Sostenibile, etico, locale, solidale. Il futuro del mondo agricolo non può tradire le orme rappresentative del proprio passato. Da sempre la più vera – e nobile – cultura della terra ottimizza le proprie risorse coniugando il senso del lavoro e del tempo con quello del capitale sociale e della vita. Assicurarsi linfa da pratiche di coesione sociale e di dialogo intergenerazionale, accreditate dal trasferimento di antichi saperi, rimane uno dei più blasonati privilegi dell’universo rurale. Una realtà in palese contrasto con quei modelli economici universalistici, concepiti per i territori urbani e basati su logiche di standardizzazione degli stili di vita e di economie di scala. Si potrebbe dire, come ben evidenzia Alfonso Pascale, presidente della Rete fattorie sociali, che “l’ontologia parmenidea che fondeva l’essere e il divenire in una forma di pensiero sia inconsapevolmente rimasta integra per millenni nella cultura contadina”. Insomma la campagna, benché sia penalizzata da una politica globalizzata accecata dai bagliori del finto progresso, sebbene venga relegata a territori montani difficili da abitare per la crisi dei servizi, nonostante sia defraudata dai muscolosi poteri industriali, bancari e finanziari soliti a valutare la terra mai in termini qualitativi ma quantitativi, casomai per collocarvi l’ultima installazione in fatto di produzione energetica, continua ad incarnare il più antico (e sempre più “moderno”) esempio di equilibrio naturale. Resta, cioè, l’area più proficua – al di là del ruolo basilare di assicurare l’alimentazione quotidiana – per la cura di valori immateriali quali le interrelazioni tra uomo e natura, la coltivazione di stili di vita incontaminati, la trasmissione di saperi e conoscenze, la salvaguardia di tradizioni, la valorizzazione di patrimoni culturali.
Rispondendo in modo crescente a tale logica, numerose aziende stanno sviluppando forme produttive alternative ai modelli omologanti, proprio per avversare quella finta “modernizzazione” agricola canalizzata su binari sempre più fuori controllo, contraddistinta da un’offerta prettamente commerciale (che determina illogici accumuli di eccedenze alimentari), relegata a processi di integrazione del sistema agroalimentare che rappresentano, a ben vedere, forme di dipendenza e di decadimento. Un’agricoltura fintamente “moderna”, incentrata su modelli centralistici o universali (compresi quelli di welfare) ormai in disfacimento, alimentata dall’introduzione massiccia di tecnologie, elementi chimici (fertilizzanti in primis), prodotti della genetica e della selezione delle sementi per garantire interminabili allargamenti di scala, che finiscono per svilire totalmente l’economia primaria. Un’agricoltura, tra l’altro, spesso gestita da imprenditori totalmente estranei al settore, ma abili nel calare dall’alto collaudate logiche di profitto. Con lo sforzo di recuperare il valore “comunitario” e “solidale” dell’agricoltura, sta ormai definitivamente emergendo una nuova frontiera del comparto primario, di cui si parla con crescente interesse anche in Italia: si tratta della cosiddetta “agricoltura sociale”.
Il fenomeno, ad onor del vero, non ha una definizione univoca. A livello europeo, in genere, si assume quella dall’Azione europea di cooperazione scientifico-tecnologica “Green care in agricolture”, seconda iniziativa comunitaria riguardante l’agricoltura sociale (dopo “Farming for health”), durata quattro anni e a cui hanno aderito quindici Paesi attraverso scambi di conoscenze, di metodologie e di risultati. Si parla, per l’agricoltura sociale, di “utilizzazione delle attività agricole come base per promuovere salute mentale e fisica e migliorare la qualità di diverse tipologie di utenti”. In una concezione sempre più vasta e articolata, l’agricoltura sociale è quindi caratterizzata dall’uso degli elementi produttivi dell’impresa agricola anche per garantire servizi alla persona, dagli asili alle fattorie didattiche, dal turismo verde ai servizi di reinserimento sociale attraverso il lavoro per soggetti in difficoltà. Nello specifico, le nuove e crescenti forme di servizi sociali collegati al mondo rurale trovano forza in una nuova visione della qualità della vita e nella giusta armonia tra la “cultura contadina” tradizionale (capace di garantire la centralità del processo produttivo agricolo, la valorizzazione del contesto locale e la dimensione partecipativa altamente “umanizzante”) e le nuove accezioni multifunzionali dell’agricoltura, che includono offerte inedite. Tra queste gli “agrinidi” e gli “agriasili” per bambini in età pre-scolare (tra i primi in Italia c’è quello di Poirino, in provincia di Torino, attivo dal 2004); le fattorie didattiche per gli studenti; il turismo sociale (praticato principalmente con gruppi di anziani o di persone diversamente abili); le comunità di accoglienza; le case-famiglia; i servizi di domiciliazione dei pasti a cura di imprese agricole; i laboratori di animazione; le esperienze in strutture ospedaliere, prevalentemente con pazienti geriatrici e psichiatrici; le collaborazioni tra sistema carcerario e mondo agricolo, come nei casi dei progetti legati all’apicoltura a Civitavecchia, le coltivazioni in serra nel carcere femminile di Rebibbia a Roma o i vini dell’istituto penitenziario di Velletri dai nomi originali, come “Quarto di Luna”, “Le sette mandate” e “Fuggiasco”; le esperienze nelle terre confiscate alla mafia; le attività socio-psico riabilitative, con l’ausilio di onoterapia (attraverso gli asini), ortoterapia e pet-therapy (zooterapia), che traggono origine dagli studi settecenteschi di William Tuke in Inghilterra, sul rapporto, per fini terapeutici, tra malati mentali ed alcuni animali, poi perfezionati negli Stati Uniti soprattutto negli anni Sessanta. Fino ad una serie articolata di servizi per l’accoglienza, l’inclusione, l’integrazione e la protezione sociale di soggetti con disabilità fisiche e psichiche, problemi di dipendenze, detenuti ed ex detenuti, giovani in difficoltà, cittadini immigrati, rifugiati, anziani, ecc.
Insomma, il concetto di “agricoltura sociale” è particolarmente ampio, includendo una vasta gamma di esperienze finalizzate al bene comune. La filosofia “sociale” di questo ramo crescente dell’agricoltura comprende anche una serie di pratiche virtuose. Ad esempio i metodi di produzione biologica, biodinamica e a basso impatto ambientale, i canali di vendita a filiera corta o a “chilometro zero” (inclusi i “Gas”, i “Gruppi di acquisto solidale”), l’attenzione “democratica” agli strumenti informativi e comunicativi e la propensione a lavorare in rete, privilegiando la dimensione territoriale. Spiega Saverio Senni, già docente universitario a Viterbo, tra i massimi esperti di agricoltura sociale in Italia: “Se il tradizionale tessuto familiare contadino è andato scemando in gran parte dei territori rurali italiani, la struttura familiare delle imprese agricole rimane ancora un tratto di gran lunga dominante nell’agricoltura italiana. La dimensione spiccatamente familiare delle aziende agricole può costituire un elemento di forza nella progettazione di un’offerta di servizi sociali alla persona da parte delle aziende stesse”.
Pionieri gli olandesi
E’ l’Olanda la nazione dove il fenomeno, almeno nella sua accezione moderna, ha visto le prime esperienze pionieristiche negli anni Novanta. Grazie ad una “spinta dall’alto”: un accordo quadro tra il ministero dell’Agricoltura e quello degli Affari sociali ha convinto numerosi imprenditori ad offrire percorsi terapeutico-riabilitativi e di recupero sociale a soggetti svantaggiati in campagna, ottenendone un compenso pubblico configurato come un’integrazione al reddito agricolo aziendale. L’iniziativa ha segnato il lancio del “care farming”, che oggi coinvolge circa 800 imprese agricole che integrano nei lavori aziendali soggetti a vario titolo svantaggiati o a rischio di esclusione sociale. Per approfondire il caso olandese, c’è un noto testo del professor Jan Douwe van der Ploeg, docente di Sociologia rurale presso l’Università di Wageningen nei Paesi Bassi, intitolato “I nuovi contadini” (in Italia è stato edito da Donzelli nel 2009). Secondo l’autorevole sociologo, che è stato consulente anche di organi istituzionali in Italia, negli ultimi due secoli, nell’epoca delle trasformazioni industriali, i contadini sono stati considerati una figura sociale in estinzione o da eliminare, in quanto ostacolo al cambiamento. Mentre oggi il mondo contadino non soltanto si presenta in molte forme nuove e inaspettate, ma sembra addirittura incarnare una risposta chiave per soddisfare i fabbisogni alimentari mondiali nella direzione di uno sviluppo sostenibile dell’agricoltura e delle economie rurali. L’autore dimostra che i contadini non sono affatto in decrescita: al contrario, sia nei Paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo, assistiamo a fenomeni complessi di ritorno ad un “modo contadino di fare agricoltura”. Il cuore di questo nuovo modello è la ricerca dell’autonomia rispetto al potere ordinatore degli “imperi agroalimentari”.
Un’autonomia basata sulla mobilizzazione delle risorse locali all’interno di un processo produttivo che ne garantisca allo stesso tempo la riproduzione. Con una grande ricchezza di casi empirici provenienti dalle agricolture di diverse parti del mondo – e un particolare focus sul sistema delle aziende italiane, che van der Ploeg considera d’eccellenza “per l’eterogeneità, ossia per il suo strutturarsi su risorse, storia e repertori locali” – il libro analizza e descrive il riemergere del fenomeno contadino, evidenziandone la contrapposizione alla modernizzazione “globale” che ha dato luogo agli imperi alimentari. Ne scaturisce, appunto, un modello originale, capace di creare una nuova armonia tra agricoltura, società e natura. In fondo l’agricoltura sociale nasce proprio dalla crescente insoddisfazione per l’integrazione dell’azienda agricola in circuiti tecnologico-produttivi sempre più eterodiretti. Oltre al Belgio, con caratteristiche abbastanza analoghe a quelle olandesi, dove esiste una rete fiamminga di “green care” e l’agricoltura sociale è riconosciuta dalle politiche agricole, è la Norvegia a presentare un’eccellente rete nazionali di agricoltura sociale riconosciuta dal sistema socio-sanitario pubblico, con servizi remunerati al pari di qualunque altro tipo di servizio. Molto avanzato il fenomeno anche in Finlandia, che registra circa trecento aziende.
Del resto, da un punto di vista storico, gli embrioni dell’agricoltura sociale, perlomeno in termini di fattorie didattiche, è cominciato proprio nel Paesi scandinavi, dove i contadini hanno aperto le proprie aziende ai ragazzi e ai bambini di città sin dagli inizi del Novecento. Ad ispirare tale fenomeno è stato un movimento giovanile, nato negli Stati Uniti nel 1902 ed attivo ancora oggi, denominato “Club 4H”, dove le quattro ‘h’ del nome indicano le parole inglesi “head”, “health”, “hearth” e “hand” (cioè “testa”, “salute”, “cuore” e “mani”). Lo scopo del sodalizio, che negli Usa ha oltre sei milioni di iscritti di età inferiore ai 19 anni distribuiti in 90mila club, è quello di coinvolgere i bambini e i ragazzi nelle attività naturali e di ottimizzare il loro massimo potenziale durante il periodo dello sviluppo. L’organizzazione è in partnership con 110 università.
