Oggi è l’ultimo giorno del Regno Unito nell’Europa politica. A partire da febbraio Unione europea e la corona di Sua maestà avvieranno formali negoziazioni per definire lo scenario che si andrà a delineare a partire dal 1 gennaio 2021.
Tante sono le implicazioni, ma soffermandoci su quelle del nostro settore diciamo subito che la Gran Bretagna produce poco più del 50% dei prodotti alimentari che consuma. Quindi, una Brexit no-deal potrebbe portare ad un aumento dei prezzi per i generi alimentari anche del 20%, costringendo il paese d’Oltremanica a far fronte a una profonda inflazione. E che cosa importano dall’Europa? Soprattutto frutta, verdura, carne, cereali, prodotti freschi e uova, olio e zucchero.
Lo spettro di una Brexit “no-deal” allarma di conseguenza anche il settore agroalimentare italiano. Che potrebbe subire una penalizzazione a causa di un possibile crollo dell’export legato all’imposizione di dazi pesanti e alla mancata tutela a regime delle denominazioni geografiche. Oggi il Regno Unito è il quarto sbocco mondiale dell’export italiano di “food and beverage” dopo Germania, Usa e Francia; si tratta di una partita di quasi 3,4 miliardi di euro, trainata da vini e liquori per quasi 1 miliardo di euro, trasformazione ortaggi per 350 milioni, formaggi per 261 milioni (settore che nei primi 7 mesi del 2019 è cresciuto del +11,7%), dolci per 315 milioni ( che, sempre nello stesso periodo, è cresciuto del 7,5%), pasta per 318 milioni.
Speriamo quindi che prevalga il buon senso e che si arrivi se a un accordo commerciale di libero scambio.