L’Europa resta mercato prezioso per i produttori asiatici di riso Indica: l’import a dazio zero in dieci anni è lievitato del 50%, ma il 25% del riso importato nell’Unione europea è partito da nazioni che non rispettano neanche i diritti dei produttori locali e che in teoria non soddisfano i presupposti della cooperazione alla base dei riconoscimenti delle concessioni tariffarie.
E’ il convincimento del presidente dell’Ente Risi, esposto in una recente audizione di fronte alla Commissione agricoltura del Parlamento europeo, ribadendo l’esigenza di introdurre al più presto la cosiddetta «clausola di salvaguardia», l’unico rimedio per arrestare l’invasione di risi a dazio zero dai Paesi meno avanzati (Pma).
I dati sembrano confermare: le importazioni UE di riso semilavorato e lavorato dai Pma sono tornate a crescere. Nei primi nove mesi della campagna 2017-18, da settembre dell’anno scorso al mese di maggio, si è andati al di là delle 270.000 tonnellate, un quantitativo aumentato di quasi 6.000 tonnellate (+2%) rispetto allo stesso periodo della precedente stagione.
Si sono ridotti dell’11% gli arrivi dalla Cambogia, ma a spingere più a fondo sul pedale dell’acceleratore è stato il Myanmar che ha messo a segno un progresso del 57%.
In soli cinque anni la quota di mercato congiunta di Cambogia e Myanmar, valutata rispetto ai consumi interni dell’UE di risi Indica, è aumentata complessivamente di 13 punti percentuali, passando dal 13% al 26%. D’altro canto la forbice tra i prezzi del riso Indica europeo e quello cambogiano e birmano è considerevole, a vantaggio dei Paesi asiatici, con differenze che oscillano tra il 23 e il 43%