Sempre negli Stati Uniti, lo psicologo Boris M. Levinson, il primo che ha teorizzato i benefici terapeutici apportati dagli animali a bambini con disturbi emotivi e autore del celebre “Pets and human development” (“Animali da compagnia e sviluppo umano”), nel 1953 definì le prime sperimentazioni di terapie verdi come “le pratiche basate sull’incontro con un animale non di proprietà del fruitore, in un rapporto a tre dove il conduttore dell’animale realizza una relazione che attivi le capacità assistenziali dell’animale in modo che il paziente ne usufruisca in base alla sua patologia”. Dagli anni Sessanta si chiamano “Pet-therapy”. Andando più indietro, non si possono dimenticare i lavori di Benjamin Rush, professore di chimica e pratica clinica presso l’università della Pennsylvania. Lo studioso analizzò i benefici terapeutici derivanti dalle attività agricole per persone affette da patologie della sfera psichica, mentale o comportamentale. Le sue prime riflessioni, che risalgono al 1768, sono state pubblicate nel 1812 nel libro “Medical inquiries and observations upon diseases of the mind” (“Quesiti e osservazioni mediche sui disturbi della mente”). Tornando al vecchio continente, l’agricoltura sociale è ormai radicata anche in Germania, Irlanda e Slovenia, dove è vista come un’opportunità inclusiva capace di sviluppare capacità residue degli individui. Da un punto di vista quantitativo, però, è la Francia a detenere il primato per numero di esperienze.
Spicca, ad esempio, quella di “Reseau Cocagne” (reseaucocagne.asso.fr), una rete di agricoltura biologica che oggi riunisce un’ottantina di realtà agricole (un’altra quindicina è in fase di progettazione), denominate “Jardins de Cocagne”. Il primo “giardino” è nato nel 1991 a Chalezeule (Doubs), rappresentando un prototipo poi esportato in tutta la nazione. Le strutture sono gestite da organizzazioni senza fini di lucro che promuovono inclusione sociale e lavorativa di fasce marginali della popolazione, ad esempio persone senza fissa dimora, prive di reddito, disoccupati di lunga durata, ecc. Il sostentamento economico è garantito da un collaudato sistema di vendita diretta: settimanalmente vengono distribuiti cestini, contenenti per lo più ortaggi biologici, per soci consumatori che si impegnano ad acquistare per più di un anno (definiti “consumattori”) e partecipano attivamente anche alle decisioni gestionali della struttura. Una modalità che ha successo soprattutto per la grande sensibilità dei francesi verso “il sociale”. Le strutture, luoghi accoglienti, offrono anche progetti ambientali e attività per bambini e si autoregolano per grandezza, evitando sproporzioni. Sul sito in vendita anche borse naturali e fiori. La rete francese ha numeri importanti: nel 2013 – anno di ulteriore crescita – ha raggiunto 120 “giardini” associati, circa quattromila dipendenti con straordinari risultati in termini di integrazione (molti lavoratori trascorrono due anni nella rete, dopo di che in media uno su due ha trova un'occupazione sostenibile o di formazione professionale altrove), 3,9 ettari di superfici coltivate organicamente (ogni giardino di media ha quasi 430 ettari), 25mila cestini realizzati ogni settimana. Molteplici esempi virtuosi di agricoltura sociale sono presenti anche nel Regno Unito. Il National Care Farming Iniziative è uno dei principali punti di riferimento (www.ncfi.org.uk).
Dietro alla repentina crescita del fenomeno negli ultimi anni, ci sono principalmente le conseguenze – non solo monetarie ma anche ideologiche – della crisi economica generalizzata, che sta spingendo molti operatori rurali verso la ricerca di nuovi schemi produttivi. Il superamento di un’agricoltura omologata su logoranti logiche agro-industriali avviene anche attraverso pratiche incentrate sulla riscoperta di valori locali e morali, sul rilancio di azioni partecipative e sull’acquisizione di nuovi modelli sostenibili, diversificati e multifunzionali, cioè legate al cambiamento della percezione, da parte della società, del ruolo del settore agricolo ed all’emergere di nuove aspettative non più direttamente subordinate al ciclo produttivo. Pratiche che consentono di ovviare ai limiti di uno sviluppo unidirezionale grazie alla diversificazione delle fonti di reddito, alla crescita dei beni relazionali e al nuovo apprezzamento “etico” delle aziende agricole. La reputazione, che surclassa l’overdose di “costruzioni d’immagine”, è il biglietto da visita: la credibilità si costruisce quotidianamente e si fonda sulla qualità delle pratiche condotte.
Fenomeno nuovo con un’anima antica
La collocazione temporale dell’odierna “agricoltura sociale” in Italia, in forte espansione nel nuovo millennio, cioè in una fase di reazione all’uniformazione post-industriale degli ultimi anni, nonché la sua portata internazionale e dai volumi non trascurabili spingono a considerare il fenomeno certamente “originale”, quindi scollegato da analoghi movimenti dei decenni precedenti. Tuttavia, se analizziamo le caratteristiche delle odierne pratiche di agricoltura sociale, è possibile rintracciare qualche riferimento con il passato. Non mancano, ad esempio, illustri precedenti perlomeno ideali – una sorta di “marcati” segnali premonitori – come la scuola dai forti contenuti sociali fondata da don Lorenzo Milani a Barbiana del Mugello (1954), frequentata per lo più da figli di contadini e orientata alla presa di coscienza civile e sociale. O il Gruppo Abele a Torino (dal 1965). O ancora la Comunità di Capodarco, costituita da don Franco Monterubbianesi nel 1966 per restituire dignità ad un gruppo di disabili attraverso attività agricole. Ancora più indietro nel tempo, è possibile indicare il recupero di persone carcerate in agricoltura. Già nei primi anni del Novecento, in Sardegna sono stati utilizzati carcerati per realizzare opere di bonifica o per lavorare fondi agricoli (è il caso delle colonie agricole dell’Asinara di Castiadas, Cuguttu, Mamone, San Bartolomeo, Sarcidano). Con provvedimenti legislativi del 1907 e 1908, si previde la possibilità di concedere ai coltivatori della Sardegna che ne facevano richiesta, l’opera dei condannati per lavori di bonifica, irrigazione e trasformazione agraria. Una volta bonificati dai detenuti, parte di questi terreni venivano assegnati ad altri contadini liberi. Analoghi casi in Toscana a Capraia, Gorgona e Pianosa.
I semi dell’odierna agricoltura sociale sono quindi rintracciabili negli anni in cui si è sviluppata una coscienza critica verso gli aspetti più deleteri della “modernità”, ad esempio l’eccesso di centralità burocratica (si pensi alle critiche di Anthony Giddens) o di razionalismo. E soprattutto quelli in cui essa ha trovato la massima maturazione. L’attuale inserimento del fenomeno in un contesto di crisi del mondo industrializzato e gli elementi di rinnovata attenzione per l’ambiente naturale e sociale richiamano confronti con quelle pratiche variegate, frastagliate e fortemente ideologizzate che caratterizzarono importanti esperienze principalmente negli anni Settanta. Cioè nel periodo della crisi petrolifera internazionale e dei conseguenti accesi dibattiti sull’idea di sviluppo. Anni in cui videro la luce esperienze significative come le “comuni” agricole, che ebbero anche implicazioni spirituali, o l’associazionismo, soprattutto di matrice radicale, per l’abolizione dei manicomi, per la lotta alla tossicodipendenza e per la denuncia delle condizioni carcerarie, fino alle cooperative cattoliche che s’insediavano in borghi agresti e in casali di campagna abbandonati. Il richiamo a quegli anni e a quelle iniziative pionieristiche, con le dovute differenze rispetto ad oggi, è proficuo per individuare i germogli di un cambiamento concettuale proveniente soprattutto “dal basso”: un’agricoltura sempre più flebile e “ghettizzata” dalle nuove gerarchie economiche perde l’etichetta di mero sistema produttivo, accrescendo nel contempo la sua funzione culturale e sociale. A far emergere tutto ciò – si pensi alle acute analisi di Pier Paolo Pasolini – è proprio il mondo rurale degli anni Settanta, quello che ha visto più che dimezzato il numero dei coltivatori diretti rispetto a vent’anni prima, dagli 8,6 milioni nel 1951 ai 4,2 milioni del 1971. E che s’interrogò con apprensione sul proprio futuro, intrecciando la propria quotidianità con quella delle piazze in fermento. Una fase particolarmente dinamica anche sul fronte dottrinale.
L’impegno dell’Uci
E’ in tale contesto che nell’ottobre 1977 l’Uci-Unione Coltivatori Italiani, parte della Costituente contadina con Alleanza e Federmezzadri, promosse uno storico evento, ambientandolo significativamente in un borgo abbandonato del nostro Mezzogiorno, a Taccone di Irsina, in provincia di Matera. Una “tre giorni” sul tema “Occupazione giovanile e sviluppo dell’agricoltura” che richiamò in una sorta di happening oltre duemila giovani da ogni parte d’Italia per confrontarsi con “addetti ai lavori”, personalità dell’agricoltura, della cultura e della politica su un importante pezzo di futuro della società italiana. Una delle rare occasioni in cui la ruralità ha messo profeticamente in luce, tra mostre e proiezioni cinematografiche, il proprio carattere multidisciplinare e multifunzionale, tra “letture” culturali, occupazionali, ambientali, ricreative, turistiche, educative, formative. L’Uci ha conservato nel tempo la massima attenzione al fenomeno, facendo propria la risorsa della multifunzionalità in agricoltura: attraverso questo strumento valorizza un modello di sviluppo sostenibile, sociale, solidale ed inclusivo. Per attuarlo, sostiene attività economiche quali il turismo eco-sociale, i servizi alle famiglie e alla persona, la terapia con gli animali, le attività di protezione e di riabilitazione sociale. Una pluralità di attività accomunate dall’impiego dell’azienda agricola per la creazione di servizi alla persona. “Tale riscoperta dell’utilità sociale dell’agricoltura per la comunità – sottolinea un documento dell’Uci – richiede un lavoro di rete, uno studio di modelli, migliori pratiche e progetti pilota. Richiede, inoltre, di esplorare nuove relazioni pubblico-privato per sviluppare un’integrazione di servizi che nelle aree rurali sono più carenti e per consentire alle stesse aree rurali di rispondere alle domande degli abitanti metropolitani. I servizi scolastici, sanitari e sociali – continua il documento – possono sviluppare linee guida e accordi quadro per garantire un’offerta di protezione sociale, nel quadro europeo di Sviluppo Rurale”.
