“Le foreste sono fondamentali per la sicurezza alimentare e per assicurare migliori condizioni di vita”. È ciò che si legge nella dichiarazione finale del XIV Congresso mondiale sulle foreste, che si è tenuto dal 7 all’11 settembre a Durban, la metropoli con oltre tre milioni di abitanti sito nella provincia del KwaZulu-Natal in Sudafrica. Appuntamento che ha rappresentato l’occasione più idonea per fare il punto su questo tema che investe non solo l’habitat ambientale globale, con le scontate conseguenze in termini di qualità della vita e futuro del Pianeta, ma anche sulle implicazioni che la deforestazione ha in ambito agricolo.
La Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha presentato il rapporto di valutazione globale sulla gestione delle foreste, denominato “The Global Forest Resources Assessment 2015”, da cui risulta che dal 1990 ad oggi sono andati perduti circa 129 milioni di ettari di foresta, un’area equivalente quasi al Sudafrica. Mentre nel 1990 le foreste costituivano il 31,6 per cento del territorio mondiale, circa 4.128 milioni di ettari, nel 2015 questo dato è sceso al 30,6 per cento, vale dire circa 3.999 milioni di ettari.
Secondo l’Unep, il Programma per l’ambiente nelle Nazioni Unite, tra le principali cause della deforestazione sul banco degli imputati viene collocata proprio l’agricoltura. “Si stima che l’80 per cento della deforestazione a livello globale sia il risultato diretto delle pratiche agricole – si legge in un rapporto dell’Unep.
Sotto accusa, tra l’altro, gli aiuti pubblici, che finiscono per avere un ruolo distorto. “I sussidi governativi, quantizzati in 200 miliardi di dollari l’anno, sono spesso dei fattori chiave alla base della perdita di foreste nel nostro pianeta, mentre i politici raramente comprendono i loro impatti – si legge ancora nel rapporto.
Tanti gli esempi negativi.
In Ecuador, dove tra il 1990 e il 2010 la deforestazione ha causato un aumento delle emissioni di gas serra del 47 per cento, oltre il 99 per cento delle aree dove sono stati tagliati gli alberi sono state destinate all’agricoltura. “L’Ecuador ha introdotto 27 incentivi finanziari o relativi alla tassazione legati direttamente o indirettamente alla produzione di olio di palma, senza considerare gli effetti che questi possono avere sulla deforestazione, la degradazione o la conservazione degli stock di carbonio – si legge nel rapporto dell’Unep.
Gli aiuti insomma, che dovrebbero sostenere la crescita delle economie emergenti, finiscono per mettere a repentaglio risorse naturali, come le foreste, basilari per il nostro futuro.
L’esigenza è quindi quella di ridurre la diffusione di incentivi “distorti”, favorendo di conseguenza un’agricoltura più sostenibile.
Emblematica una storia proveniente dall’Indonesia, dove negli anni Ottanta il proliferare di un insetto distruttore di una pianta di riso ha determinato sussidi da 100 milioni di dollari l’anno per i pesticidi, che hanno finito per produrre danni ancora più gravi all’ambiente e alle colture. Di esempi del genere è pieno il pianeta.
“La politica che separa la crescita economica dalla deforestazione e dalla degradazione delle terre è il percorso più pulito verso un settore agricolo in grado di promuovere l’uso sostenibile dei suoli e una crescita economica sostenibile e inclusiva – spiega Achim Steiner, direttore esecutivo di Unep. L’obiettivo delle Nazioni Unite è condurre l’agricoltura sulla stessa linea disegnata dal Palazzo di vetro attraverso i programmi Redd e Redd+, che puntano a ridurre le emissioni derivanti dalla deforestazione nei Paesi in via di sviluppo.
Non mancano, però, segnali incoraggianti. I dati annunciano che il tasso annuo netto di perdita di area forestale è più che dimezzato, passando dallo 0,18 per cento dei primi anni Novanta allo 0,08 per cento nel periodo 2010-2015, grazie soprattutto ad una serie di iniziative, come la crescita di aree forestali protette, il miglioramento della gestione, della misurazione e del monitoraggio delle risorse da parte di sempre più Paesi e il maggior coinvolgimento delle comunità locali nella pianificazione e nelle politiche di sviluppo.
Dal 1990 ad oggi la maggior parte della deforestazione si è concentrata ai Tropici, cioè nelle zone dove è esplosa la coltivazione delle palme per la produzione di olio, che ha sottratto progressivamente terreno alle foreste. Viceversa, nei Paesi temperati l’area netta di foreste è aumentata, mentre non vi sono stati cambiamenti rilevanti nelle regioni boreali e subtropicali.
Va rilevato, però, che a causa della crescita della popolazione mondiale, la superficie media di foresta pro-capite è diminuita principalmente nelle zone tropicali e subtropicali, ma anche in tutte le altre regioni climatiche, con la sola eccezione di quella temperata.
Positiva anche la notizia che il ministero dell’Ambiente norvegese pagherà l’ultima rata di 100 milioni di dollari al Brasile come ”premio per la riduzione della deforestazione dell’Amazzonia”. Secondo il ministero di Oslo, il Brasile ha fatto ”più che raggiungere la meta di diminuire del 75 per cento l’indice di disboscamento”, condizione per ricevere il pagamento di un totale di un miliardo di dollari stabilito da un accordo valido per il periodo compreso tra il 2008 e il 2015.
La Fao, però, invita a non mollare l’attenzione. Nonostante gli sforzi di conservazione, infatti, la minaccia della perdita di biodiversità persiste ed è probabile che continui per via della deforestazione e del degrado forestale. Nel periodo 2010-2015, Africa e Sudamerica hanno registrato la più alta perdita annuale netta di foreste, rispettivamente con 2,8 di ettari e 2 milioni di ettari. Esempi da non seguire.