Le montagne ricoprono un terzo della superficie emersa della Terra. In Italia rappresentano oltre la metà del territorio, corrispondente a un'area in cui risiede una popolazione di oltre 14 milioni di abitanti, distribuiti in più di 4.200 comuni. Le "Terre alte" del Pianeta, e tra esse le Alpi e gli Appennini con i loro habitat, rappresentano un hot spot climatico dove gli effetti del riscaldamento agiscono in misura quasi doppia rispetto alla scala globale.
Grazie all'accordo quadro tra il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e il Club alpino italiano (Cai) prende il via una collaborazione utile a migliorare la conoscenza degli ambienti ed ecosistemi di alta quota, oltre che la comprensione dei fenomeni climatici in atto, attraverso attività di monitoraggio che potranno coinvolgere attivamente i rifugi Cai e le stazioni e gli osservatori climatici Cnr, infrastrutture che costituiscono un bene prezioso per la sorveglianza meteo-climatica e ambientale di questa parte del territorio italiano. La firma è avvenuta, simbolicamente, ieri, in occasione della Giornata internazionale della montagna, promossa dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite e coordinata dalla Fao.
"I due Enti riservano una particolare attenzione all'ambiente montano", osserva il presidente Cnr, Massimo Inguscio. "La possibilità di ottimizzare le nostre risorse e infrastrutture in aree così significative per lo studio del clima permetterà di rafforzare la sorveglianza dell'ambiente glaciale e periglaciale alpino e di ampliare la base osservativa degli studi che l'Ente già esegue in cinque Osservatori climatici e, sulla vetta del Monte Cimone, dell'unica stazione globale presente nel bacino mediterraneo del programma GAW-WMO per lo studio dei cambiamenti climatici, gestita dal Cnr con l'Aeronautica militare".
Già nella Conferenza Onu sull'ambiente e lo sviluppo del 1992, l'Agenda 21 dedicava un capitolo al tema Managing Fragile Ecosystems: Sustainable Mountain Development. La situazione non è certo migliorata. Le temperature atmosferiche dei settori alpini, nell'ultimo secolo, sono aumentate tra 1.5 e 2.0°C, con importanti ripercussioni sulla criosfera. E i più recenti dati sullo stato di salute dei ghiacciai delle Alpi evidenziano bilanci di massa fortemente negativi (mediamente 1-2 metri di acqua equivalente persa ogni anno per ghiacciaio), che si traducono in riduzioni di area e volume di dimensioni parossistiche. Le lingue glaciali principali annualmente arretrano il loro fronte in media di 20-25 m, perdendo 3-4 m di spessore di ghiaccio, e le previsioni, anche qualora le temperature non aumentassero più, paventano la scomparsa della maggior parte dei ghiacciai al di sotto dei 3000-3500 m di quota entro il 2050.
"Questo accordo è un passo estremamente importante, perché prefigura l'utilizzo dei Rifugi Cai per l'attività scientifica e il monitoraggio dei principali parametri climatici, in una rete che percorre tutto lo Stivale, fino al centro del bacino del Mediterraneo", dichiara il presidente generale del Cai Vincenzo Torti. "All'ambiente glaciale alpino sempre più si sostituiscono pareti rocciose instabili, pietraie, morene. Anche il permafrost di alta quota in roccia si scongela e questo, considerata la maggiore instabilità dei versanti recentemente deglaciati, aumenta rischi e pericoli per chi vive la montagna e per chi la frequenta, peraltro offrendo situazioni ambientali profondamente difformi rispetto a pochi decenni fa. Ambienti nei quali il numero di specie vegetali sta proliferando e fa temere l'estinzione di quelle meno competitive. È quindi importante studiare questi nuovi scenari correlati con l'aumento delle temperature, anche al fine di divulgare e proporre forme di frequentazione della montagna più sicure e consapevoli".