L’Uci s’è sempre battuta per promuovere un modello di governance finalizzato a valorizzare i molteplici aspetti dell’agricoltura sociale, in grado di coinvolgere tutti i diversi soggetti pubblici e privati a livello centrale e locale, nonché per individuare una strategia condivisa Stato-enti locali-privato sociale per la definizione delle diverse tipologie di agricoltura sociale e di “fattorie sociali”, con gli specifici ruoli per l’impresa agricola e le tipologie di beni e di servizi che l’impresa agricola può offrire. Inoltre ha sempre sostenuto un percorso normativo che consentisse il riconoscimento delle strutture delle “fattorie sociali” da parte delle amministrazioni pubbliche che gestiscono i servizi che l’impresa agricola integra, ad esempio il sistema sanitario o i provveditorati agli studi. Parallelamente ha supportato la costruzione di accordi quadro con le amministrazioni interessate nelle diverse aree rurali definite dal Piano strategico nazionale. Lo strumento più ricorrente è quello di un tavolo di lavoro che non impegni evidentemente in alcun modo l’autonomia e l’identità degli organismi partecipanti, ma si configuri come una collaborazione libera per il buon fine delle attività. La peculiarità italiana dell’agricoltura sociale è insita proprio nel suo solido legame con questa “socialità militante”, con le forti spinte ideali che caratterizzano il rapporto con il mondo del lavoro, con il “consumo critico” e con il terzo settore, ad esempio nel privilegiare prodotti locali ad elevato contenuto di sostenibilità ambientale e sociale, nonché per facilitare le attività terapeutiche o d’inclusione socio-lavorativa mediante l’uso dell’agricoltura. Non a caso qualcuno ha proposto, per il nostro Paese, un più corretto appellativo di “sociale agricolo” piuttosto che di “agricoltura sociale”.
Il cammino normativo
Anche grazie a tali spinte culturali e ad un lungo periodo di elaborazione, nel 1991 (con la legge 381) sono state istituite le cooperative sociali, che rappresentano un altro importante momento di alimentazione per la multifunzionalità dell’agricoltura. Poco più di un decennio dopo saranno quasi cinquecento. Parallelamente si è assistito a nuovi importanti segnali, come quelli dei beni confiscati alla mafia e recuperati ad un uso di interesse collettivo. E’ il caso dei terreni agricoli rigenerati dall’associazione “Libera”, promossa da don Luigi Ciotti. Oggi, con questo logo associato ad una grande reputazione soprattutto da parte dei giovani, l’organismo di don Ciotti costituisce in realtà un coordinamento di oltre 1.500 associazioni, gruppi, scuole, realtà di base. Da tali esperienze e da nuove consapevolezze è scaturito il decreto legislativo n. 228 del 2001, che ha modificato l’articolo 2135 del Codice civile “aggiornando” i requisiti dell’imprenditore agricolo, non più un semplice coltivatore diretto di un fondo o un allevatore di bestiame ma “chi esercita almeno una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali e attività connesse, cioè “esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”. Un ulteriore passo importante verso lo sbocco della multifunzionalità.
I presupposti dell’agricoltura sociale sono rintracciabili nelle politiche agricole comunitarie, ad esempio in quella del 2003 (e nel regolamento dello sviluppo rurale del 2005), che ha dato il via ad un profondo ripensamento dell’intervento pubblico comunitario. Nel Piano strategico nazionale per lo sviluppo rurale, adottato dal ministero delle Politiche agricole e approvato dalla Commissione europea nel gennaio 2007, sono espressamente citate le fattorie sociali. Un impulso notevole è poi stato assicurato dalla programmazione dello sviluppo rurale che, nel suo principale atto programmatico – il Piano Strategico Nazionale (PSN) 2007-2013 – l’ha inserito fra le “azioni chiave” dell’Asse III. Il Comitato economico e sociale europeo (Cese), ha adottato il 13 dicembre 2012 il Parere d’iniziativa sul tema “Agricoltura sociale: terapie verdi e politiche sociali e sanitarie”, che presenta le caratteristiche principali dell’agricoltura sociale in Europa e raccoglie una serie di proposte e raccomandazioni nei confronti della Commissione, tra i quali la definizione di un quadro giuridico di riferimento e la possibilità di un sostegno pubblico alle iniziative che si sviluppano nei diversi Paesi. Un’indubbia azione di stimolo verso un quadro normativo nazionale chiaro sulla materia – anche in virtù, viceversa, del ricco panorama di leggi regionali – è stato compiuto dal Forum nazionale agricoltura sociale, nato nel 2011, che ha a più riprese sollecitato le istituzioni affinché procedessero a definire un quadro normativo. E’ evidente, come sottolinea l’organismo, che l’introduzione di specifiche norme rappresenti una leva positiva nel processo di diffusione del fenomeno, scongiurando facili degenerazioni e distorsioni.
Il Forum ha rappresentato, tra le priorità, un quadro regolamentare di base unificante ma non omologante, cioè rispettoso delle diversità di forme e di modalità, espressione dello stretto rapporto con i fabbisogni sociali del territorio, delle risorse e delle vocazioni agricole disponibili a livello locale. Il 15 luglio 2014 la Camera dei deputati ha approvato la legge sull’agricoltura sociale, attesa da anni. Frutto anche dell’indagine conoscitiva compiuta dalla stessa Camera due anni prima e delle esperienze normative messe in atto da tempo in alcune regioni. La legge nazionale promuove l'agricoltura sociale, nel rispetto dei princìpi previsti dall'articolo 117 della Costituzione e nell'ambito delle competenze regionali. Riconosce alla materia l’aspetto della multifunzionalità delle attività agricole finalizzato allo sviluppo di interventi e di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio-lavorativo, allo scopo di facilitare l'accesso adeguato e uniforme alle prestazioni essenziali da garantire alle persone, alle famiglie e alle comunità locali in tutto il territorio nazionale e in particolare nelle zone rurali o svantaggiate. Per “agricoltura sociale” la legge intende le attività esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile che, in forma singola o associata con i soggetti di cui all'articolo 1, comma 5, della legge 8 novembre 2000, n. 328, o con le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, integrano in modo sostanziale, continuativo e qualificante l'attività agricola con la gestione di servizi socio-sanitari (riabilitativi, terapeutici, formativi) ed educativi o con lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi – finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate. La legge, richiamando norme precedenti, definisce “persone svantaggiate” gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, le persone detenute o internate negli istituti penitenziari, i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro all'esterno ai sensi dell'articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni.
Per “lavoratore svantaggiato” intende chiunque rientri in una delle seguenti categorie:
• a) chi non ha un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
• b) chi non possiede un diploma di scuola media superiore o professionale ;
• c) lavoratori che hanno superato i 50 anni di età;
• d) adulti che vivono soli con una o più persone a carico;
• e) lavoratori occupati in professioni o settori caratterizzati da un tasso di disparità uomo-donna che supera almeno del 25% la disparità media uomo-donna in tutti i settori economici dello Stato membro interessato se il lavoratore interessato appartiene al genere sottorappresentato;
• f) membri di una minoranza nazionale all'interno di uno Stato membro che hanno necessità di consolidare le proprie esperienze in termini di conoscenze linguistiche, di formazione professionale o di lavoro, per migliorare le prospettive di accesso ad un'occupazione stabile.
Per “lavoratore molto svantaggiato”: lavoratore senza lavoro da almeno 24 mesi;
Per “lavoratore disabile”, chiunque sia:
• a) riconosciuto disabile ai sensi dell'ordinamento nazionale oppure
• b) caratterizzato da impedimenti accertati che dipendono da un handicap fisico, mentale o psichico;
All’articolo 4 la legge stabilisce che gli operatori dell'agricoltura sociale possono costituire organizzazioni di produttori (OP), per prodotti e per servizi dell'agricoltura sociale. Le OP di agricoltura sociale sono costituite da almeno tre imprese, senza limiti di carattere regionale, e con un volume minimo di produzione commercializzata e di servizi erogati pari a 90mila euro.
Per l'esercizio delle attività di agricoltura sociale possono essere utilizzati i locali o parte di essi già esistenti nel fondo agricolo., assimilabili, ad ogni effetto di legge, ai fabbricati rurali strumentali all'attività degli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile.
L’articolo 6 riguarda gli interventi di sostegno. Stabilisce che le istituzioni pubbliche, che gestiscono mense scolastiche e ospedaliere, possono prevedere, nelle gare concernenti i relativi servizi di fornitura, criteri di priorità per l'inserimento di prodotti agroalimentari provenienti da operatori dell'agricoltura sociale. Inoltre i comuni definiscono modalità idonee di presenza e di valorizzazione dei prodotti provenienti dall'agricoltura sociale, previa richiesta degli operatori del settore. Infine gli enti pubblici territoriali e non territoriali prevedono criteri di priorità nei procedimenti di assegnazione di terreni demaniali, soggetti al regime dei beni demaniali o a vincolo di uso civico, per favorire l'insediamento e lo sviluppo delle attività di agricoltura sociale.
La legge prevede inoltre l’istituzione dell'Osservatorio sull'agricoltura sociale presso il ministero delle Politiche agricole per definire le linee guida, monitorare ed elaborare le informazioni, raccogliere e valutare ricerche, proporre iniziative, azioni di comunicazione e di animazione. Il vice ministro delle Politiche agricole, Andrea Olivero, ha così commentato la nuova legge: “L’Europa ha assunto il tema come uno dei temi cardine per lo sviluppo, ma fino ad oggi in Italia c’è stata una modalità pionieristica di lavorare sul tema. Limitarsi a procedere solo con la buona volontà dei singoli era pericoloso. Sono nate molte leggi regionali molto discordanti tra di loro e evolute esperienze molto diversificate. Ora toccava a noi andare a costruire un quadro normativo all’interno del quale rafforzare ulteriormente questo settore”. Il nuovo testo nazionale definisce le attività di “agricoltura sociale”, come quelle svolte dall’imprenditore agricolo per l’inserimento sociolavorativo di soggetti svantaggiati, disabili e minori in età lavorativa inseriti in progetti di riabilitazione sociale, l’integrazione dei servizi sociali delle comunità locali (agriasili, accoglienza persone in difficoltà), le prestazioni di servizi terapeutici anche attraverso l’ausilio di animali e coltivazione e iniziative di educazione ambientale e alimentare.
“La legge – ha spiegato ancora Olivero – fa sì che possano essere adottati strumenti per la valorizzazione dell’agricoltura sociale in quanto una volta definita può essere sostenuta e riconosciuta. Penso ai Piani di sviluppo rurale, che sono una parte consistente di finanziamenti per quanto riguarda il mondo agricolo. Penso anche a tutto il fondo sociale che ha la volontà di sostenere il welfare e con questa legge, l’agricoltura sociale si candida ad essere uno degli strumenti di promozione di welfare rurale”. La legge, inoltre, prevede che l’imprenditore potrà svolgere attività anche in associazione con cooperative e imprese sociali, con associazioni di promozione sociale e di volontariato con la stretta collaborazione dei servizi sociosanitari territoriali.
Il testo dovrebbe andare a mettere un po’ di ordine tra le normative ragionali. Al di là di tale necessaria cronistoria degli ultimi decenni, in fondo la stessa “socialità” del fenomeno agricolo odierno rappresenta un “ingrediente” insito nell’agricoltura stessa. Con radici assai più remote.
