Lo studio “Harnessing positive species interactions as a tool against climate-driven loss of coastal biodiversity”, pubblicato su PLoS Biology da un folto team internazionale di ricercatori guidato da Fabio Bulleri del Dipartimento di biologia dell’università di Pisa e del Consorzio nazionale interuniversitario per le scienze del mare (Conisma), evidenzia le attività di certe piante e animali creano habitat riparati, all’interno dei quali possono prosperare altre forme di vita. Il team internazionale di ricercatori di cui fanno parte anche gli italiani Laura Airoldi (università di Bologna), Gabriele Procaccini (Stazione zoologica Anton Dohrn) e Lisandro Benedetti-Cecchi (Università di Pisa), sostiene che «le popolazioni di ex-habitat potrebbero essere gestite come una soluzione basata sulla natura contro la perdita di biodiversità causata dal clima».
Il team si è concentrato sugli ambienti costieri e alcune delle specie esaminate sono già note, come le praterie di fanerogame marine, che sono apprezzate sia come barriere contro l’erosione costiera che come nursery per gli animali marini, ma secondo Bulleri e i suoi colleghi il loro ruolo nel proteggere altre specie dagli stress legati al clima ha ricevuto scarsa attenzione. Mentre le fanerogame come la Posidonia oceanica assorbono l’anidride carbonica, abbassano anche l’acidità delle acque circostanti, diminuendo così gli effetti corrosivi dell’acidificazione dell’oceano sulle barriere coralline e sui molluschi.
I ricercatori descrivono anche come le colonie intertidali di mitili forniscano un substrato sul quale la vegetazione marina può ricrescere dopo essere stata praticamente eliminata dalle tempeste sempre più violente provocate dal cambiamento climatico; come l’attività dei cetrioli di mare nei fondali sabbiosi marini compensino le diminuzioni dei livelli di ossigeno nei sedimenti; le alghe Fucus vesiculosus formano delle canopie sotto le quali le temperature si mantengono più fresche. Il team di Bulleri li chiama “rifugi biogenici” e dice che, al loro interno, specie che altrimenti dovrebbero affrontare condizioni dure e in rapida evoluzione possono resistere e forse adattarsi.
I ricercatori dicono che sono necessarie ulteriori ricerche per identificare altre specie protettive e per capire come utilizzarle per aumentare la resilienza naturale delle specie ai cambiamenti climatici. Le popolazioni esistenti di questi “rifugi biogenici” potrebbero essere protette e nuove popolazioni potrebbero essere coltivate e trapiantate dove necessario. Su Anthropocene, Brandon Keim evidenzia che «Le specie con un potenziale protettivo potrebbero essere allevate o addirittura progettate per resistere a condizioni più stressanti. L’installazione di refugia potrebbe diventare una parte standard dello sviluppo costiero e dei progetti infrastrutturali».
Bulleri è convinto che se verrà realizzato su una scala abbastanza grande, «I climate rescuers potrebbero essere efficienti nel ridurre il numero di specie perse a causa dei cambiamenti climatici». Ma avverte che questi “soccorritori climatici” non sono la panacea. Non tutte le specie a rischio sopravviveranno sotto il loro ombrello. Però, se riusciremo ad affrontare queste minacce, i rifugi biogenici potrebbero darci una speranza contro sfide climatiche che ora sembrano ingestibili.
E le possibilità non riguardano solo le specie acquatiche: lo studio del team di Bulleri si concentra sugli ecosistemi costieri, ma i ricercatori affermano che «Le conclusioni generali si applicano anche ad altri ecosistemi». I rifugiati dai cambiamenti climatici non sono solo episodi occasionali: con l’aiuto di poche specie selezionate potremmo essere in grado di crearli un po’ dappertutto.