Quello che sospettavamo si traduce in realtà. L’allarme è ormai drammaticamente chiaro. Entro la fine del secolo il Mediterraneo potrebbe perdere la metà delle specie se nel mondo non si ridurranno le emissioni di CO2. E lo stesso avverrà in altri paradisi di biodiversità, come Amazzonia o Galapagos. L’allarme stavolta giunge dallo studio condotto dal Wwf insieme all’università britannica dell’East Anglia e all’australiana James Cook University.
Pubblicato sulla rivista «Climatic Change», lo studio prende in esame la situazione del Mediterraneo (e non solo) nell’ambito di una ricerca più ampia sull’impatto del riscaldamento su 80mila specie di piante e animali in 35 aree del pianeta ricche di biodiversità. A fine secolo, potremmo avere estinzioni locali in alcuni dei paradisi mondiali della biodiversità. E soprattutto, anche rimanendo entro il limite di 2°C posto dall’Accordo sul clima di Parigi, perderemmo il 25% delle specie che popolano le aree chiave per la biodiversità.
La ricerca esplora gli effetti sulla biodiversità alla luce di diversi scenari di cambiamento climatico – dall’ipotesi più pessimista con assenza di tagli alle emissioni e conseguente aumento delle temperature medie globali fino 4.5° C, a quella di un aumento di 2 °C, il limite indicato dall’Accordo di Parigi.
L’Amazzonia potrebbe perdere il 69% delle sue specie vegetali. Nell’ Australia sudoccidentale l’89% degli anfibi potrebbe estinguersi localmente. Nel Madagascar il 60% di tutte le specie sarebbe a rischio di estinzione locale. Le boscaglie del fynbos nella regione del Capo Occidentale in Sud Africa, che stanno vivendo una fortissima siccità con carenze idriche significative verificatesi anche a Città del Capo, potrebbero affrontare estinzioni locali di un terzo delle specie presenti, molte delle quali sono uniche di quella regione.
Secondo quanto emerge dal rapporto del Wwf, il Mediterraneo è tra le aree più esposte ai cambiamenti climatici. Per questo basterebbe un cambiamento climatico «moderato» per rendere vulnerabile la biodiversità: anche se l’aumento delle temperature si limitasse a 2 °C, quasi il 30% della maggior parte dei gruppi di specie analizzate di piante ed animali sarebbe a rischio.
Continuando con gli attuali andamenti, senza cioè una decisa diminuzione delle emissioni di gas serra, la metà della biodiversità della regione andrà persa. Le specie più a rischio sono le tartarughe marine (si tratta di tre specie, la più diffusa è la Caretta caretta) e i cetacei, presenti in Mediterraneo con 8 specie stabili e altre 13 presenti occasionalmente, tutti in sofferenza già per l’impatto delle attività dell’uomo. Ma anche lo storioni e tonni.
«La cosa più importante che il mondo può fare è mantenere l’aumento della temperatura globale al minimo facendo tutto il possibile per ridurre i gas serra nell’atmosfera – conclude il rapporto – In parole povere, dobbiamo smettere di bruciare combustibili fossili». Dato che è impossibile far retrocedere il riscaldamento globale, quello che gli esperti indicano è la necessità di un processo di «mitigazione» del fenomeno. «Un paio di gradi potrebbero non sembrare un margine enorme, ma il danno previsto alla biodiversità aumenta enormemente tra l’aumento previsto dall’accordo di Parigi (ben al di sotto di 2°C e con l’obiettivo di 1,5°C, ndr) e la proiezione di 4,5°C nell’ipotesi “business as usual”.