Dal passato al futuro
La forte componente “familistica”, la condivisione dei riti, la reciprocità nel contesto della comunità, lo scambio di mano d’opera tra famiglie per lavori stagionali, le forme di solidarietà, le origini agricole del movimento cooperativo sono fattori che confermano questa tendenza “relazionale” e quindi comunitaria. Ben descritta, tra l’altro, dai maggiori romanzi dell’Ottocento e del Novecento, specie di autori meridionali e isolani. In tale contesto rientra anche l’assistenza “in famiglia” alle persone anziane o ai disabili, particolarmente numerosi nell’Italia provinciale e contadina dei decenni addietro, causa anche l’alto numero di incesti. Il risultato è, appunto, una forte ricaduta “sociale” del comparto primario, che in sostanza si fa carico della salvaguardia dei beni comuni, materiali e immateriali. Un modello di sviluppo locale a forte carattere etico che vede l’impegno diretto degli imprenditori agricoli spesso in forma associata con operatori del terzo settore. Attuali pratiche di co-working tra il mondo rurale, il terzo settore e le istituzioni pubbliche rappresentano il fiore all’occhiello dell’agricoltura sociale. Le attività, realizzate in cooperazione con i servizi socio-sanitari e con gli enti locali, vengono in genere sottoposte a verifiche periodiche, anche mediante un rendiconto sociale. E attivano una pluralità di azioni formative. Le risorse ambientali e l’operosità agricola, rafforzando ulteriormente il ruolo di “bene collettivo” dell’agricoltura e mobilitando risorse spesso ancora inespresse, contribuiscono non solo al rilancio in un’ottica di coesione delle aree e delle attività rurali, ma anche alla valorizzazione di esperienze dal forte contenuto solidale, all’addensamento delle reti sociali, alla realizzazione di percorsi socio-riabilitativi, educativi, formativi, di tutoraggio, offrendo opportunità di inclusione sociale soprattutto attraverso l’inserimento lavorativo. Tali circoli virtuosi, assicurando servizi finalizzati al benessere complessivo della cittadinanza, garantiscono crescita e coesione alle comunità locali. L’agricoltura sociale, in sintesi, va incontro contemporaneamente sia alle richieste del mercato sia a quelle della società civile.
Oltre a valorizzare la funzione dell’azienda agricola e a rafforzare il ruolo sociale di soggetti svantaggiati o a rischio di emarginazione, tali pratiche hanno una ricaduta decisamente positiva anche per i conti pubblici, in quanto le disastrate aziende sanitarie possono ridurre gli investimenti diretti verso le proprie strutture, in genere molto costose, desuete e non sempre efficienti. L’agricoltura sociale, infatti, libera nuovi approcci verso i servizi socio-sanitari per la cura e l’inserimento socio-lavorativo. Queste nuove prassi agricole finiscono per incidere fortemente nell’ambito dell’intervento pubblico nei sistemi di welfare, anche quale risposta ad una crescente domanda di nuova qualificazione delle reti di protezione sociale. Analogamente, i tagli dei fondi destinati all’istruzione pubblica, principali responsabili della riduzione degli insegnanti di sostegno, stanno rafforzando il ruolo dell’agricoltura sociale. Molte scuole hanno avviato percorsi di collaborazione con aziende agricole, ad esempio attraverso attività cicliche in fattoria per studenti disabili. L’agricoltura sociale è, pertanto, un fenomeno in netta crescita, quantitativa e qualitativa. Anche la recessione economica, a cui spesso sono legate conseguenti crisi esistenziali, sta contribuendo a far decollare le nuove sperimentazioni in agricoltura E le pratiche conquistano quotidianamente nuovi territori.
Le esperienze, pur rientrando nell’atavica attitudine dell’agricoltura, caratterizzata dal legame tra azienda agricola e famiglia rurale e da pratiche di solidarietà e mutuo aiuto, tuttavia non sono riconducibili ad un modello unitario sia per quanto riguarda il tipo di organizzazione e di attività svolta, sia sul fronte dei target e delle fonti di finanziamento. Anche i settori investiti sono articolati, comprendendo ad esempio la sanità (riabilitazione e cura di soggetti con diabilità), la formazione, l’educazione l’inserimento lavorativo, la ricreazione (agriturismo sociale, orti sociali per anziani in città), l’infanzia (agri-asili), ecc. Attualmente, secondo una recente ricerca di un sindacato agricolo, sarebbero almeno 1.100 le aziende che praticano agricoltura sociale, gestite da cooperative sociali, imprese agricole, associazioni, fondazioni, ecc. Tante, ma in Francia sono quasi il doppio. Da un’indagine dell’Aiab (l’associazione dell’agricoltura biologica), per quanto un po’ datata (2010), le categorie più presenti in azienda sono la disabilità mentale (32 per cento), la disabilità fisica (19), i detenuti o gli ex detenuti (12,5). Per le attività le più diffuse sono la coltivazione o l’allevamento (38 per cento), l’ortoterapia (23), la pet therapy (7) e il florovivaismo (5). “In Inghilterra, in Irlanda e in Slovenia l’agricoltura sociale si concentra sugli aspetti terapeutici riabilitativi ed è praticata in aziende agricole istituzionali inserite nell’ambito ospedaliero – spiega Marco Boschetti, direttore del Consorzio agrituristico mantovano. “In Olanda, in Norvegia e in Belgio, l’agricoltura sociale si sviluppa prevalentemente nelle aziende agricole di piccole dimensioni”. Un fenomeno che oltre a coinvolgere migliaia di disabili, detenuti e tossicodipendenti, oggi interessa anche moltissimi rifugiati. Inoltre, il forte aumento numerico della popolazione anziana, determina l’esigenza di utilizzare questa pratica anche per l’integrazione come risposta ad una società, viceversa, a forte rischio di disgregazione.
Del resto è l’intera agricoltura a beneficiare di un forte ritorno d’interesse: le assunzioni nel settore primario, in controtendenza rispetto agli altri comparti economici, in Italia hanno fatto registrare un’ulteriore crescita del 5,6 per cento nel secondo trimestre del 2014 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, offrendo sbocchi anche a molte persone costrette ad abbandonare altri settori in crisi. Ecco perché nelle campagne si moltiplicano i progetti imprenditoriali dedicati anche a forme alternative di produzione, come nel caso del coinvolgimento dei soggetti più vulnerabili. Le prime esperienze di agricoltura sociale, di cui abbiamo già fatto accenno, possono essere individuate nell’attività che le cooperative sociali agricole sorte negli anni Settanta hanno attuato nel campo dell’inserimento lavorativo di persone con difficoltà di vario tipo. Tra queste meritano menzione “Capodarco” e “Agricoltura Nuova” a Roma.
La cooperativa “Agricoltura Capodarco” è nata nel 1978 dall’esperienza maturata nell’ambito della comunità alloggio fondata a Capodarco di Fermo nel 1968, con l’obiettivo di offrire opportunità di inserimento sociale e lavorativo a persone con disabilità. La cooperativa è nata grazie alla disponibilità di terra di proprietà di un convento di suore. Inizialmente i soci erano dodici, oggi sono oltre cinquanta. Attualmente l’azienda, su una superficie di circa 30 ettari, produce ortaggi, olio e vino, ha un allevamento avicolo e di api, un’attività di ristorazione e catering, un agriturismo, un punto vendita, svolge attività didattica con le scuole e diversi laboratori. Oltre alla vendita nel punto aziendale, commercializza nei canali della filiera corta (mercati locali, Gruppi di acquisto solidale, negozi specializzati). La cooperativa ha una fitta rete di relazioni con aziende, consorzi, Asl, Sert, istituti di pena, enti locali (Comuni, Province, Regioni), università, associazioni di volontariato, associazioni di familiari, altre cooperative sociali.
Sono in rete le fattorie sociali
La rete di fattorie sociali in Italia rappresenta un interessante spaccato del più ampio fenomeno dell’agricoltura sociale. Vi aderiscono innanzitutto aziende agricole, da Nord a Sud, come "Il buon seme" di Asti, “Lufar” di Leca d'Albenga (Savona), “Arcafelice” di Jesi (Ancona), “La Quercia della memoria” di San Ginesio (Macerata), "Il Nido dei pettirossi" di Bastia Umbra (Perugia), “Panacea” di Bomarzo (Viterbo), “Mauro Iob” di Vetralla (Viterbo), “Casale vecchio” di Roma, “Fabioland” di Nerola (Roma), “Luigi Barlafante” di Roseto degli Abruzzi (Teramo), “Francesco Ciattoni” di Pescara, “Serusi Pietro” di Fonni (Nuoro).
Poi fattorie didattiche e sociali: “Cascina Bargè”, centro diurno per disabili, di Vercelli, “Magredi” di Flambro Talmassons (Udine), "Terra & Sole" di Collecchio (Parma), "Rurabilandia" di Atri (Teramo), "Asinichevolano" di Aprutino (Pescara), "La Libellula" di Ceprano (Frosinone), “Fattoria solidale del Circeo” di Pontinia (Latina), “La Fattoria verde” di Fiumicino (Roma), Gea Irpina Onlus di Pratola Serra (Avellino), “Il Noce” di Manduria (Taranto), "La contrada di San Nicola" di Montalbano Jonico (Matera), "Sos Astores" di Fonni (Nuoro), “Maia” di Lula (Nuoro). Qualche agriturismo, come “El Corral” di Gavardo (Brescia), "L'Oca bianca" di Cave (Roma), "Gli Ulivi" di Tricase (Lecce), “Giuseppe Bernardi” di Tuglie (Lecce). Tante le associazioni di promozione sociale, come “Asini si nasce …e io lo nakkui” di Asti, “Rom Sinti@Politica” di Silvi Marina (Teramo), "L'Aurora della vita" di Civitaquana (Pescara), "Legale nel sociale" di Roma, “Mondo Cultura” di Aprilia (Latina), "TrulloSociale.Net" di San Michele Salentino (Brindisi). Poi, tutte a Roma, “Addha”, "Ciampacavallo" (sportiva), “Il Fiore del deserto", "Luce dell’arte" (teatrale), il Coordinamento nazionale operatori salute nelle carceri italiane (Conosci), “Silvicultura Agrocultura Paesaggio”. E ancora: Associazione italiana genitori di Latina, “Natura per tutti” di Ladispoli (Roma), Amici del Museo civiltà contadina Salento di Tuglie (Lecce).
Le cooperative sociali: “Consorzio Sociale Est Ticino” di Magenta (Milano), "La valle del lavoro" di Crespellano (Bologna), “Agriverde” di San Lazzaro di Savena (Bologna), “Avass” di Roma, “Consortium” di Roma, “Consorzio meglio insieme” di Roma, "Ludus" di Roma, “L'Orto magico” di Roma, “Herbora” di Putignano (Bari), "Meristema" di Catanzaro, “Arcadinoè” di Carolei (Cosenza). A chiudere: Centro cinofilo “Bau-House” di Monza, Fondazione "La Locand a del gigante" di Acerra (Napoli), “Asinomania” di Introdacqua (L’Aquila), Apicoltura Ciaccia di Celano (L’Aquila), “Nova gioia” di Velletri (Roma), L’Istituto per gli studi sui servizi sociali (Istisss) di Roma.
