Il fenomeno della resistenza agli antibiotici potrebbe essere ancora peggiore di quanto finora ritenuto. A dare l’allarme è un lavoro pisano sulla resistenza alla colistina. Secondo i ricercatori dell’Unità operativa di Microbiologia dell’Aoup, infatti, i sistemi semi-automatici di esecuzione dell’antibiogramma, l’esame che consente di valutare se un batterio è sensibile a un determinato antibiotico, sottostimano la resistenza alla colistina, consegnando un risultato falso, indicando come “sensibile” l’agente patogeno che invece è “resistente”.
Un errore che può avere gravi conseguenze per la cura delle infezioni più pericolose, quelle dovute ai batteri killer come la Klebsiella pneumoniae che resiste a tutto anche anche ai carbapenemi, la classe di antibiotici ad ampio spettro di ultima generazione, usati esclusivamente in ambiente ospedaliero nella cura di infezioni gravi e multi farmaco-resistenti.
Negli ultimi anni si è ricorsi, in alternativa, alla colistina, un vecchio composto antimicrobico che agisce interrompendo la membrana batterica, con conseguente morte cellulare. Ma la resistenza anche a questo antibiotico non è tardata ad arrivare. Così forme di Klebsiella resistenti alla colistina si sono diffuse in tutto il mondo. E lo studio pisano ci dice però che il dato viene sottostimato dai rilevatori meccanici.
La ricerca, selezionata come presentazione orale al recente congresso europeo di Microbiologia (Amsterdam, 9-12 aprile), introduce una lettura dei dati innovativa e rappresenta ora un punto fermo per i clinici, da cui ripartire per sperimentare ulteriori associazioni di farmaci da contrapporre a questi microbi resistenti a tutti i trattamenti.