L’inflazione evidenzia, per la prima volta dopo lunghi mesi, primi segni di rallentamento per effetto dell’attenuazione delle tensioni sui beni energetici. Tuttavia, il contesto geopolitico, sociale ed economico resta instabile: dato il quadro attuale, le tensioni sui prezzi potrebbero allentarsi nel 2024, ma non si attesteranno sulle soglie del 2% o del 3% cui eravamo abituati. È la severa analisi delle dinamiche dei prezzi operata da Ibc, l’associazione delle industrie che producono beni di consumo.
Possiamo dunque definire la nostra epoca come l’età dell’incertezza, in cui si pensa ancora a difendersi dagli attacchi inflazionistici e poco ad investire. La criticità della situazione è efficacemente descritta dai dati Nielsen, secondo i quali nel primo bimestre 2023, per effetto delle tensioni inflattive dovute alla forte crescita dei costi di produzione cumulati nel 2022, i prezzi sono saliti determinando una crescita del 9,6% delle vendite a valore, cui però si contrappone un calo del 5% dei volumi venduti.
In sostanza le famiglie hanno ridotto la quantità di prodotti da acquistare per risparmiare. Si tratta di un quadro d’insieme straordinariamente complesso in cui l’industria è impegnata nel salvaguardare la redditività, nel difendere i livelli occupazionali e nel garantire al consumatore il miglior rapporto qualità prezzo.
Ibc ritiene che le autorità finanziarie europee dovrebbe valutare con estrema attenzione gli effetti sulle famiglie e sulle imprese di politiche monetarie recessive: considera inoltre prioritarie politiche industriali con cui favorire l’incremento della produttività, l’accesso al credito, l’export, gli investimenti per la crescita dimensionale delle imprese e il sostegno alle transizioni sostenibile e digitale