L’economia reale va male e andrà ancora peggio. Per il 62,1% dei commercialisti italiani l’attuale situazione economica del Paese è molto o abbastanza negativa. Cosa accadrà nei prossimi dodici mesi? Per il 48,8% dei commercialisti il quadro economico rimarrà negativo come oggi, per il 38,7% peggiorerà e solo per il 12,5% migliorerà. È quanto emerge dal "Barometro Censis-Commercialisti sull’andamento dell’economia italiana", realizzato in collaborazione con il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli esperti contabili attraverso la ricognizione delle valutazioni di un campione di 4.000 commercialisti italiani.
Emerge così un racconto vivido, in presa diretta dell’economia reale italiana, come solo chi è ogni giorno al fianco dei suoi protagonisti può fare. I commercialisti rappresentano infatti dei formidabili sensori della situazione in cui oggi si trovano le imprese e le famiglie. Nel lungo periodo vince il pessimismo. Il 56,4% dei commercialisti vede nero. Prevedono che di qui a cinque anni sopraggiungeranno maggiori difficoltà nel gestire un’impresa (54,7%), nei rapporti con il fisco (53,8%) e con le banche (60%). Così molti imprenditori sognano la fuga: il pensionamento per se stessi e l’estero per i figli. La caccia al «prenditore» di questi ultimi tempi ha sfiancato gli imprenditori, in particolare i più piccoli, cioè il ceto medio produttivo, vero pilastro della nostra società. Piccolo fatturato, grandi difficoltà. Il 46,6% dei commercialisti giudica la situazione economica delle imprese clienti molto o abbastanza negativa, per il 33,9% non è né positiva né negativa, solo per il 18,3% è molto o abbastanza positiva.
La situazione è ancora più difficile per le piccole imprese con un fatturato fino a 350.000 euro all’anno (53,4%), mentre il sentiment negativo diminuisce al 32,5% nel caso delle imprese di più grandi dimensioni. Le famiglie reggono meglio. Solo per il 36,2% dei commercialisti le famiglie clienti vivono una condizione molto o abbastanza negativa. Il dato però sale al 46,4% nel Sud. Le imprese stanno peggio delle famiglie, quindi, e le microimprese soffrono più delle grandi aziende.
La ruota dei pagamenti non gira.
Secondo il 91,3% dei commercialisti negli ultimi dodici mesi le aziende clienti hanno subito ritardi nella riscossione dei crediti. E per il 52,6% nell’ultimo anno i tempi si sono allungati rispetto all’anno precedente. Inoltre, per l’87,7% le imprese a loro volta hanno pagato in ritardo i loro fornitori. Sono numeri che documentano un cortocircuito fatto di crediti difficili da incassare e pagamenti rinviati. La Pubblica Amministrazione contribuisce alla spirale negativa. Nell’ultimo anno per il 60% dei commercialisti le aziende si sono trovate alle prese con ritardi nei pagamenti da parte della Pa. Rispetto a un anno fa, per il 30,6% l’attesa si è allungata, per il 53,5% è rimasta uguale, solo per il 7,7% è diminuita.
La Pa cattivo pagatore aggrava i costi per le imprese, soprattutto per quelle di piccole dimensioni. Stipendi pagati in ritardo: rischio latente di crisi sociale. Il 58,3% dei professionisti testimonia che nell’ultimo anno alle aziende clienti è capitato di ritardare il pagamento delle retribuzioni dei dipendenti: il 51% nel Nord-Ovest, il 45,5% nel Nord-Est, il 65,3% nel Centro e addirittura il 75,5% al Sud. Si tratta di un fenomeno che coinvolge tutte le tipologie di imprese e tutti i territori: il campanello d’allarme di una difficoltà economica che rischia di compromettere la tenuta sociale del sistema.
La spina nel fianco del fisco.
Secondo il 52,6% dei commercialisti negli ultimi dodici mesi è aumentato il numero di aziende che effettuano i versamenti dovuti al fisco oltre la scadenza mediante il ravvedimento operoso. Il dato sale al 54,7% nel caso delle microimprese e scende al 25,8% nel caso delle imprese più grandi. Nell’ultimo anno secondo il 47,7% dei commercialisti è aumentato il numero di aziende con debiti con il fisco scaduti e non pagati (mentre per il 43% il numero è rimasto invariato e solo per il 5,9% è diminuito). Il dato sale al 51,5% nel caso delle microimprese e scende al 22,5% nel caso delle imprese più grandi. Per sopravvivere aumenta il ricorso al credito bancario. Secondo il 38,9% dei commercialisti è aumentato il numero di aziende clienti che hanno richiesto finanziamenti bancari di breve periodo, fidi e anticipi su fatture per far fronte a scoperti di conto corrente. Per il 35% sono aumentate le imprese che hanno avuto bisogno di un finanziamento bancario di medio-lungo periodo.