Tre nuovi vini senza solfiti in provincia di Roma, frutto di una sperimentazione che ha coinvolto l’Università della Tuscia attraverso un finanziamento della Regione Lazio. Sono il “Macchia Sacra” della cantina Castello di Torre in Pietra, il “496 Frascati Doc” (70 per cento malvasia di Candia e 30 per cento trebbiano toscano) dell’azienda biologica De Sanctis di Frascati e il “Don Franco”, un rosso montepulciano e sangiovese della cooperativa Capodarco, di Grottaferrata.
I risultati del progetto dell’associazione Pro.Bio, cofinanziato con fondi comunitari al 60 per cento dell’investimento con circa 62mila euro, sono stati presentati a Roma nel Palazzo Antonelli, seguiti da una degustazione, con un convegno con la partecipazione dei tre produttori delle cantine coinvolte: Filippo Antonelli (Castello di Torre in Pietra), Luigi De Sanctis (De Sanctis) e Salvatore Stingo (Capodarco).
Le tre cantine, già in possesso da anni della certificazione biologica, si sono impegnate in questa sperimentazione per cercare di avere un profilo organolettico dei loro primi vini senza allergeni, analizzandone la qualità e l’interesse dei consumatori, attraverso un progetto dell’associazione ProBio, che può fare da apripista a tante altre aziende, associate e non.
Sono già in commercio e con una buona risposta dei consumatori i tre vini delle annate 2014, delle cantine Capodarco e De Sanctis, che ne hanno prodotte 2mila bottiglie, e Castello di Torre in Pietra con 4mila bottiglie.
“La nostra attività agricola è tutta orientata all’attenzione per l’ambiente e la persona attraverso prodotti che fanno bene e di qualità – sostiene il presidente di Capodarco, Salvatore Stingo. “E’ il caso del biologico”.
“La sperimentazione è sempre un rischio e in agricoltura è particolarmente difficile perché bisogna tenere sotto controllo tante variabili – aggiunge Filippo Antonelli, proprietario di Castello di Torre in Pietra – ma è interessante e bisogna provare. Non so quale sarà il punto d’arrivo, ma la strada è segnata. Avevamo bisogno di capire e dai primi risultati possiamo dirci contenti”.
Le tre cantine operano da anni seguendo i dettami dell’agricoltura biologica, ma attraverso il progetto ProBio si sono avviate su un sentiero che si spinge oltre aprendo nuovi scenari di mercato.
A livello mondiale la superficie dei vigneti biologici è più che triplicata raggiungendo 311mila ettari nel 2013 (fonte Fibl, Ifoam, Soel) e in Italia ha avuto un tasso di penetrazione esponenziale: dal 2 al 16,8 per cento del 2015. Il mercato Usa del bio nel 2013 vedeva comunque al primo posto la Francia con il 33,7 per cento delle quote d’esportazione, seguita dall’Italia con il 29,3 per cento (fonte Winemonitor Nomisma).
Oggi nel nostro Paese le cantine certificate per produrre vino biologico dal 2005 a oggi sono aumentate di 3 volte. Se ne contano oltre 1.300 (fonte Sinab). L’Unione europea rappresenta 258mila ettari di vigneto bio di cui ben 215mila tra Italia, Francia e Spagna.
Ma cosa intendiamo quando si parla di anidride solforosa, da indicare obbligatoriamente in etichetta con la dicitura “Contiene solfiti” se superiore a una quantità di 10 mg/litro? Sostanza, tra l’altro, presente in tantissimi alimenti quotidiani, ma sotto formule poco eloquenti, da “piccolo chimico”, tutte da decifrare, con diciture come E220 fino a E228. Succo di limone, puntarelle, mele essiccate, crackers, biscotti, code di gambero e tanti altri prodotti in commercio.
“La solforosa è una sostanza polivalente, antimicrobica e antiossidante, e relativamente economica – sottolinea il professor Marco Esti dell’Università della Tuscia – elimina quel carattere svanito tipico dei vini ossidati, attenua gli aromi sgradevoli e conserva più a lungo la freschezza. Ma il progetto ha dimostrato che si possono fare buoni vini naturali senza usare allergeni, allargando la tipologia produttiva presente sul mercato e controllando la fermentazione malolattica nei vini bianchi, con il risultato di avere prodotti più stabili senza note di ossidazione”.
“Già i Greci usavano lo zolfo per sanificare le vasche di fermentazione – osserva il giornalista enologico Pier Francesco Lisi – ma è solo nel 1800 che l’anidride solforosa entra in cantina come antisettico, antiossidante, per il controllo della fermentazione malolattica e per proteggere gli aromi e la freschezza del vino. Tuttavia attraverso l’agricoltura biologica e senza solfiti si possono fare vini più sani, più controllati, di qualità e con percentuali più basse di solforosa naturale”.
Il progetto ProBio è stato finanziato attraverso la misura 124 del Psr Lazio, relativa alla cooperazione per lo sviluppo di nuovi prodotti e processi tecnologici nell’agroalimentare.
La cantina Castello di Torre in Pietra è parte dell’antica Tenuta di Torre in Pietra che abbracciava un vasto territorio a cavallo della via Aurelia, l’antica Via Romana, a soli 25 chilometri da Roma, in comune di Fiumicino. Si trova all’interno del Castello di Torre in Pietra, suggestivo borgo medievale, a ridosso della torre da cui prende il nome l’azienda. La cantina fu ricavata scavando sotto una collina in tufo (formatasi dalle ceneri del vulcano di Bracciano) e impiegata per la produzione del vino a partire dal ‘600. Nel 1938 la cantina venne ampliata e, nel corso degli scavi, furono ritrovati numerosi resti di elefanti preistorici (Elephas Europeus).
Oggi l’azienda di Filippo Antonelli (che produce vino anche a Montefalco, in Umbria) e del cugino Lorenzo Majnoni può contare su 150 ettari, dei quali 52 coltivati a vigneto. Tra le varietà a bacca bianca vermentino, chardonnay, fiano e malvasia puntinata; tra le rosse montepulciano, sangiovese, merlot, syrah e cesanese. Le vigne ricadono nel territorio del comune di Fiumicino, nell’ambito della nuova Igt Costa Etrusco Romana e della Doc Roma. La produzione è di circa 200 mila bottiglie, dal 2011 certificate bio.