Con pochi rimpianti da parte di molti allevatori, ma anche con nuove preoccupazioni, il prossimo 31 marzo calerà definitivamente il sipario sul regime delle cosiddette “quote latte”, introdotto nel 1983 per impedire un'offerta eccessiva del prezioso alimento nel mercato europeo, ma anche per calmierare la produzione di un Paese al fine di mantenere il prezzo stabile ed evitare le grandi fluttuazioni dei prezzi che ci sono state nel passato.
A causa di questo meccanismo, da oltre trent'anni ogni Paese membro dell'Unione europea deve rispettare un limite nazionale di produzione del latte, negoziato dai singoli governi in sede comunitaria e poi ripartito a sua volta tra gli allevatori.
Le “quote latte” si suddividono tra “quote consegne”, che includono i quantitativi conferiti ai caseifici o alle latterie, e in “quote vendite dirette”, che comprendono le quantità di latte vendute direttamente trasformate in prodotti caseari dai produttori e vengono conteggiate separatamente.
LE MULTE – Le cronache si sono spesso occupate della materia, soprattutto per le rilevanti multe piovute su molti produttori a causa di quantità superiori di latte raccolte rispetto a quella assegnata. La sanzione è di 27,83 euro per ogni 100 chili in eccesso. Il nostro Paese, nel corso degli anni, ha accumulato quattro miliardi di euro in sanzioni, sebbene negli ultimissimi tempi non ci siano state più multe.
Tuttavia di recente sono partite 1.455 cartelle per il pagamento di 422 milioni di euro di multe arretrate, cioè soldi che l'Italia ha anticipato senza mai riscuotere. Al punto che, la scorsa estate, la Commissione europea ha chiesto al governo un parere motivato sulla mancata riscossione di 1,4 miliardi di euro di multe delle quote latte, specificando che tali cifre potevano rappresentare un aiuto di Stato. Secondo Bruxelles, infatti "le autorità italiane non hanno adottato misure sufficienti per garantire che le somme dovute dai produttori responsabili siano pagate. L'incapacità dell'Italia ad assicurare il recupero effettivo di queste multe compromette gli sforzi europei per stabilizzare il mercato dei prodotti lattieri, provocando distorsioni di concorrenza con gli altri produttori europei e italiani, che hanno rispettato le quote di produzione o che hanno pagato le loro multe". L'Unione europea aggiunge che "queste somme dovrebbero essere versate al bilancio dell'Italia, affinché i contribuenti italiani non ne escano perdenti". Una posizione ribadita ad ottobre 2014 anche dalla Corte dei Conti italiana.
Il governo, per chiudere definitivamente questa pagina buia, ha stanziato, nella legge di Stabilità, un fondo da 110 milioni di euro in tre anni per gli allevatori virtuosi che si sono messi in regola. "Abbiamo inserito la creazione di un Fondo Latte di Qualità – ha detto il ministro Maurizio Martina – per sostenere gli allevatori in regola e per il miglioramento qualitativo del latte. Siamo al lavoro con la filiera per un programma di azioni che punti anche su promozione, educazione alimentare ed etichettatura".
Tuttavia la situazione-sanzioni potrebbe modificarsi nel corso del 2015. I dati rilevati tra aprile e novembre da Agea, l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, mostrano il concreto rischio di oltrepassare la somma assegnata per la campagna 2014-2015, mostrando una tendenza in aumento del 3,37 per cento rispetto all'anno precedente.
NUOVE PREOCCUPAZIONI – Le più forti preoccupazioni per il prossimo futuro, però, nascono dal rischio di un improvviso aumento dei costi di produzione, soprattutto nel nostro Paese, appesantendo ulteriormente la crisi in cui versa il settore da anni. Ma perché, con la fine delle “quote latte”, il prezzo della materia prima aumenterebbe?
La deregulation e l’abolizione dei limiti fin qui imposti dall'Unione europea permetterà ad alcuni Paesi di produrre più latte rispetto al passato. Le conseguenze sarebbero quindi inevitabili: maggiore offerta, prezzi in calo.