E’ la Toscana la regione leader
E’ la Toscana la regione che vanta non solo il maggior numero di esperienze (attualmente oltre un centinaio), ma anche una delle storie più antiche nel settore. Tra l’altro è stata anche la prima a darsi una legge specifica sul tema, nel febbraio 2009, anticipando la discussione sulla legge nazionale. Documenti del 1911, a Volterra, in provincia di Pisa, raccontano pratiche di agricoltura sociale formalizzate tra le aziende mezzadrili e l’istituzione manicomiale. Negli anni Settanta molti giovani hanno dato vita ad un’esperienza di vita e di produzione agricola nella Toscana rurale. Esemplare la storia della cooperativa agricola “Il Forteto”, nata nel 1975 a Vicchio (Firenze), su iniziativa di un gruppo di ragazzi di 19-20 anni che si riunivano nei locali di una parrocchia di Prato per discutere di tematiche sociali. Da qui l’impegno sui temi della disabilità e l’esigenza di dare un futuro al gruppo, la prospettiva di una vita in comune. Fu scelta l’agricoltura come ambiente più adatto per concretizzare l’ideale di vita insieme. La cooperativa venne scelta perché le finalità delle società di questo tipo non sono quelle di accumulare profitti bensì di offrire condizioni di vita dignitose a chi lavora. Altro esempio è quello della cooperativa “Emilio Sereni” di Borgo San Lorenzo (Firenze), nata nel 1982 dalla volontà di un gruppo di dodici ragazzi di lavorare nel mondo dell’agricoltura e che oggi dispone di una superficie totale di 465 ettari suddivisi in foraggi, campi adibiti alla semina e boschi, dove vengono allevate mucche di razza Frisona e Bruna Alpina.
Ed ancora le numerose cooperative agricole nel Mugello o la cooperativa agricola “Paterna”, presso Terranova Bracciolini, tra Firenze e Arezzo. Negli anni Novanta il terzo settore ha fatto passi da gigante nelle forme della cooperazione e dell’associazionismo, dando luogo ad esperienze significative e vitali sul tema. Nel nuovo millennio, da registrare anche il ruolo dell’Arsia, l’agenzia regionale agricola toscana, che in collaborazione con l’Università di Pisa ha letto queste esperienze sotto una nuova luce, facendo rete, formalizzando il tema, operando in soprattutto in termini di animazione e di dialogo. Dalla Toscana sono partite iniziative di ricerca in ambito comunitario, ad esempio con il progetto “SoFar”, finanziato dal VI Programma Quadro dell’Unione europea (http://sofar.unipi.it) ed attivo tra il 2006 ed il 2009, con il proficuo coinvolgimento di territori in Belgio, Francia, Germania, Irlanda, Olanda, Slovenia.
La Comune di Bagnaia
Altra storica esperienza è quella della Comune di Bagnaia, a Sovicille, a 12 chilometri da Siena, in località Ancaiano. Nata nel 1979, con l'idea di sperimentare nel quotidiano la condivisione delle risorse umane ed economiche e una vita di gruppo che preveda la comprensione, il rispetto reciproco e la collaborazione, è una delle esperienze storiche del movimento degli ecovillaggi, improntata sulla condivisone economica, sul metodo del consenso e sull’autosufficienza. Si basa, soprattutto, sul principio di equità dei diritti e dei doveri. Dal 2001 ha costituito un'associazione Onlus come riconoscimento legale della comune. Attualmente il gruppo è composto da una quindicina di persone di età diverse, che si riuniscono ogni settimana e prendono le decisioni con il metodo del consenso. Ogni partecipante sceglie il proprio lavoro, che può essere collocato sia all'interno (artigianale o agricolo) sia all’esterno, a seconda dei propri desideri e delle proprie competenze. Il gruppo è impegnato in attività di vario tipo: sociali, politiche, ambientali, pacifiste. E promuove iniziative artistiche e culturali aperte agli amici e ai vicini. L’azienda agricola comprende 50 ettari di bosco ceduo, da cui si ricava legna da ardere e 30 ettari di coltivato a olivi, vigneto, cereali, orto e foraggi. Si allevano mucche da latte e vitelli, maiali, animali da cortile e api. Produce: olio, vino, carne bovina, foraggio, cereali, formaggi, miele. Per l'autosufficienza: ortaggi e conserve.
Molti prodotti vengono direttamente consumati dalla comune, i restanti vengono venduti a vicini e amici. Ospita persone interessate alla vita comunitaria o all'agricoltura biologica, in cambio di aiuto nei lavori. Riconoscendo come la nostra epoca sia sempre più identificabile quale il periodo del consumismo e dell'uso irrazionale delle risorse, la Comune di Bagnaia si organizza secondo una linea di sviluppo antagonista a questa tendenza, affermando che l'organizzazione collettiva permette una migliore e più razionale utilizzazione delle risorse. Vengono quindi praticate forme di agricoltura che si integrino il più possibile con l'ambiente. L'attività agricola viene diversificata per tendere sempre più all'autosufficienza e viene evitato l'acquisto di beni ritenuti superflui o di lusso. Restituendo all'agricoltura il suo vero valore come attività primaria dell'uomo, la Comune di Bagnaia si impegna a tutelarla, a sostenerla e a svilupparla. Tra gli accorgimenti ecologici: pannelli solari per l'acqua calda, riscaldamento solo a legna, raccolta delle acque dei tetti per l'irrigazione degli orti, pannelli fotovoltaici che pompano da un pozzo sorgivo e portano l'acqua alla comune per l’irrigazione, per abbeverare gli animali e lavare i piatti.
“Colombini” di Crespina
Altra nota esperienza è quella dell’azienda agricola biologica Colombini di Crespina (Pisa), nata nei primi anni del Novecento e convertita al biologico grazie alle ultime generazioni. Ha 18 ettari di terreni. Nel 2001, grazie al sostegno della Conferenza dei sindaci della Valdera, è stata capofila del progetto “Il giardino dei semplici” per favorire riabilitazione e inserimento lavorativo a persone con condizioni di disagio. Dall’esperienza ha preso avvio il Patto territoriale per la salute tra istituzioni amministrative e socio sanitarie e imprenditoria agricola locale, che ha portato – tra l’altro – a tirocini formativi e a due assunzioni a tempo indeterminato di soggetti con svantaggio psichico. Tale interazione pubblico-privata ha ricevuto riconoscimento nazionale con il premio “Impresa etica” assegnato all’azienda agricola Colombini, testimone del lavoro avviato sul territorio da una pluralità di soggetti pubblici, del privato sociale e di impresa. Altri importanti riconoscimenti ha ottenuto l’azienda Colombini per il progetto “Orti etici” nel 2011, grazie alla collaborazione con Università di Pisa e la cooperativa sociale “Ponte Verde”.
“Amiata responsabile”
Un altro significativo progetto toscano di agricoltura sociale è “Amiata responsabile”, partito nel 2009 su alcuni comuni del Monte Amiata e che oggi sta interessando una buona parte del territorio della Provincia di Grosseto. Il progetto si sviluppa secondo le linee della legge regionale 26 febbraio 2010 n. 24 “Disposizioni in materia di agricoltura sociale”. Le aziende fondatrici appartengono tutte alla Strada del vino Montecucco e dei sapori d’Amiata ed alcune all’Associazione per la valorizzazione della castagna del Monte Amiata, al Consorzio di tutela dell’olio extravergine di oliva Seggiano Dop e a Genomamiata. La realtà promuove, sviluppa e realizza progetti di agricoltura sociale per la riabilitazione e la cura, la formazione, l’inserimento lavorativo e l’inclusione sociale, la ricreazione, la qualità della vita e l’educazione. Tra i diversi sottoprogetti pubblico-privati: lo spaccio di prodotti a Paganico (“Bottega responsabile”); il “Condominio sociale” e il Museo della Terra e dell’Olivastra a Seggiano; i Centri agro-sociali a Montenero d’Orcia e Sasso d’Ombrone; il laboratorio educativo-didattico-sociale a Roccastrada.
“Fata Miele” a Pietrasanta
Ennesimo spazio significativo, che ha preso vita nel 2009 (diventato impresa agricola didattica e sociale nel dicembre 2011) è “Fata Miele”, con sede in via Marella 39 a Pietrasanta (Lucca). Il progetto investe numerosi campi, dai percorsi terapeutici a quelli motori e ludici (funi volanti, tunnel, altalene), dai servizi educativi e assistenziali a quelli formativi e occupazionali, che includono incursioni nel cinema, dell’animazione, nella pittura. L’impresa agricola, tramite convenzione con l’Usl 12 Viareggio, inserisce ragazzi disabili. Inoltre dal 2012 collabora attivamente con l’archivio “Marta Gierut”, artista prematuramente scomparsa, con la realizzazione nel campo “Il sentiero delle farfalle” di un percorso con ingrandimenti su pannelli permanenti delle opere dell’artista e un orto con fiori profumati dedicato alle farfalle (percorso estetico-terapeutico); Nel 2013 il centro è diventato anche associazione dilettantistica sportiva “Il campo dorato”, affilata all’Acsi.
Ancora Toscana
Ad una settantina di chilometri da Pietrasanta, in località Pian di Roglio di Capannoli (Pisa) a luglio 2014 è stato inaugurato lo spaccio locale “Via dell'Orto”, realizzato con i contributi regionali della filiera corta e dell'agricoltura sociale. Grazie al progetto di agricoltura sociale una persona svantaggiata ha l’opportunità di lavorare nello spaccio. In provincia di Arezzo opera la cooperativa "Fior di carota", che tramite gli “orti aperti” costituisce un centro di accoglienza per persone svantaggiate coinvolte in attività formativa e lavorativa in ambito agricolo e vivaistico. Negli orti lavorano i tutor-educatori di alcune cooperative sociali, di volontari e utenti dei dipartimenti Salute Mentale e Dipendenze dell’Usl 8 di Arezzo. Utilizzando una coltura esclusivamente naturale, è stato dissodato circa un ettaro di terreno destinato alla preparazione di 46 orti in affitto. “Animal House”, che gestisce uno spazio di proprietà del Comune di Prato, è un’associazione di promozione sociale che si occupa, con persone provenienti dal disagio psichico, di agricoltura sociale a chilometro zero, apicoltura e di un pensionato per cani e gatti. A Castelnuovo Berardenga, a 15 chilometri da Siena, nella cantina del raffinato relais “Borgo San Felice”, s’è imbottigliato un vino alla cui vendemmia hanno preso parte 24 giovani disabili di 12 onlus, distribuite in tutta Italia, che assistono giovani affetti da sindrome di Down e portatori di disabilità psichiche. I ragazzi hanno selezionato i grappoli insieme ad esperti agronomi, hanno mangiato con i contadini, hanno imparato a curare la vite. Un’esperienza che segue l’Orto solidale di Borgo San Felice, dove lavorano stabilmente quattro ragazzi, Andrea, Antonio, Manol e Piergiorgio, guidati da un’assistente sociale e consigliati dagli anziani del paese, che ogni settimana trascorrono qualche ora con i quattro giovani per insegnare loro i segreti del lavoro in campagna. La maggior parte di queste esperienze, come abbiamo visto, coinvolgono soggetti pubblici (Regione, Province, Comuni, Società della salute, Università) insieme al privato sociale (associazioni, cooperative sociali) e a quello di impresa (aziende agricole e cooperative agricole). C’è quindi anche un tessuto di relazioni sociali che fa bene alla quotidianità e all’ambiente civico: soggetti che interagiscono e operano attivamente nella stessa direzione per definire soluzioni innovative e coerenti con i bisogni e le domande di cambiamento in essere. Tali caratteristiche hanno contribuito, in Toscana e altrove, ad ispessire, nel tempo, una rete di relazioni e di conoscenze avanzate in campo nazionale e comunitario. Reti che hanno saputo declinare il tema dell’agricoltura sociale in modo originale, uscendo da una logica assistenziale e gettando le basi, attraverso percorsi di innovazione sociale, per un più intenso collegamento tra le reti formali dei servizi e quelle informali, delle imprese responsabili.
