Il primo mese di conflitto è ormai passato ed il prezzo del grano per il pane è cresciuto del 53%. Non solo ma il mais è più caro dell’11%. A pesare è la chiusura dei porti sul Mar Nero che impediscono le spedizioni e creano carenza sul mercato mondiale dove Russia e Ucraina insieme rappresentano il 28% degli scambi di grano e il 16% di quello di mais a livello mondiale.
Ed ecco le principali implicazioni, tra le altre, in ambito geopolitico. La situazione nei paesi più sviluppati sta alimentando l’inflazione ma pone anche a rischio la stabilità politica di quelli più poveri, con i prezzi del grano che si collocano sugli stessi livelli raggiunti negli anni delle drammatiche rivolte del pane che hanno coinvolto molti paesi a partire dal nord Africa come Tunisia, Algeria ed Egitto che è il maggior importatore mondiale di grano e dipende soprattutto da Russia e Ucraina.
Una emergenza mondiale che riguarda direttamente l’Italia che è un Paese deficitario ed importa il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais usato per l’alimentazione del bestiame.
E tutto lascia pensare che l’emergenza sia destinata a durare poiché l’Ucraina ha annunciato che per effetto della guerra, in primavera riuscirà a seminare meno della metà della superficie a cereali per un totale di 7 milioni rispetto ai 15 milioni previsti prima dell’invasione Russa. La notizia è stata accompagnata dall’annuncio del ministro dell'agricoltura ucraino, Roman Leshchenko, sulla necessaria limitazione delle esportazioni nazionali per garantire la sopravvivenza della popolazione. Ed il blocco riguarda anche l'esportazione di fertilizzanti dall'Ucraina, che lo scorso anno ne ha esportati 107mila tonnellate in Italia.