Ma non la pensa così la Commissione europea, secondo la quale la produzione in sede comunitaria si stabilizzerà, con una crescita annua limitata al sette per cento fino al 2023. Secondo Bruxelles, l’aumento della produzione si concentrerà principalmente in Danimarca, Germania, Irlanda, Polonia e Olanda. Resterà inoltre sostenuta la domanda di latte da parte del mercato mondiale.
I NUMERI – Le cifre parlano chiaro: dal 1988 il comparto lattiero-caseario, fiore all’occhiello del “made in Italy”, ha perso circa 150 mila addetti. Dall'inizio della crisi economica sono spariti ben 32 mila posti di lavoro, cioè ha chiuso una stalla su cinque. Oggi sono rimasti 36 mila allevatori in Italia, che producono circa 11 milioni di tonnellate di latte per un valore di 4,8 miliardi di euro. Ma ammontano a circa 86 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente: per ogni milione di quintale di latte importato in più, scompaiono 17 mila mucche e 1.200 occupati.
C’è anche chi sbandiera previsioni dettagliate: l’aumento dei prezzi potrebbe viaggiare intorno al cinque per cento, con il rischio di ripercussioni negative sui prezzi del latte alla stalla e notevoli difficoltà per i produttori.
Del resto già oggi il prezzo del latte fresco si moltiplica più di quattro volte dalla stalla allo scaffale, con un ricarico del 328 per cento. Sono stranieri tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia. Inoltre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte provenienti dall'estero.
Nonostante questi numeri, il settore lattiero-caseario continua a garantire, soprattutto con il segmento industriale, ben 180 mila posti di lavoro e una ricchezza economica di 28 miliardi di euro, pari ad una percentuale tra il 10 e l’11 per cento dell'intero agroalimentare italiano.
ALLEVATORI IN PIAZZA – Negli ultimi giorni numerosi allevatori italiani sono scesi in piazza proprio per richiamare l'attenzione sul prezzo del latte. Con il mercato libero, temono per il futuro di molte fattorie, visto che già oggi circa il 40 per cento del latte consumato in Italia arriva dall'estero, da Paesi dove il prezzo pagato agli allevatori è più basso.
La questione del taglio dei prezzi, del resto, non è soltanto una spada di Damocle per il futuro: gli allevatori italiani hanno subito un taglio del 20 per cento dei prezzi già negli ultimi mesi, proprio mentre i consumatori pagano il latte sempre di più. Il prezzo del latte è mediamente sceso da 44 centesimi e mezzo a 36 centesimi, entità economica che non copre nemmeno i costi per il mangime degli animali.
LE PROPOSTE DELL’EMILIA-ROMAGNA – Dopo la Lombardia, dove resistono quattromila aziende (ce n’erano 14 mila prima della crisi), è l’Emilia-Romagna la regione che ha la quota più rilevante di produzione lattiero-casearia, seguita dal Veneto, che conta 3.515 allevatori per un patrimonio di vacche da latte di 187 mila unità, il 10 per cento del totale nazionale.
Simona Caselli, assessore all'Agricoltura della Regione Emilia-Romagna, sulla questione “quote latte” propone di modificare i criteri di compensazione per coloro che sono in regola.
“Utilizzare al meglio la quota latte nazionale assegnata all’Italia, prevedendo, per i produttori in regola, una modifica degli attuali criteri di compensazione – spiega l’assessore. “I dati attualmente disponibili ci dicono che molto probabilmente ci sarà un surplus produttivo rispetto alla quota nazionale assegnata al nostro Paese. In questo caso scatterà per i produttori il versamento del prelievo supplementare all’Unione europea”.
La proposta avanzata da Caselli, anche in risposta alle richieste arrivate dal mondo produttivo, prevede di estendere la possibilità di compensazione nazionale anche alle aziende che hanno prodotto oltre il 6 per cento della quota loro assegnata e a quelle che hanno superato il livello produttivo 2007-2008. Due categorie finora non contemplate nei criteri di priorità nazionali. “Questi correttivi permetterebbero – spiega Caselli – di limitare l’impatto sui produttori e di utilizzare al meglio la quota nazionale, senza modificare quanto già previsto per i produttori delle aree di montagna e svantaggiate”.
