Conclusa la COP23, la ventitreesima Conferenza delle Parti sui Cambiamenti Climatici, organizzata ufficialmente dalle Isole Fiji, ma ospitata a Bonn, in Germania.
Le due settimane di negoziati sono state caratterizzate dallo spirito degli abitanti delle isole del Pacifico, agguerriti ma allo stesso tempo fantasiosi nella strategia di accelerare il processo di decarbonizzazione globale; sono tra i popoli del mondo che hanno più da perdere rispetto al cambiamento climatico, con il livello delle acque, che, salendo, minaccia la sopravvivenza stessa dei territori delle isole.
Proprio dalle Fiji viene una nuova parola chiave dei negoziati: Talanoa. Questo concetto, che significa “processo di dialogo inclusivo, partecipativo e trasparente”, è stato introdotto per progredire su un punto chiave dei negoziati: come organizzare il Dialogo Facilitativo, il primo check-point per valutare le azioni intraprese per arrestare il cambiamento climatico e per pianificare un necessario innalzamento degli obblighi di riduzione delle emissioni di gas serra.
Sappiamo che gli impegni attuali degli Stati non sono sufficienti per raggiungere l’obiettivo ultimo dell’Accordo, quello di stabilizzare l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2° gradi centigradi, con uno sforzo aggiuntivo per arrivare a +1,5°. Siamo adesso adesso fuori traiettoria, nella direzione di un aumento delle temperature di ben più di 3°C.
Il “Dialogo Facilitativo” del prossimo anno è un appuntamento a cui la comunità internazionale si sta preparando anche dal punto di vista dei metodi di discussione. Alla COP23 Bonn, è stata approvato un documento che descrive l’approccio che dovrà essere utilizzato nel Dialogo Facilitativo, che è stato appunto ridenominato “Talanoa Dialogue”: “Lo scopo di Talanoa è condividere storie, costruire empatia e fiducia. Durante il processo, i partecipanti avanzano le loro conoscenze attraverso il comune comprensione. Crea una piattaforma di dialogo, che si traduce in un migliore processo decisionale per il bene collettivo. Concentrandosi sui benefici dell'azione collettiva, questo processo informerà il processo decisionale e dovrà portare avanti l'agenda del clima globale”.
Un lessico chiaramente poco usuale per un documento ufficiale dell’UNFCCC, ma si riferisce a un nuovo paradigma dei negoziati climatici, in cui il processo negoziale prosegue sulla scia di fiducia generata dall’Accordo di Parigi. E questo nonostante Trump.
Già, nonostante Trump. Perché la delegazione statunitense era presente nei negoziati, ma isolata e messa in un angolo dalle molte iniziative di governatori, sindaci e aziende americane. Prima tra tutte della coalizione “We Are Still In”: si tratta del movimento statunitense che vede la partecipazione di coloro hanno deciso di restare nell’Accordo di Parigi nonostante le scelte del Presidente Trump.
Ne fanno parte Stati, sindaci, aziende e presidi di università americane che rappresentano, secondo le stime della coalizione, oltre metà della popolazione americana e circa 6,2 miliardi di dollari. Alla COP23 sono stati oltre 100 i rappresentanti di “We Are Still In” presenti ai negoziati, con oltre 40 eventi organizzati, capitanati dall’ex sindaco di New York Michael Bloomberg e dal governatore californiano Jerry Brown.
La COP23 si è confermata anche quale appuntamento annuale per le associazioni e gli enti non statali: proprio alla COP si è tenuto l’evento di lancio della "Powering Past Coal Alliance", guidata da Regno Unito e Canada.
Più di 20 paesi e altri attori subnazionali hanno aderito all'alleanza per un impegno ad abbondonare il carbone entro e non oltre il 2030 per i Paesi OCSE e UE28 e non oltre il 2050 nel resto del mondo. Tra gli aderenti Italia, Danimarca, Finlandia, Nuova Zelanda, Etiopia, Messico, Washington e lo Stato dell’Oregon.
Il negoziato ha raggiunto anche un accordo riguardo alla timeline del prossimo anno: le Parti dovranno inviare i loro input per il Dialogo entro il 2 aprile 2018 per le discussioni durante la sessione negoziale intermedia di maggio; ed entro il 29 ottobre 2018 per le discussioni della COP 24.
Prima della COP 24, come già previsto, arriverà anche il Rapporto Speciale dell’IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change) sull’aumento di temperatura di 1,5 °C.
Il Dialogo sarà portato avanti soprattutto tramite tavole rotonde a cui parteciperanno i Ministri. Anche le azioni di riduzione dei gas serra da implementare entro il 2020 sono state oggetto di discussione a Bonn: entro il 1° maggio 2018 gli Stati dovranno rendere conto delle loro politiche climatiche, per poi giungere a uno “stocktake”, ovvero una valutazione delle politiche, durante la COP25 del 2019, oltre alla redazione di report sugli impegni finanziari: un risultato ottenuto da quegli Stati che chiedevano più certezze in merito all’implementazione degli impegni pre-2020.
Da Bonn è risultato piuttosto difficoltoso il negoziato sul meccanismo Loss&Damage, lo strumento finanziario dedicato per i Paesi più poveri e vulnerabili per i danni ormai non evitabili prodotto dai cambiamenti climatici: su questo punto non è stato possibile arrivare ad un accordo e la discussione è stata rimandata al prossimo anno.
Sarà nella COP24, a Katowice, in Polonia, l’appuntamento in cui tutti i nodi verranno al pettine: non solo sul Loss&Damage, ma anche sulla reale ambizione degli Stati e sulla loro capacità di trasformare le promesse di Parigi in politiche nazionali e in azioni concrete per la decarbonizzazione dell’economia mondiale.
Il Ministro Galletti ha presentato la candidatura dell’Italia per ospitare la COP26 nel 2020.
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