Cresce l’allarme fra gli allevatori per via della crisi della materia prima alla base delle diete degli animali da stalla. L’unica alternativa immediata sembra essere l’import da Usa e Argentina, con rilevanti costi di logistica che aumenteranno ancora il prezzo, arrivato ad oltre 41 euro al quintale (+100% su 2021).
Ne risentono tutte le produzioni alimentari di origine animale, dalle carni bovine, suine e avicole, a uova, latte e suoi derivati, fino ai principali circuiti Dop legati alla zootecnia. Ovvio che il caro produttivo si rifletterà poi sui consumi, con conseguente aumento del prezzo al dettaglio e dinamiche di prezzo che favoriscono l’inflazione.
L’Italia si è così scoperta bisognosa di mais, coltura caduta in disuso nel nostro Paese. È un altro aspetto della difficile situazione sul fronte russo ucraino. L’Italia si trova particolarmente esposta alle crisi internazionali e sconta la forte dipendenza dalle importazioni di mais dai Paesi dell’Est Europa, che hanno costi di produzione molto minori. Oltre allo stop dall’Ucraina si è ora aggiunta la preoccupazione sul fronte ungherese, dove Orban – malgrado il principio della libera circolazione delle merci nell’Ue – ha temporaneamente bloccato l’export, dando allo Stato ungherese il diritto di prelazione sulle merci in uscita.
Ma il futuro di questa materia prima preoccupa anche in chiave futura ed anche se dovesse scoppiare la pace, in quanto è impossibile prevedere se in Ucraina saranno in grado di seminare granturco. Nel caso in cui la campagna salti, le ripercussioni rischiano di durare fino a fine 2023.
L’approvvigionamento da oltre oceano resta comunque complesso, sia per gli alti costi della logistica che per le lunghe tempistiche del trasporto navale atlantico. Ma c’è anche un ostacolo di altra natura; il mais americano è quasi tutto ogm e le Dop italiane hanno nel disciplinare l’obbligo di rifornirsi di carni allevate con mangimi non-Ogm. A questo punto diventa auspicabile un intervento del Governo per incentivare gli agricoltori a investire su una coltivazione che è molto costosa per l’alto impatto energetico necessario alla frequente irrigazione e per l’alta incidenza del costo dei fertilizzanti azotati, triplicato per la crisi del mercato del gas naturale (l’urea dai 40 euro del 2021 è arrivata a 120).