E’ in crisi anche il frutto simbolo del periodo autunnale: la castagna. Nei lavoretti della scuola primaria è il prodotto della terra puntualmente associato all’autunno. E’ il figlio “dell’italico albero del pane”, come Pascoli definiva il castagno. Insomma, è un atavico emblema stagionale. Perché questa saporita gemma della terra è dunque in crisi?
Colpa innanzitutto del clima dell’ultima estate, decisamente anomala, con temperature sotto la media di stagione e con una piovosità superiore al normale. Ma non solo. Il vero killer dei castagneti si chiama “cinipide”, o “vespa cinese”, un insetto dell’ordine degli imenotteri che attacca i germogli delle piante ospiti causando la formazione di galle, che possono portare al deperimento della pianta. Giunto in Europa nel 2002, Italia compresa, è stato avvistato per la prima volta in Piemonte. Ora interessa quasi tutta la Penisola, con danni molto gravi in Lombardia, Liguria, Marche, Abruzzo e Campania.
L’insetto, che non uccide le piante ma le indebolisce, ha però aggravato una situazione resa già difficile da un’altra nefasta presenza: quella della Cryphonectria Parasitica, cioè il cancro del castagno, che invece da decenni decima le piante. Se contro il cinipide è in atto una lotta biologica a furia di un insetto antagonista, il Torymus sinensis Kamijo, che potrà dare qualche risultato nelle prossime stagioni, la questione del cancro alla corteccia è un problema serio in quanto affrontabile solo con la costosa potatura delle parti malate della pianta. Che non sempre si fa. Questi tre fattori, al momento, stanno decimando la quantità complessiva delle ottime castagne italiane. I frutti hanno difficoltà a maturare e la produzione nazionale potrebbe così scendere ulteriormente rispetto ai 18 milioni di chili, minimo storico registrato lo scorso anno. Soltanto qualche anno fa la produzione era sopra i 50 milioni, un secolo fa addirittura sopra agli 800 milioni di chili.
Il calo italiano è compensato dall’aumento delle importazioni. Sono passate da 38,7 a 67,8 milioni di euro nel biennio 2012-2013. Oggi gli italiani hanno oltre il 50 per cento di probabilità di trovarsi nel piatto, spacciate per nazionali, castagne provenienti soprattutto da Spagna, Portogallo, Turchia e Slovenia. Un duro colpo, quello di quest’anno, non solo per le numerose sagre sparse in tutto lo Stivale, ma anche per il paesaggio. Molti castagneti rischiano infatti l’estinzione. Un dramma per un Paese, come il nostro, che vanta una lunga lista di certificazioni europee in questo settore: sono infatti ben dodici i tipi di castagne nostrane che hanno ottenuto il riconoscimento europeo. Due si trovano in Piemonte: la Castagna Cuneo Igp e il Marrone della Valle di Susa Igp. Due anche in Veneto: il Marrone di San Zeno Dop e i Marroni del Monfenera Igp. E’ emiliano il Marrone di Castel del Rio Igp. Sono ben quattro le certificazioni toscane: il Marrone del Mugello Igp, il Marrone di Caprese Michelangelo Dop, la Castagna del Monte Amiata Igp e la Farina di Neccio della Garfagnana Dop. E ancora: la Castagna di Vallerano Dop nel Lazio e i due riconoscimenti campani, la Castagna di Montella Igp e il Marrone di Roccadaspide Igp.
Ma qual è la situazione nelle diverse aree? In Lombardia, dove i coloratissimi boschi di castagne occupano un migliaio di ettari – quasi la metà in provincia di Brescia, 145 a Como, 138 a Sondrio, 108 a Bergamo, 78 a Lecco, 28 a Pavia e 25 a Varese – la produzione è mediamente dimezzata nel giro di un anno, anche se la crisi picchia duro da almeno tre anni. I picchi di riduzione maggiore proprio nel Bresciano, intorno al 60 per cento, che scende al 50 nel Bergamasco e tra il 30 e il 40 nelle zone di Como e di Lecco. Nel contempo i prezzi sono raddoppiati per i consumatori: anche otto euro al chilo, mentre agli agricoltori le castagne vengono pagate tra i 2,50 e i 3,50 euro al chilo a seconda della varietà. L’allarme è lanciato soprattutto dal Consorzio della castagna della Valcamonica, centro della produzione regionale con 175 soci. L’agronomo Stefano Pirovano del Settore Agricoltura della Provincia di Lecco offre una spiegazione articolata: “I motivi principali di questa carestia sono tre: l’abbandono dei boschi situati a ridosso della città avvenuto ormai da 30-40 anni, la presenza della Cryphonectria Parasitica e il più recente arrivo del cinipide del castagno. La prima è il noto cancro della corteccia causato da un fungo di origine americana che si è diffuso nel nostro territorio dal 1938 con le prime segnalazioni sull’Appennino ligure e il secondo è un insetto originario della Cina la cui prima segnalazione è avvenuta nel 2002 in provincia di Cuneo”.