Le esperienze del Settentrione
In Piemonte, dove operano una quarantina di realtà nell’agricoltura sociale, una delle istituzioni più antiche e significative è quella della Cooperativa agricola “Valli unite” di Costa Vescovato, in provincia di Alessandria. Nata alla fine degli anni Settanta grazie alla volontà di tre giovani di origini contadine che hanno puntato sull’agricoltura per costruire un’economia diversa fatta di solidarietà e lavoro, oggi vi lavorano 25 persone nei diversi settori: produzione di vino (10 etichette, più lo sfuso), produzione di fieno e di cereali per l’alimentazione umana e per l’allevamento di suini da salume e di bovini da carne e da latte, vendita diretta dei prodotti dell’azienda e altri prodotti biologici o del commercio equo e solidale, ristorazione e alloggio nella struttura agrituristica.
Nello spaccio aziendale, si possono acquistare i prodotti, insieme ad altri articoli di produzione esterna, sempre biologici o del commercio equo e solidale. Il ristorante/agriturismo propone i piatti classici della cucina piemontese, accompagnati dai vini di produzione propria. Nei monolocali ci si può riposare in mezzo alla natura, a contatto diretto con la cooperativa. “Questa cooperativa è nata ricercando un modo nuovo per continuare ad essere contadini alla maniera antica – spiegano i responsabile. “Nacque in un periodo in cui sempre più gente andava a vivere in città e a lavorare in fabbrica. Noi, in quel periodo, c’impegnammo invece a mettere insieme le vigne e a costruire una stalla per avere il concime organico per ingrassare i campi e le vigne. Tutto come una volta, ma con sempre più convinzione che il biologico è una base di partenza per una ricerca che si chiama decrescita e riduzione dell'impatto sulla natura. Oggi i tempi ci stanno dando ragione”. Altra esperienza significativa piemontese è quella di “Cascina Praie”, struttura ricavata da una storico fabbricato agricolo di Salerano Canadese (Torino), vicino a Ivrea, dove a partire dalla metà degli anni Ottanta si svolgono attività sociali. Nel corso degli anni, l’azienda ha ospitato persone con svantaggi di tipo fisico e sociale e sono state sviluppate diverse opportunità lavorative per includere occupazione a persone che il mercato del lavoro tende ad escludere. Da maggio 2008 la “Cascina Praie” è stata acquistata dal Consorzio Copernico di cooperative sociali di Ivrea, che ha avviato un’attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, oltre che di ristorazione. In breve tempo il Consorzio è diventato un punto di riferimento per molti produttori agricoli della zona, che hanno trovato un’opportunità per conferire a condizioni più favorevoli la materia prima.
A Precetto, in provincia di Torino, opera la cooperativa agricola multifuzionale “AgricooPecetto”, da anni impegnata in percorsi di agricoltura sociale. Associa venti aziende agricole, produce frutta e ortaggi biologici, fa vendita all’ingrosso e tramite Gas (gruppi di acquisto solidale), organizza agri-eventi in fattoria didattica, compresi centri estivi e propone ristorazione e caterina. Oltre all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, le realtà di agricoltura sociale in Piemonte sono orientate anche all’offerta di servizi per altri soggetti, come è il caso della “Piemontesina” di Chiasso (Torino), che ha aperto nella propria azienda agricola il primo agrinido d’Italia, avviando anche un processo di cambiamento per l’intera azienda familiare che ha portato alla scelta di allevare asini sia per la qualità del loro latte, sia per la loro capacità di contribuire alla terapia di soggetti con particolari patologie (onoterapia). Sempre in Piemonte, un’esperienza di educazione alla legalità è offerta da “Cascina Caccia” di San Sebastiano da Po, in provincia di Torino, gestita da Bruno e Carla Caccia. Il casolare di mille metri quadrati, circondato da un ettaro di terra, è stato per lungo tempo un immobile della ‘ndrangheta, fino al 12 luglio 2008, quando ufficialmente si sono insediati i nuovi quattro residenti: con la collaborazione di Acmos e Libera, l’avventura ha avuto inizio.
Ora nella cascina si producono quintali di miele a marchio “Libera Terra” ed è stato piantumato un noccioleto dedicato alla memoria di Vito Scafidi, giovane studente deceduto il 22 novembre 2008 nel crollo del soffitto del liceo Darwin di Rivoli. Si coltivano inoltre ortaggi ed erbe aromatiche, si allevano galline, pecore, anatre ed è in progetto la costruzione di ricoveri per ospitare altri animali quali oche, asini, conigli e maiali. E’ prevista la realizzazione di un orto didattico che verrà messo a disposizione di scuole, servizi per disabili e per tutti i gruppi interessati, per costruire percorsi educativi di valorizzazione della campagna e della produzione agricola. Vincitore dell’ultimo premio “Agricoltura civica award” dell’Aicare, l’azienda agricola “Bussolino Gilberto” di Leinì, in provincia di Torino, “nata come un’utopia”, come sottolinea il titolare che ha lasciato il posto fisso per l’agricoltura multifunzionale, ha sviluppato un originale progetto di fattoria didattica che coinvolge anche case famiglia con l’obiettivo di fornire un servizio di conciliazione lavoro-famiglia sul territorio. Assoluta novità è l'Agriaccademia dei Piccoli, una “scuola materna” a tutti gli effetti, aperta tutto l’anno, con attività didattiche continuative, corsi e laboratori.
In Liguria, dove di recente è nato il Forum dell'agricoltura sociale (portavoce Sara Montoli), la legge regionale è di fine 2013, quindi la realtà è ancora in fase embrionale. Di recente sono stati organizzati viaggi conoscitivi in Toscana. In Lombardia operano un’ottantina di realtà tra aziende agricole e cooperative sociali. Una delle più antiche è l’azienda agricola individuale “Andi Fausto” di Montù Beccarla (Pavia), nata alla fine dell’Ottocento e specializzata nella produzione di vino e nella trasformazione della frutta in confettura e succhi di agricoltura biologica. Nel 2004 ha ampliato le sue attività con l’agriturismo d’accoglienza e nel 2005-2006 con il laboratorio “Fuori dalla mischia”, gestito dalla moglie del titolare, che accoglie otto persone diversamente abili e trasforma i prodotti dell'azienda e di altre aziende a conduzione biologica. Nel 2006 è diventata fattoria didattica accreditata. L’azienda attualmente conta undici addetti e sviluppa l’attività agricola su 19 ettari di terreno. Il Centro polivalente “Bigattera”, azienda speciale della Provincia di Mantova, dal 1986 organizza il supporto formativo e l’avviamento al lavoro di soggetti con disabilità e svantaggio, includendo anche l’agricoltura sociale. A Crema, in provincia di Cremona, si segnala il Centro riabilitazione equestre, specializzato in ippoterapia.
A Voghera, in provincia di Pavia, Moreno Baggini, vice direttore della Caritas di Tortona, ha lanciato il progetto “Agricoltura Sociale Voghera” per coniugare l’esperienza di progettazione ed attuazione di percorsi riabilitativi e di integrazione lavorativa realizzati attraverso l’attività agricola. Altra regione dove l’agricoltura sociale è particolarmente sviluppata è il Trentino-Alto Adige. Tra le esperienze più note: l’agrinido “Il cavallo a dondolo” proprio al centro di Mezzocorona (Trento), inserito nell’azienda agricola di famiglia; l’azienda “Maso Spezial” di Villa Lagarina (Trento), nata nel 2010 con il passaggio all’agricoltura sociale da parte del signor Bruno Coveli, che prima svolgeva attività agricola tradizionale; “La Fonte di Folgaria (Trento), nata nel 1989 e convertita all’agricoltura sociale nel 1999, soprattutto attraverso visite scolastiche e colonie estive. Originale la storia della fattoria sociale “Aneghe Taneghe” di San Michele all’Adige (Trento): il figlio della titolare veniva preso in giro a scuola per l’odore di letame, da qui è nata l’idea di avvicinare le nuove generazioni all’ambiente agricolo e zootecnico, in maniera divertente ed allo stesso tempo formativa.
In Veneto, dove operano una trentina di realtà e la legge regionale è del 2013, le due maggiori associazioni – Associazione biofattorie sociali e Forum dell’agricoltura sociale Vicenza – hanno unito le loro forze. Il 27 marzo 2013 è nato ufficialmente il Forum regionale dell’agricoltura sociale Veneto, strumento di scambio di buone pratiche e interlocutore politico per la Regione Veneto. Tra le cooperative sociali agricole più rinomate spicca la “Campoverde” di Castelfranco (Treviso), nata nel 1995, quando il Comune di Castelfranco assegnò alla cooperativa sociale “L’Incontro” una superficie di circa quindici ettari per avviare il laboratorio agricolo “Campoverde” che, con l’assistenza dell’Ulss locale, ha favorito il recupero e l’inclusione sociale di soggetti svantaggiati mediante il lavoro agricolo. Da allora il progetto è cresciuto: dai primi sei soggetti inseriti, oggi sono quattordici; dai quindici ettari originari si è arrivati ad una cinquantina. Dal 2007 è operativo un punto vendita “Campoverde” in centro a Castelfranco. La filosofia che anima la cooperativa è che la risposta al disagio sociale, in ogni sua forma, sia la costruzione di un modello sociale nel quale il lavoro è il valore che può riscattare le persone dalla loro condizione di marginalità e creare un senso di comunità, costruendo una società nella quale la solidarietà sia il risultato di un percorso di conoscenza e apprendimento reciproco tra le persone, e non una semplice forma di assistenzialismo. Spiegano i responsabili: “La scelta di praticare l’agricoltura biologica è un altro modo per affermare l’attenzione della cooperativa alla qualità e al rispetto del territorio e delle persone che lo abitano, offrendo loro dei prodotti buoni e sani coltivati seguendo ritmi produttivi che rispettano la natura e i suoi cicli stagionali, promuovendo così un consumo consapevole anche mediante la scelta di vendita diretta dei propri prodotti nei nostri punti vendita e di collaborare con i gruppi d’acquisto solidale”.
