Dopo ben cinque anni di embargo russo, a che punto siamo? Ricordiamo che Putin impose il divieto di import di prodotti agricoli e generi alimentari provenienti da Unione Europea, Stati Uniti, Norvegia, Canada e Australia, come contromisura all’introduzione di sanzioni di natura economica e diplomatica dell’Occidente a condanna del ruolo di Mosca nella gestione della crisi in Crimea.
L’agroalimentare made in Italy perdeva in questo modo un mercato importante, con conseguenze pesanti sull’intera economia nazionale. Tra i comparti più colpiti l’ortofrutta, che ha visto sfumare alcune decine di milioni di euro di fatturato; si parla orientativamente di oltre 2,3 miliardi su base comunitaria, anche se è davvero complicato produrre stime sul punto.
Le conseguenze furono immediate: l’aumento della pressione sul mercato europeo ebbe ripercussioni dirette sulla caduta dei prezzi. Ed in seguito, anche sui volumi.
A che punto siamo dopo 5 anni? Non si sono ancora create alternative, né ci sono segnali tali da far pensare a una risoluzione della questione, che era, e rimane, politica. Non possiamo attivare un canale diretto di comunicazione perché ciò violerebbe l’alleanza di cui siamo parte. La Turchia, inizialmente, ha saputo approfittare della mancanza delle materie prime europee, e poi è subentrata la Cina, con la quale le relazioni bilaterali sono, tuttavia, peggiorate proprio in questi giorni, con la decisione del Cremlino di vietare le importazioni di mele, pere e pesche dalla Grande Muraglia.
La questione rimane di enorme interesse, anche in considerazione del fatto che, in un futuro vicino, la Russia diminuirà il suo grado di dipendenza dall’estero; gli investimenti diretti alla messa a dimora di parecchi ettari di frutteti (mele, ciliegie e fragole in primis) sono stati davvero ingenti e la loro entrata in regime di piena produzione sarà un segnale negativo per i produttori tradizionali.