Analoga la situazione in Toscana, in particolare nel Mugello, dove il calo è molto sensibile.
Nelle Marche, dove sono 800 gli ettari di castagneti coltivati su terreni agricoli e tre i tipi di castagne presenti nell'elenco ufficiale dei prodotti agroalimentari tradizionali (marroni del Montefeltro, di Acquasanta Terme e di Roccafluvione), ci sono zone dove la produzione è scesa dell’80 per cento. La provincia leader è Ascoli Piceno con il 94 per cento della produzione regionale.
Non va meglio in Abruzzo, in particolare in provincia di Teramo, particolarmente ricca di castagneti. Qui la tradizionale sagra di Leofara, nel comune di Valle Castellana, quest’anno ha mostrato tutta la penuria quantitativa di un prodotto tradizionalmente rinomato. Enorme l’emergenza in Campania. Qui si parla anche di un 95 per cento in meno di produzione. Davide Della Porta presidente Associazione Castanicoltori Campani, denuncia: “Le perdite economiche negli ultimi quattro anni superano i 500 milioni di euro, sono andati polverizzati oltre mille posti di lavoro. La situazione è drammatica: basti pensare che oggi una confezione con 6 marron glacé viene venduta allo stesso prezzo di una che tre anni fa ne conteneva 18, ma con una qualità inferiore dato che il frutto migliore, quello campano, praticamente non esiste più. Confidiamo nella lungimiranza con cui verranno assegnati i fondi europei – conclude Della Porta.
Aggiunge Roberto Mazzei, tecnico Pif dei Castanicoltori Campani: “Pensavamo di aver raggiunto il picco negativo nel 2013, ma le piante danno poche speranze anche per il prossimo anno dato che hanno già germogliato. Nel 2012 almeno ci fu il riconoscimento della siccità oggi le piante non sono nemmeno più assicurabili, un doppio danno enorme”. Giuseppe Russo, presidente dell’associazione castanicoltori di Salerno: “Il settore riparte solo con la produzione, ma qui non ci sono più aree produttive con due enormi problemi: uno legato al reddito praticamente azzerato degli agricoltori negli ultimi tre anni per cui chiediamo l'attivazione dello strumento comunitario che prevede un contributo fino a 15 mila euro, l'altro legato alla salvaguardia dei castagneti”.
Russo lancia le sue proposte: “Prevedere nella prossima programmazione dei fondi comunitari per l’agricoltura (2014- 2020) delle misure specifiche per il settore castanicolo con incentivi capaci di sostenere la redditività perduta, migliorando e ripristinando gli assetti ambientali idrogeologici tipo: prevedere gli interventi di potatura dei castagneti con contribuzione al 100%; prevedere interventi di piccola ingegneria naturalistica per realizzazione di graticciate, canali di scolo per regimentazione acque meteoriche, ecc. con contribuzione al 100%; prevedere una misura di sostegno per utilizzare microrganismi utili, insetti, tecnologie innovative contemplate dai manuali di lotta biologica utili al miglioramento qualitativo e produttivo, con contribuzioni al 75%; prevedere tra le spese ammissibili i costi pluriennali per la lotta biologica contro i patogeni del castagno ed in particolare Torymus sinensis per il cinipide, i nematodi per la Cydia e il Balanino, confusione sessuale, ecc.”.
Di fatto le oltre cinquemila aziende agricole impegnate nella produzione di castagne e le 40 aziende agroindustriale di trasformazione stanno subendo un colpo economico durissimo. Non tutte riusciranno a resistere senza urgenti interventi di sostegno.