PARMIGIANO REGGIANO E BIRAGHI – ''Il Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano giocherà un ruolo determinante per i produttori in vista del termine del sistema delle quote latte previsto al 31 marzo di quest'anno''.
E’ quanto ha detto il presidente del Consorzio, Giuseppe Alai, in audizione alla commissione Agricoltura del Senato, dove ha evidenziato altre tematiche del comparto: dal nuovo piano produttivo dell'offerta 2015, all'internazionalizzazione per creare nuovi sbocchi di mercato, e questo anche alla luce delle aperture alle esportazioni sia in Corea del Sud sia in Algeria; ma anche all'aggregazione e all'interprofessione, fattori indispensabili per poter competere.
Il Parmigiano Reggiano è l'unico formaggio ad aver assegnato direttamente agli allevatori le quote latte da destinare alla trasformazione, creando anche nuovo valore per quasi 3.500 allevamenti; il che permette loro di scegliere se utilizzarla per il Parmigiano Reggiano, trasferirla a terzi o usarla come elemento di garanzia per ottenere credito.
Quanto al Piano di produzione il Consorzio ha fatto presente come negli ultimi tre anni la produzione sia cresciuta di quasi il 10 per cento, a fronte di un crollo dei prezzi all'ingrosso passati da 11 a circa 7 euro al chilo. Un trend che Consorzio punta ad invertire riducendo la produzione del 5 per cento per il 2015, pari a 150 mila forme. Insomma, il Parmigiano Reggiano potrebbe rappresentare un modello anche in questa difficile fase di passaggio normativo.
Sulla questione “quote latte” è intervenuto anche l’imprenditore Franco Biraghi, nome noto del settore e presidente di Confindustria di Cuneo. Con una lettera al ministro delle Politiche agricole ha richiamato i gravi rischi che corre l’intero sistema economico dell’allevamento. “Solo in provincia di Cuneo rischiano di chiudere quasi 200 aziende agricole, tutte condotte dalla famiglia con qualche dipendente. Risultato: un migliaio tra imprenditori agricoli e loro dipendenti resteranno senza lavoro, senza la possibilità di trovarne un altro e senza ammortizzatori sociali – spiega l’imprenditore. E continua: “Nelle ultime quattro campagne, l’Italia ha rispettato le quote latte e non ha dovuto versare multe alla Ce, ma ora, a causa del clima favorevole, la produzione di latte è in forte aumento in tutta Europa e senza un provvedimento che faciliti l’uscita morbida dal regime delle quote, la multa che gli allevatori dovranno pagare alla Ce sarà salatissima. Quale titolare di uno dei principali caseifici della zona – continua Biraghi – ma soprattutto come presidente di Confindustria Cuneo, voglio significarLe la mia grandissima preoccupazione per la tenuta dell’economia della mia provincia, che si regge sull’agricoltura, sull’agroalimentare e sull’indotto. Il danno economico, diretto ed indiretto, per il nostro Paese, è sicuramente superiore ai 700/800 milioni di euro. Alle multe va aggiunto il costo degli affitti che gli allevatori devono versare a chi si arricchisce speculando sulle disgrazie altrui. Da un calcolo fatto dal nostro Centro studi con la collaborazione del mondo cooperativo locale, si stima che solo nella provincia di Cuneo il ‘pizzo’ da pagare a chi ‘guadagna’ senza dover lavorare dovrebbe superare i 10 milioni di euro. Il costo degli affitti ha già superato i 6 centesimi al litro e senza un intervento immediato potrebbe ben presto raggiungere e superare i 15 centesimi mettendo in seria difficoltà gli allevamenti lombardi, piemontesi, veneti ed emiliani”.
