L’Ipcc (Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico) si è espresso sulla salute di oceani e ghiacciai con il documento “The Ocean and Cryosphere in a Changing Climate”, dedicato agli effetti del cambiamento climatico. Il rapporto, presentato il 25 settembre, è una dettagliata analisi sugli effetti del cambiamento climatico sulla vita degli ecosistemi oceanici, costieri, polari e montani. Nel rapporto si evidenzia come la fusione dei ghiacciai, assieme al processo di espansione termica, stia facendo salire il livello degli oceani molto più rapidamente di quanto si riteneva.
Dal 2005 al 2015, i due poli hanno perduto oltre 400 miliardi di tonnellate di massa all’anno; il che corrisponde ad un innalzamento degli oceani di circa 1,2 millimetri all’anno. Nello stesso periodo, i ghiacciai hanno perso 280 miliardi di tonnellate di massa ogni anno a livello globale e il rapporto indica che la crescita complessiva di qui alla fine del secolo sarà di almeno 40 centimetri. Il tutto immaginando che l’Accordo di Parigi venga rispettato e che l’aumento della temperatura media globale sia contenuto entro i 2 gradi centigradi entro il 2100 (rispetto ai livelli preindustriali, cioè quelli relativi al 1850). Se così non fosse, l’asticella potrebbe spostarsi verso un aumento della temperatura globale di 3 o anche 4 gradi centigradi, con conseguenze devastanti per il nostro pianeta.
L’Ipcc indica che l’aumento della temperatura globale potrebbe provocare un aumento del livello degli oceani di 84 centimetri entro la fine del secolo. Aumento che, a sua volta, potrebbe spingere oltre 280 milioni di persone nel mondo ad abbandonare la propria terra a causa di inondazioni e maremoti. Per non parlare poi delle barriere coralline, dalle quali dipendono direttamente o indirettamente gli equilibri del pianeta e la vita di circa 500 milioni di persone, che rischiano di scomparire quasi del tutto entro la fine del secolo. In alcune aree del mondo, in particolare in Asia e in Europa, lo scioglimento dei ghiacciai potrebbe avere conseguenze senza precedenti. Solo quelli attorno all’Himalaya potrebbero ridursi di un terzo. E ciò anche se il riscaldamento globale dovesse essere contenuto entro la soglia degli 1,5 gradi centigradi. Se, invece, dovesse rimanere tutto allo stato attuale, la perdita sarebbe pari ai due terzi.
L’Ipcc lancia poi un altro allarme: in futuro occorrerà aspettarsi eventi come slavine, valanghe e inquinamento idrico con maggiore frequenza. E ciò a causa della fusione del permafrost, cioè lo strato di suolo perennemente ghiacciato tipico delle regioni del Nord Europa, della Siberia e del Canada, che ha cominciato a sciogliersi progressivamente, in particolare negli ultimi anni, che contiene riserve di mercurio per oltre 800 milioni di tonnellate. Ma la fusione del permafrost rischia anche di produrre la fuoriuscita di miliardi di tonnellate di gas ad effetto serra rimasti sino ad oggi intrappolati sotto il ghiaccio, oltre a far riemerge batteri e virus ormai estinti.
La sfida dei prossimi anni passerà attraverso due azioni fondamentali: da un lato, mitigare, cioè far sì che gli effetti del cambiamento climatico abbiano conseguenze il meno devastanti possibile; dall’altro, adattarsi e prepararsi ad esse nel modo più efficace possibile. Per entrambe, però, servono misure coraggiose e di lungo respiro.