Uno speciale laboratorio sottomarino installato dall’ENEA a oltre 25 metri di profondità nelle acque del Mare di Ross, in Antartide, ha permesso di acquisire dati su temperatura, pH, ossigeno, salinità e pressione che consentono di descrivere puntualmente la variazione annuale dei processi fisici, chimici e biologici, sotto il pack della Baia di Terra Nova, confermando che una delle maggiori cause dei cambiamenti climatici è lo scioglimento dei ghiacci. I dati sono stati raccolti in modo continuo e in alta risoluzione per un anno fino a novembre 2019 e poi pubblicati all’interno di studi sulla rivista internazionale “Minerals”.
L’attività è stata condotta nell’ambito del progetto Ice ClimaLizers, coordinato dall’ENEA, durante la 34a e 35a spedizione italiana in Antartide – finanziate dal Programma Nazionale per la Ricerca in Antartide (PNRA) – con l’obiettivo di studiare la variazione delle caratteristiche fisico-chimiche dell’acqua di mare, utilizzando come indicatori ambientali e potenziali ‘sentinelle del cambiamento climatico’ alcuni organismi marini calcificanti come briozoi e alghe coralline.
“Attraverso il consumo di plancton e la costruzione degli scheletri carbonatici, questi organismi immagazzinano carbonio e ricoprono una funzione strategica, ma ancora poco riconosciuta, per misurare quanto sta avvenendo specialmente nelle aree polari dove i cambiamenti stanno avvenendo molto rapidamente e dove le condizioni ambientali estreme non permettono di acquisire facilmente dati per l’alto rischio di danneggiamento o perdita degli strumenti”, sottolinea Chiara Lombardi, ricercatrice ENEA del laboratorio Biodiversità e Servizi Ecosistemici presso il Centro di Santa Teresa (La Spezia).
La Baia di Terra Nova è un sito cruciale, perché qui si forma la cosiddetta Dense Shelf Water, la massa di acqua più superficiale in contatto con gli ecosistemi costieri locali che trasferisce ‘le informazioni’ all’Antarctic Bottom Water, che influenza a sua volta la circolazione e il nutrimento di tutto l’oceano. Un recente studio pubblicato su "Nature Geoscience" conferma che l’aumento della concentrazione della CO2 di origine umana registrato negli ultimi 40 anni nell’Antarctic Bottom Water, è stato influenzato dalla variabilità interannuale associata alle variazioni locali delle proprietà chimico-fisiche dell’acqua (temperatura, salinità, ecc.).
“Il cambiamento climatico in atto, la complessità dei processi e la variabilità registrata anche su scale molto ridotte evidenziate dallo studio, rendono necessario incrementare i siti di osservazione sul campo per acquisire più dati, in particolare nelle regioni polari. Registrare i rapidi cambiamenti in atto, sia in acque polari superficiali che profonde, è essenziale per monitorarne gli effetti sulla biodiversità marina: gli oceani, infatti, assorbono circa il 93% del calore terrestre e il 25% delle concentrazioni di anidride carbonica (CO2) dell’atmosfera e ospitano il più grande ecosistema del pianeta. Dagli oceani dipende la salute di tutta la Terra” sottolinea Lombardi.
Il progetto Ice ClimaLizers è stato realizzato in collaborazione con gli Istituti del CNR di Scienze Marine di Bologna e di Ingegneria del Mare di Genova, l’Istituto oceanografico di Sopot (Polonia), l’Università di Portsmouth e il Museo di Storia Naturale di Londra (Regno Unito) e il CNRS (Francia).