Conclude l’imprenditore piemontese: “Il problema non è solo italiano, ma coinvolge quasi tutti i Paesi europei ad esclusione della Francia che, anche se ha una produzione in forte aumento (un incremento più che triplo di quello italiano) dispone di una notevole quantità di quote e quindi non dovrà pagare multe. Il rischio è che, per salvarsi, i francesi puntino sul collasso degli allevatori italiani per poter collocare i loro esuberi sul nostro mercato. La soluzione, tecnicamente percorribile, che accontenterebbe anche la maggior parte degli stati europei è di aumentare del 12-15 per cento il tenore del grasso di riferimento in tutti i Paesi della Ce. A livello italiano questa soluzione va condivisa il più possibile e ritengo che il risultato si potrebbe ottenere convocando urgentemente un tavolo di emergenza sulle quote latte”.
MEZZOGIORNO DI FUOCO – La situazione più drammatica per il comparto è però al Sud.
In Calabria ci sono 341 allevamenti da latte titolari di quote, il 17 per cento in meno rispetto al 2007. La produzione annua è di 614.330 quintali di latte, ma ne sono importati 380 mila, il 62 per cento della produzione regionale. A lavorare nel comparto sono rimaste un migliaio di persone, ma potrebbero essere molte di più se si limitassero le importazioni di latte e di prodotti, compresa la cagliata. Nei giorni scorsi persino i sindaci sono scesi in piazza a fianco degli allevatori, coscienti che il problema investe non solo l’economia regionale, ma la salvaguardia del territorio e dei saperi lavorativi che si tramandano da secoli. In Basilicata, dieci anni fa c’erano circa 4 mila aziende di vacche da latte; oggi ne sono rimaste appena 600.
In Campania la situazione è drammatica: “La deregulation delle quote latte rischia in regione di portare alla chiusura di circa 1.500 stalle – spiega il presidente del Consiglio regionale campano Pietro Foglia.
La Centrale del latte di Salerno, che nel frattempo è stata privatizzata, ha abbassato di ben sei centesimi il prezzo del latte, per la precisione è passato da 43,75 a 38,05, come spiega Roberto Rubino, presidente dell’associazione “Formaggi sotto il cielo”. Che spiega: “Perché questa crisi? Perché c’è troppo latte in giro per il mondo e perché a questo eccesso di offerta il settore risponde con il prezzo unico alla stalla, non al consumatore e, in Italia, con la legge sull’Alta Qualità. Il prezzo unico sottintende che tutto il latte sia uguale, che tutti gli allevatori si comportino allo stesso modo. Ma siccome così non è, anzi, dai risultati delle ricerche le differenze fra i tipici di latte sono anche di dieci volte e più, allora chi fa un latte scadente viene premiato e chi invece produce qualità, è costretto a chiudere”. E aggiunge un altro dato interessante: “Hanno inventato l’Alta Qualità, utilizzando parametri, per definirla, che vanno nella direzione opposta, tanto che oggi il latte di Alta Qualità è fra i più scadenti. L’Italia ha potuto contare sulla legge dell’Alta qualità che non ha garantito la qualità ai consumatori ma ha garantito gli allevatori che hanno potuto produrre latte ‘fresco’, pastorizzato una volta sola. Ma ora all’estero hanno capito l’errore e stanno correndo ai ripari. L’Austria ha chiesto all’Unione europea la protezione Stg per il ‘Latte Fieno’. Una rivoluzione, culturale e mercantile, simile a quella del Latte Nobile in Italia. Quando la classificazione della qualità del latte sarà una realtà accettata e richiesta dai consumatori, allora reggerà solo chi ha previsto e si è attrezzato per produrre e dimostrare la propria qualità. La via della qualità a questo punto è obbligata. E sarà un beneficio per tutti”.
L’allevatore Remo Liberali racconta la sua storia al quotidiano “Il Mattino” di Napoli: “Una volta i miei genitori riuscivano a mantenere una famiglia con poche bestie. Io e il mio socio in questi anni siamo stati costretti a spendere centinaia di migliaia di euro in multe e per acquistare quote latte. Ora ce le tolgono e non sappiamo cosa ne sarà di noi. Abbiamo 150 bestie in allevamento e ancora non riusciamo ad arrivare a fine mese”.
BUROCRAZIA E TASSE – Gli allevatori sono stati anche bersagliati da burocrazia e fisco. Certo, non sono i soli in Italia. Ma nel loro caso, piove sul bagnato.