A Bassano del Grappa (Vicenza), la fattoria sociale “Conca d’oro” onlus offre anche una comunità alloggio che può ospitare stabilmente otto persone disabili adulte. Tra i progetti più originali, il “Pane logistico” di Mira (Venezia), frutto della cooperazione tra aziende agricole, cooperazione sociale, molini e panificatori per ritrovare un pane della tradizione e un senso di comunità. Altra regione particolarmente attiva in ambito di agricoltura sociale è l’Emilia-Romagna. Anche qui è presente da anni una legge regionale: con la n. 4 del 31 marzo 2009 "Disciplina dell'agriturismo e della multifunzionalità delle aziende agricole" e con le relative norme di attuazione per le attività agrituristiche (approvate con la Delibera di Giunta n. 1693 del 2 novembre 2009), sono state introdotte le attività sociali tra quelle che possono essere svolte nell'ambito dell'agriturismo. Nel triennio 2007-2010, secondo i dati dell’Aiab, l’associazione di agricoltura biologica, l'incidenza nel settore agricolo, privato e cooperativo, delle realtà che praticano l’agricoltura sociale è passata in questa regione dal 24,3 a circa il 33 per cento del totale. Nelle fattorie sociali emiliane si fanno orticoltura, allevamento di animali, trasformazione dei prodotti, cura del verde e altre attività come pratiche formative per l’acquisizione di conoscenze professionali. Diverse fattorie praticano anche l'agricoltura biologica e sono perciò dette “Biofattorie sociali”. In Emilia-Romagna ne esistono almeno una trentina, presenti in tutte le province. In Emilia-Romagna opera anche il 10 per cento nazionale delle fattorie disposte ad ospitare i "contadini stagionali", che si mettono al servizio dei campi delle aziende biologiche gratuitamente in cambio di vitto e alloggio. Si tratta così di periodi di vacanza a contatto con la natura e con un mestiere diverso da quello che si svolge per tutto l'anno. La maggior parte si trova nelle province di Bologna e di Modena. Da registrare, come curiosità, lo spettacolo teatrale "Mafie in pentola", finanziato da Coop Adriatica e sostenuto da Libera, messo in scena la prima volta nell’ottobre 2010 dall’attrice Tiziana Di Masi, emiliana di origine salernitana. In scena l'esperienza maturata insieme al collega Andrea Guolo sui terreni confiscati alle mafie. Il lavoro ha ottenuto il premio “Cultura contro le mafie” 2014 per la capacità di mescolare cibo e lotta alle mafie, teatro gastronomico e impegno per il recupero della memoria storica. Storie di vino, olio, taralli, friselle, peperoncini, melanzane, legumi, pasta, mozzarelle di bufala, torrone, miele, marmellate, limoncello, si intrecciano in un crescendo di gusto e di emozione con le parole di chi quei prodotti li ha seminati, coltivati e portati nelle nostre tavole, un intreccio gustoso ed esilarante, che riempie di sapore coscienze e stomaci. Gli stessi spettatori possono degustare i prodotti e, volendo, acquistare alla fine della rappresentazione.
Le esperienze del Centro Italia
Nelle Marche, dove è presente il Forum nazionale agricoltura sociale e la legge di riferimento è la numero 21 del 14 novembre 2011 in materia di multifunzionalità, operano sei “agrinido di qualità”, metà in provincia di Macerata. Tra le esperienze più interessanti, “Domotica e longevità attiva” del 2012 per l’assistenza e l’accoglienza di anziani in ambito rurale e “Ortoincontro” del 2014 con l’orto sociale in carcere. Da segnalare anche l’attività dell’Emporio “Ae” (www.emporioae.com), il mercato dell’altra economia. La cooperativa “Gerico” è diventata punto di riferimento per circa quaranta aziende della provincia e della regione che hanno condiviso un percorso di studio di criteri etici e solidali per impiantare un punto vendita, appunto l’Emporio “Ae”, dove si propone tutto ciò che è eco-sostenibile e nel pieno rispetto dell’uomo. L’organismo di avvale della collaborazione della Rees Marche, Rete economica etica solidale, che agevola il dialogo tra soggetti economici ed associativi per cercare di creare un nuovo modo di “fare mercato”. Ogni azienda, come in una sorta di filiera corta permanente, ha uno spazio interamente dedicato ai propri prodotti biologici, dove il rapporto diretto con il consumatore spinge la più assoluta serietà e le più alte motivazioni per seguire criteri che si sono stabiliti con democrazia e piena partecipazione di tutti i soggetti che hanno scelto di camminare insieme in questa avventura.
Accanto alla parte alimentare e ad un rilevante settore non alimentare, comprendente abbigliamento e calzature, prodotti per l’infanzia e per l’igiene personale, detersivi ed altro ancora, l’Emporio “Ae” promuove e sostiene, anche con azioni di vending, i prodotti del commercio equo e solidale. La cooperativa “Gerico”, promotrice di tutto ciò, inserisce nel mondo del lavoro persone con disabilità psichica, per cui ha assunto in organico cinque persone di Fano con la legge 381, ha convenzioni con il Comune di Fano e Comuni vicini per nove utenti Borse Lavoro. “Gerico” da dicembre 2012 ha aperto anche una posizione come cooperativa agricola, prendendo in affitto del terreno sia sul territorio di Cagli, sia su Fano e a Fano ha iniziato la coltivazione di ortaggi biologici. “Gerico” ritiene che il ritorno all’agricoltura possa essere una risposta, anche se piccola e parziale, alla crisi di sistema che coinvolge ormai da anni, per cui mettendo in rete diverse realtà cerca di aumentare la produzione di ortaggi biologici e quindi l’offerta per negozi, ristoranti e mense, nonché di favorire l’ingresso al mondo del lavoro di persone svantaggiate e avviare percorsi di inclusione sociale attraverso la terra. In Umbria, dove la legge sull’agricoltura sociale è stata approvata nel 2014, si segnalano l’associazione di promozione sociale “Punto Verde” di Monte Santa Maria Tiberina (Perugia), sulle colline di Città di Castello, che mira a recuperare l’abilità e le competenze agricole proprie della tradizione storica del territorio. Opera anche grazie all’Istituto per il sostentamento al clero che ha offerto la possibilità di affittare la struttura. Offre servizi formativi per soggetti socialmente svantaggiati (ex tossicodipendenti, ex alcoolisti, ex detenuti etc…), o per chi ha perso il posto di lavoro. Le persone coinvolte imparano a coltivare la terra nel pieno rispetto dei cicli naturali, a prendersi cura di piante ed animali e a diventare apicoltori. La vendita dei prodotti avviene prevalentemente tramite Gruppi d’acquisto solidale a chilometro zero.
Altra interessante esperienza è “Rete Umbria Terra Sociale”, laboratorio pubblico di progettazione partecipata costituito da associazioni come Commercio Equo, Legambiente, Movimento Genuino Clandestino, Slow Food e, gruppi di acquisto solidale e biologici. In Abruzzo, dove la legge regionale sull’agricoltura sociale è la numero 18 del 6 luglio 2011, si segnala in particolare “Rurabilandia” di Atri (Teramo), fattoria didattica e sociale inserita nell’ambito dell’azienda agraria di cui è titolare un ente pubblico, la Fondazione Ricciconti, ex orfanotrofio femminile, che attualmente eroga servizi in favore dei minori e dei giovani disabili. I portatori di handicap partecipano ai laboratori in agricoltura, collaborano con gli operatori, interagiscono con gli ospiti e affrontano un percorso di formazione e di inserimento lavorativo in agricoltura. Oltre ai percorsi didattici, educativi e ludici per bambini e ragazzi, “Rurabilandia” è un punto di ristoro agrituristico, un punto di vendita diretta dei prodotti aziendali.
Sempre in provincia di Teramo, a Martinsicuro, opera il parco sociale “La Pineta”, promosso da tre soci fondatori professionisti nel campo della psicoterapia e dell’agronomia. I tre sono stati i vincitori – tra 300 partecipanti – di un bando regionale per l’imprenditoria femminile con un finanziamento a fondo perduto che ha agevolato la messa in opera delle strutture necessarie a realizzare quello che oggi è il primo parco sociale dell’Abruzzo, con un bosco di due ettari (pini, salici, pioppi, lauri e piante tipiche della macchia mediterranea) e un torrente. Qui si svolgono attività educative e terapeutiche per la comunità, in particolare per l’infanzia, e si studiano i benefici della natura sui disagi giovanili, offrendo formazione per l’inserimento lavorativo nell’ambito agricolo. Per i più piccoli è stato creato un parco giochi con una teleferica e con attrezzature specifiche per sviluppare l’equilibrio.
Nel Lazio, dove la legge regionale è del 2012, oltre alle già citate “Capodarco” e “Agricoltura nuova”, tra le esperienze più importanti c’è il Casale di Martignano, operante dal 1956, di proprietà della famiglia Ferrazza. Si tratta di una fattoria sociale di 140 ettari, sulle rive dell’omonimo lago ad una trentina di chilometri da Roma, dove lavorano profughi africani e ragazzi senza scolarizzazione. I numeri: 600 pecore, 200 quintali di latte, 150 quintali di carne, giro d’affari di circa 700 mila euro. Nel caseificio preparano lo yogurt “Barikamà”, che significa “Resistente”. “Non mi interessa pubblicizzare il prodotto ‘sociale’, ma solo quello biologico e artigianale — dichiara il titolare — voglio che i clienti diretti e quelli degli oltre 30 gruppi di acquisto che riforniamo settimanalmente siano soddisfatti solo della qualità. Un beneficio diretto economico non c’è, perché per l’agricoltura sociale non esiste alcun sussidio, ma da quando ci sono questi ragazzi il rischio di standardizzazione del prodotto si è azzerato perché la trasmissione dei saperi e la cura del benessere delle persone che lavorano ha reso il processo artigianale molto più accurato. Con un conseguente guadagno pure economico”. Altra meritoria esperienza è quella della cooperativa agricola “Coraggio”, con sede a Roma nel quartiere Pigneto. La struttura nasce dall’incontro di giovani specializzati nel settore agroalimentare (agronomi e forestali, architetti, braccianti agricoli, giardinieri, cuochi, operatori sociali, manovali specializzati) e si batte per l’affermazione dell’agricoltura urbana multifunzionale come vera e propria “nuova infrastruttura urbana” in grado di migliorare la qualità della vita.
