Le preoccupazioni per l’emergenza sanitaria legata a Covid-19 si accompagnano per i frutticoltori alle apprensioni per la crescita della popolazione di cimice asiatica che probabilmente ci sarà nei prossimi mesi. Per preservare i frutteti da questa e altre avversità è partita, intanto, la campagna fitosanitaria, mentre la Conferenza Stato-Regioni ha dato nei giorni scorsi il parere positivo ai decreti sull’impiego dell’antagonista naturale della cimice: la vespa samurai.
La FEM ne prevede il rilascio a giugno, ma intanto nei laboratori di San Michele, grazie anche al sostegno finanziario assicurato dalla Provincia autonoma di Trento, si prosegue incessantemente l’allevamento delle cimici – 12 mila esemplari raccolti – per ottenere uova sufficienti sulle quali moltiplicare il parassitoide.
I lanci inizieranno durante l’estate, ma il percorso per il contenimento sarà lungo e ci vorranno, come minimo, tre anni per iniziare a ristabilire l’equilibrio ecologico nei frutteti. In stretto raccordo con la PAT, in attuazione del Piano di contrasto alla cimice elaborato dalla Provincia stessa con il concorso di tutte le componenti, è tutto quindi pronto per dare avvio a questa importante operazione di riequilibrio ecologico, la prima in Europa dopo anni nei quali l’inerzia legislativa ne impediva l’implementazione.
Lo scorso anno, già alcune aziende collocate sull’asta dell’Adige, hanno conosciuto la potenziale dannosità della cimice, registrando perdite o deprezzamento di prodotto che superavano il 30%. Secondo i modelli di espansione messi a punto dalla FEM si prevede un allargamento delle aree soggette a forte infestazione, che si estenderanno molto probabilmente alla Valsugana e alla bassa
Via libera della Conferenza Stato-Regioni al rilascio della vespa samurai
Intanto ha fatto ulteriori passi in avanti il procedimento di approvazione del decreto ministeriale che dovrà regolamentare il rilascio dell’antagonista specifico, il parassitoide Trissolcus japonicus. Il 27 marzo scorso si è tenuta la riunione della Commissione degli Assessori regionali all’Ambiente che ha espresso parere favorevole al decreto ministeriale che fissa i criteri per l’immissione delle specie autoctone e il 30 marzo la Conferenza Stato-Regioni ha espresso il parere definitivo, ultimo atto che precede la pubblicazione del decreto ministeriale: ciò darà finalmente modo alle regioni di presentare la domanda al Ministero dell’Ambiente per ottenere l’autorizzazione ad eseguire i primi lanci in campo.
Per il riequilibrio tempi lunghi: tre anni e tanta costanza
La Fondazione Edmund Mach precisa che l’operazione richiederà tempo (non ci si aspetta il contenimento dei danni nei primi tre anni) e costanza: sarà infatti necessario ripetere i rilasci 2-3 volte all’anno per almeno tre anni. L’obiettivo è quello di far insediare il parassitoide negli ambienti naturali, boschi, siepi, aree non coltivate, laddove ci sono piante ospiti per la cimice che ne consentono la riproduzione e da dove la cimice può migrare massicciamente nelle colture agricole. Non è, quindi, una operazione di lotta diretta alla popolazione di cimice insediata nel frutteto, ma un intervento indiretto di controllo della popolazione nell’ambiente che solo successivamente si concretizzerà in una riduzione della pressione di infestazione verso la coltura e di conseguenza nella riduzione, se non addirittura l’eliminazione, dei trattamenti chimici per questo fitofago.
Queste previsioni sono fatte sulla base dell’esperienza maturata dall’allora Istituto Agrario nei primi anni del Duemila quando la lotta biologica aveva interessato il castagno per combattere la vespa cinese. Prima ancora negli anni Novanta la lotta biologica era stata applicata per il controllo della Metcalfa pruinosa che infestava le colture agrarie e le alberate cittadine. Poi, nel 2004, questo approccio era stato bloccato dalla normativa nazionale.
In virtù del lavoro di ricerca e sperimentazione è stato possibile sostituire gradualmente molecole giudicate pericolose per l’uomo e l’ambiente con alternative meno o per nulla impattanti.