L’allevatore Renato Mozzone, 48 anni, di Olmo Gentile, provincia di Asti, racconta al quotidiano “La Stampa” la sua storia. “Fino al 2000 avevamo in stalla 40 vacche di varie razze da latte e alcune vacche di razza Piemontese che ci permettevano di avere vitelli da ingrasso. Il latte veniva conferito al caseificio di Roccaverano, ma il prezzo, per un motivo o per un altro, nella cooperativa non superava mai il minimo previsto dall’accordo regionale. Da considerare che in questi posti per produrre latte di qualità ci sono costi aggiuntivi, che non ci erano riconosciuti, che hanno finito per mandare i conti aziendali in forte perdita. Così, dopo averci pensato e ripensato, con mia moglie, nel 2004, abbiamo deciso di vendere le vacche e di smettere la produzione di latte. Conseguentemente decidemmo di vendere anche le nostre quote per produrre latte. Trovare un compratore non fu facile in quanto in un primo tempo pareva che le stesse si potessero trasferire solo ad un altro allevatore con azienda in montagna. Alla fine, trovammo un allevatore della provincia di Pavia disponibile ad acquistarle. Con lui stipulammo un regolare contratto, emisi la fattura di vendita e indicai il prezzo convenuto: quello in vigore in quel momento. Il compratore mi pagò con assegno”. Un racconto che evidenzia anche i rischi fiscali, che si sommano a tutto il resto.
“Pensavo che tutto fosse in regola, ma non era così perché un anno dopo, con una raccomandata, l’Agenzia delle Entrate mi comunicò che a suo parere il prezzo convenuto era considerato troppo basso; ne stabilì un altro e mi applico una multa sulla presunta differenza. Abituato da sempre a non ricorrere ai legali non mi rimase che pagare, ma provai tanta amarezza per l’ingiustizia che avevo ricevuto”.
VOCI DAI PALAZZI – Paolo De Castro, coordinatore della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo, conferma le preoccupazioni per il possibile crollo dei prezzi: "Ci vogliono strumenti moderni per evitare una crisi duratura dell'intero settore – spiega. “Stiamo già assistendo ad un aumento della produzione europea, un dato positivo se questa viene incanalata nei mercati extraeuropei, mentre se resta in Europa contribuirà ad abbassare ulteriormente i prezzi". L'eurodeputato si dice convinto che "le quote latte erano troppo rigide, burocratiche, ma adesso abbiamo bisogno di strumenti nuovi per contrastare la volatilità dei prezzi che non facilita gli investimenti nel settore bensì le uscire dal settore, soprattutto per i produttori più piccoli".
Sui tempi tecnici per l'entrata in vigore di queste eventuali misure, De Castro informa che "dipende dalla Commissione europea e dal commissario europeo all'agricoltura Philip Hogan, sicuro che i prezzi risaliranno. Mi auguro che abbia ragione ma la sua è una visione troppo ottimistica".
Il parlamentare Ernesto Carbone, responsabile del “Made in Italy” per il Partito democratico, attacca Matteo Salvini e la Lega Nord sulla questione delle “quote latte”. "È paradossale che proprio Salvini, segretario della Lega, si metta a sproloquiare su allevatori e latte – spiega Carbone. “Sono anni che il Carroccio finge di farsi paladino della categoria, quando in realtà ha sempre difeso pochi ‘furbetti padani’, facendo pagare le multe sulle quote latte a tutti gli italiani, prima di tutto alla stragrande maggioranza di produttori onesti. Ed è risibile sentirlo parlare delle battaglie vinte a Bruxelles dall’ex ministro Zaia.
Chi c’era si ricorda benissimo che Zaia in Europa non si è mai visto. Sarebbe istruttivo, piuttosto, ripercorrere la storia di Credieuronord, la ‘banca della Lega’, i soldi con cui fu creata, le operazioni spericolate dei vertici di via Bellerio, i tentativi di salvataggio di personaggi dal curriculum di Gianpiero Fiorani, e il successivo fallimento. Caro Salvini, qui non dorme proprio nessuno…".
