Tempi duri per la canapa. Dopo il parere negativo del Consiglio Superiore della Sanità, arriva un’altra notizia negativa. La Cassazione ha decretato che commercializzare i prodotti derivati dalla cannabis light è reato. La decisione, che travolge un settore in piena espansione, è stata presa ieri dalle sezioni penali unite. L'autorizzazione alla vendita era stata concessa dal Mipaaft, che ha pubblicato a fine maggio 2017 la circolare applicativa della legge approvata nel 2016. La circolare ribadiva che la coltivazione è consentita senza necessità di autorizzazione, richiesta, invece, per la coltivazione di canapa ad alto contenuto di Delta-9-tetraidrocannabinolo e Delta-8-trans-tetraidrocannabinolo, di seguito THC, per gli usi consentiti dalla legge.
Da ciò è nato un business fiorente, tanto che ad oggi ci sono già un migliaio punti vendita in tutta Italia per la cannabis light. Per la Cassazione, però, la legge non consente la vendita o la cessione (a qualunque titolo) dei prodotti "derivati dalla coltivazione della cannabis" come l'olio, le foglie, le inflorescenze e la resina. "Integrano il reato" previsto dal Testo unico sulle droghe (articolo 73, commi 1 e 4, dpr 309/1990) infatti, "le condotte di cessione, di vendita, e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante".
La commercializzazione di cannabis 'sativa L', spiegano i supremi giudici, non rientra nell'ambito di applicazione della legge 242 del 2016, sulla promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa.
Con la loro informazione provvisoria, i giudici della Corte osservano che la legge del 2016 "qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole" che "elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati". La questione è stata affrontata dalla Suprema Corte dopo che un commerciante di Ancona è stato denunciato l’estate scorsa.