra i 3 pilasti analizzati, resta positivo lo sforzo del nostro Paese per un’agricoltura che sia sostenibile. Ottime le performance ad esempio nella lotta allo spreco di acqua, visto che solo il 6,74% di quella usata finisce dispersa. Risultato migliore di altre importanti realtà europee come Grecia (11,58%) o Spagna (22,84%). Molto, invece, può essere fatto rispetto all’uso indiretto di acqua, riconducibile al cibo importato dall’estero. Altro dato che deve far riflettere riguarda la presenza di donne in agricoltura: in Italia raggiunge il 38,8% del totale della forza lavoro impiegata nel settore, mentre in Svezia si arriva al 68%. Discorso analogo merita la presenza di giovani impiegati nel settore, che si attesta sul 5% del totale, per una età media pari a 57 anni (negli USA l’età media è di 38 anni). La scarsa presenza di donne e di giovani potrebbe rappresentare, in prospettiva, una complessità per l’Italia vista la maggiore propensione dei giovani all’innovazione tecnologica (e di conseguenza ad un miglioramento dell’impatto ambientale).