Marco Zullo, europarlamentare del Movimento Cinque Stelle, esperto di agricoltura, illustra il suo pensiero nel corso di un’intervista al quotidiano on-line “Affaritaliani”.
Zullo è convinto che con la fine delle “quote latte” ci sarà un abbassamento ulteriore del prezzo. “Il settore è in crisi perché il latte prodotto in Italia non è concorrenziale con quello importato dai Paesi dell'est ad un prezzo molto più basso – spiega l’europarlamentare. “Nel 2012, a livello europeo, è stato approvato il ‘pacchetto latte’ con lo scopo di regolare il settore dopo la fine del sistema delle quote. Ci sono degli strumenti per sostenere gli agricoltori, anche dal punto di vista economico. Ad esempio, si dà la possibilità agli allevatori di coordinarsi attraverso delle organizzazioni indipendenti. L'obiettivo è fare rete, condividendo la produzione e le esperienze al fine di avere una massa critica che permetta di non essere schiacciati dai grandi gruppi. In questo modo si può anche accedere a dei fondi. Ma bisogna andare oltre. I produttori non devono essere abbandonati, le Regioni devono assisterli in questa transizione, perché dall'Unione europea certo non arriverà un aiuto. Occorre però che l'Europa crei un vero mercato unico, senza che tutto si riduca ad una competizione al ribasso tra i prodotti di un Paese e quelli di un altro”.
Zullo è convinto che il nostro punto di forza sia la qualità. “Il latte italiano ha degli standard alti ma, complice la crisi, le famiglie scelgono il prezzo più basso – prosegue l’europarlamentare, il quale informa che a Bruxelles si sta discutendo un nuovo intervento dopo il pacchetto latte. “C'è un dibattito generale, soprattutto in Parlamento, su cosa si può fare per cambiare la situazione. A marzo si potrebbe arrivare a nuove proposte, ma la Commissione è ancora ferma. A Bruxelles ritengono che, dato che le nuove norme sono note dal 2012, gli Stati si sarebbero dovuti organizzare per tempo”.
I MINISTRI – "Stiamo lavorando sia al livello europeo che italiano perché il sistema che governa la filiera del latte va rivisto ed è uno dei nostri obiettivi – spiega il ministro dell'Ambiente, Gian Luca Galletti, "Una buona agricoltura vuol dire un buon ambiente – aggiunge Galletti – e quindi qualunque cosa vada nella direzione di migliorare l'agricoltura è anche un obiettivo importante per l'ambiente, mentre il reddito degli agricoltori dipende dalla bontà dell'ambiente".
Da parte sua, il ministro delle Politiche Agricole, il bergamasco Maurizio Martina, in un’intervista ad un quotidiano economico nazionale spiega che “sul problema delle quote latte daremo battaglia”. E al giornalista che gli chiede cosa l’Italia metta sul tavolo del commissario all’Agricoltura Phil Hogan dice: “Etichettatura del riso, quote latte, tracciabilità, revisione degli strumenti di gestione del rischio” Per le quote latte, continua il ministro, “Hogan non ha ancora formalizzato la proposta per il dopo quote. Ma questo non vuol dire che aspettiamo senza far nulla. Intanto abbiamo attivato misure a sostegno del latte di qualità”.
Nel dettaglio sottolinea: “C’è il regolamento sull’etichettatura per la provenienza del latte e il tema della programmazione produttiva. La sfida che ci attende è di tutta la filiera. L’interprofessione è una esigenza, non solo una parola. Siamo pronti a fare delle proposte – aggiunge il ministro.
Martina traccia anche un bilancio positivo del semestre italiano in Europa, sottolineando l’approvazione del provvedimento sulle coltivazioni Ogm e lo stop al taglio di oltre 400 milioni dal bilancio agricolo 2015. Il dossier più impegnativo della presidenza italiana? “Quello sulle misure di intervento per le conseguenze dell’embargo alla Russia. Le aziende agricole e le industrie di trasformazione hanno pagato un tributo molto alto a seguito dell’embargo”.