Senza accordo, quindi con il no deal, sono a rischio 3 miliardi di euro di esportazioni agroalimentari in Gran Bretagna, quarto posto tra i partner commerciali del Belpaese per cibo e bevande.
Emerge da una recente analisi divulgata in riferimento allo stallo dei negoziati per la Brexit. Quello che occorre evitare è l’arrivo di dazi e ostacoli amministrativi di vario tipo, tra cui quelli doganali, alle nostre esportazioni. Ricordiamo solo che l’agroalimentare made in Italy nei primi sei mesi del 2020 ha visto crescere di quasi il 4% il volume di merci inviate dai sudditi di Elisabetta II.
E dà qualche grattacapo anche la tutela giuridica dei prodotti a indicazioni geografica e di qualità (Dop/Igp) che incidono per circa il 30% sul totale dell’export agroalimentare e che, senza protezione europea, rischiano di subire oltremanica la concorrenza sleale dei prodotti di imitazione da Paesi extracomunitari, il famigerato fenomeno dell’italian sounding.
Con l’uscita dall’Unione Europea si teme anche che si affermi in Gran Bretagna una legislazione sfavorevole alle esportazioni agroalimentari italiane come ad esempio l’etichetta nutrizionale a semaforo sugli alimenti (il nutriscore) che colpisce gran parte del Made in Italy a denominazione di origine (Dop).
Dopo il vino, che sul mercato britannico ha fatturato nel 2019 quasi 771 milioni di euro, spinto dal Prosecco Dop, al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti in Gran Bretagna ci sono i derivati del pomodoro, ma significativa è anche la quota di mercato della pasta, dei formaggi e dell’olio d’oliva. Importante anche il flusso di Grana Padano e Parmigiano Reggiano per un valore attorno ai 85 milioni di euro.