Gli spazi vengono finalizzati ad attività formative di vario genere, in specie agricole e con attenzione all’infanzia (fattorie educative, laboratori, agri-nido), alla ristorazione di qualità, alla vendita diretta con trasparenza tra produttore e acquirente, ad orti urbani di dimensione domestica, ad attrezzature per gli sport all’aria aperta (tree-climbing, parchi avventura), alla ciclopedonalità con la possibilità di godere concretamente del verde pubblico, all’organizzazione di gruppi d’acquisto, alla possibilità lavorativa dell’agricoltura. Un’iniziativa che nasce anche a difesa di Roma città agricola più grande d’Europa, con un patrimonio di aree verdi di grande valore paesaggistico, economico ed ambientale, anche grazie alla permanenza delle pratiche agricole tradizionali. Non sempre, però, le buone intenzioni trovano facile attuazione. Particolarmente complessa, ad esempio, la vicenda dell’associazione “La terra dei sogni” di Roma, assegnataria – da parte del Municipio – del casale di Fonte Laurentina e di 3,5 ettari di terreno per farne una fattoria sociale destinata a persone disabili, progetto però bloccatosi per problemi burocratici. Le Tenute di Castel di Guido e del Cavaliere, rispettivamente sull’Aurelia e sulla Tiburtina a pochi chilometri dal centro di Roma, sono aziende agricole a conduzione diretta del Comune di Roma. Sono beni immobili funzionalmente destinati ad attività rilevanti ai fini di pubblica utilità. Le due aziende svolgono attività agro-silvo pastorali e di trasformazioni tipiche dell’Agro Romano. Qui si svolgono programmi d’inclusione sociale, come nell’ambito dell’iniziativa “Fattorie migranti” che ha coinvolto gruppi di ex detenuti e rifugiati politici in lavoro dell’agricoltura e della ristorazione. Sono numerose le aziende laziali impegnate nella multifunzionalità. Tra quelle storiche segnaliamo “Colle dell'Arci” in Sabina (a Fara), attivata nel 1925 da Giovanni Silvestri e frutto del frazionamento dei latifondi della famiglia Torlonia. Specializzata nel settore olivicolo, è fattoria sociale e didattica, nonché agriturismo.
Il mondo laziale dell’agricoltura sociale è però seriamente preoccupato per l'intenzione di procedere alla dismissione delle terre agricole di proprietà della Regione Lazio espressa nella delibera di Giunta 147 del 20 marzo 2014 che ha prodotto la proposta di legge 147 che all'articolo 20 recita: “…sono individuati, nell'ambito dei beni immobili… l'elenco dei terreni agricoli o a vocazione agricola idonei alla dismissione o locazione…”. Numerose realtà dell’agricoltura sociale – sono i casi di Equorete e del Coordinamento Romano Accesso alla Terra – stanno esprimendo netta contrarietà su tale orientamento in quanto, come recita un loro comunicato, “le terre agricole pubbliche, che sono di fondamentale importanza per garantire il diritto all'alimentazione delle generazioni future, devono rimanere tali innanzitutto per essere sottratte al land grabbing, fenomeno di portata mondiale di accaparramento di terre agricole, per consentire produzioni all'insegna della biodiversità e accesso alla terra agli agricoltori, per preparare risposte adeguate al cambiamento climatico”.
Le esperienze del Mezzogiorno
In Molise spiccano le esperienze lungo la costa, come quelle dell’associazione Faced (Famiglie contro l'emarginazione e la droga) e della comunità “Il Noce” a Termoli (Campobasso), che ha accolto oltre 180 giovani e che gestisce anche una cooperativa per coltivazioni agricole con sistema biologico e commercializzazione del prodotto, entrambe nate dal cammino ultraventennale della comunità terapeutica “Soggiorno Proposta”. Un nome noto a livello nazionale è quello dell’ente Di Vaira di Petacciato (Campobasso), sempre lungo la costa molisana. La Fattoria Di Vaira, con una storia ultrasecolare (gestita per mezzo secolo anche da una fondazione presieduta per statuto dal vescovo di Termoli con la missione di formare ed educare i giovani alla professione agricola), dal 2007 come Opera società agricola biodinamica Di Vaira è gestita da un pool di realtà tra cui il gruppo Ecor NaturaSì, Banca Popolare Etica e l’azienda agricola molisana Valter Desiderio. L’azienda è costituita da 500 ettari tra vigneti, un oliveto e coltivazioni miste, ha una stalla di vacche da latte e una di capre. Sempre in Molise si segnala il progetto “Ruract” (Rivalutando le aree rurali in Europa mediante attività di agricoltura sociale), un percorso strategico di sviluppo rurale finanziato dal programma “Europa per i cittadini” – Azione 1 “Cittadini attivi per l’Europa” – Misura 1.2 “Reti di città gemellate”. Si tratta di un’iniziativa per promuovere una rete europea di città che collaborano tra di loro per attuare strategie finalizzate a valorizzare le aree rurali. Solidarietà, sostenibilità, inclusione sociale e diversificazione del reddito d’impresa sono le linee guida attraverso cui l’agricoltura sociale lancia un nuovo modello virtuoso di sviluppo per potenziare i servizi alla persona e valorizzare il territorio.
Oltre a Campobasso, dove si sono svolti gli eventi d’apertura e di chiusura dell’iniziativa, fanno parte di “Ruract” il Comune di Konispol e il Distretto di Scutari (Albania), l’Associazione dei Comuni del Danubio (Bulgaria), la Contea di Dubrovnik e l’Associazione dei Comuni (Croazia), Mogila (Macedonia), Agia (Grecia), Potenza (Italia), Canjiza (Serbia), il Ministero per l’Istruzione dell’Extremadura, la Fondazione Tarragona 2017, la Provincia di Saragozza e il Distretto della Comunità di Calatayud (Spagna). In Campania, non potrebbe essere altrimenti, troviamo iniziative molto originali. L’azienda agricola “Fuori di zucca” nasce dall’iniziativa congiunta delle cooperative “Un fiore per la vita” e “Il Millepiedi”, che hanno realizzato la fattoria nell’ex manicomio di Aversa, un’area agricola di quattro ettari dove sono collocate le strutture una volta adibite alla cura di pazienti psichici. Molte le produzioni tipiche (Pomodorini del piennolo, San Marzano, Melanzana napoletana, Zucchino San Pasquale, Zucca napoletana, Fagiolo di Villaricca, Piselli Cornetti) e un agriturismo. I servizi che vengono offerti dall’azienda includono la didattica, l’agriturismo, il sociale, con il reinserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Per ogni persona viene progettato un percorso di educazione al lavoro e di reinserimento lavorativo, sostenendone la crescita del grado di occupabilità e favorendo il superamento dello stato di marginalità lavorativa attraverso tirocini formativi e/o lavorativi, borse lavoro e altri strumenti previsti dalle norme. Proprio presso la fattoria “Fuori di Zucca” è nato il Forum dell’Agricoltura Sociale Nazionale Campania.
La commercializzazione dei prodotti avviene nei punti vendita aziendali delle sedi della rete, presso clienti privati ed attraverso l’iniziativa “Facciamo un pacco alla camorra”, che s’è svolta a Natale 2013. Tale azione culturale legata al tema dei beni confiscati, beni comuni ed economia sociale, ha permesso di accedere a canali commerciali molto ampi, rispetto ai tradizionali, permettendo la vendita in tutta Italia e anche all’estero, arrivando a vendere prodotti fino in Canada. Tutti i prodotti sono a marchio “Nuovo commercio organizzato” ed a settembre 2012 è nato il consorzio “Nuova cooperazione organizzata”, fondato da quattro cooperative sociali, “Agropoli”, “Al di là dei sogni”, “Eureka” e “Un fiore per la vita”. Altra esperienza campana è “Ortigami”, progetto di orto sociale creato dal gruppo “Friarielli Ribelli” ad Agnano (Napoli). Il gruppo è nato come guerrilla gardening che, attraverso azioni di pulizia e di giardinaggio delle piazze e aiuole partenopee, ha coinvolto numerosi cittadini con l’obiettivo di risvegliare il senso di appartenenza e di amore per la propria terra. Grazie alla rete creatasi è nato Ortigami, formato da una trentina di ortisti che coinvolgono anche disabili L’orto apre le porte a tutti di domenica promuovendo incontri sull’agricoltura, sul compostaggio e su ciclo e riciclo dei rifiuti. Altro importante esempio di inclusione occupazionale e sociale di persone con disabilità e mentale e di sostegno alle loro famiglie è “Capovolti” a Battipaglia (Salerno). L’iniziativa è sostenuta dalla Fondazione “Con il sud” e da una rete di partner attivi protagonisti del terzo settore locale, tra cui le associazioni “Mai più soli”, “Giovamente”, “Macroverso”, “La vita dentro”, “Frida”, “Prs”. Sono coinvolte a vario titolo anche la Confcooperative, la Fondazione della Comunità Salernitana, la Asl di Salerno e il Comune di Montecorvino Pugliano. Il progetto è attivo da settembre 2013 ed è già presente sul territorio con azioni di promozione del benessere, dell’inclusione di persone con disabilità mentale, con momenti formativi ed educativi rivolti alla comunità ed ai professionisti dell’area dell’educazione e del benessere psicologico. L’agricoltura sociale include dieci ettari di terreno, 1.500 piante di ulivo, piante da frutta, orto. Coltivazione nel rispetto della natura e degli uomini. Prodotti sani freschi e trasformati, a chilometro zero.
E’ strutturata anche la fattoria didattica, con laboratori educativi per i giovani e laboratori culinari per gli adulti, nonché campi estivi, interventi nelle scuole, attività di ricerca scientifica, ippoterapia, onoterapia, attività sportive, riabilitative e di promozione e sensibilizzazione della cultura delle uguaglianze e del contrasto allo stigma. In Puglia, a Santeramo in Colle (Bari), opera da oltre quattro secoli un’azienda gestita dalla stessa famiglia, i Caponio. Oggi si chiama “L’Amicizia”, è una realtà agrituristica bio-ecologica costituita da circa 70 ettari coltivati a cereali, foraggi, legumi, ortaggi, oliveti, frutteti e vigneti. Dotata di un caseificio specializzato sulla produzione di prodotti tipici pugliesi, è una delle più note fattorie didattiche. Il bestiame vive allo stato brado, in condizioni naturali di luce e con la possibilità di muoversi e riprodursi liberamente; ad esso sono riservati numerosi ettari di bosco e pascoli a volontà. Tutti gli animali sono alimentati con foraggi e cereali prodotti in azienda, in modo da ottenere prodotti come latte, formaggi e prodotti da macelleria, quantitativamente inferiori ma di elevata qualità e sicuri per la salute. Produzione di piante aromatiche e orticoltura biologica. E’ il settore in cui opera la cooperativa sociale “Nuovi sentieri” di Bari, costituita nel 2000. Si occupa dell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate e, in modo più specifico, di utenti psichiatrici.
Un’interessante esperienza in Basilicata. La Fattoria Burgentina è un centro socioeducativo di Brienza (Potenza). Ex scuola di campagna, è stata ristrutturata nel 2000, grazie a fondi europei, ed è destinata a luogo di ritrovo per una decina di disabili mentali, che arrivano nel centro alle 8 di mattina, accompagnati da un pulmino. Tra le attività, la cura di ceci, lenticchie e ulivi nei due ettari di terreno che circondano la struttura. Emblemata l’osservazione di Giovanni Ferrarese, coordinatore della struttura: “quando chiudiamo per le feste natalizie, molti nostri ospiti non mi parlano, si offendono, si sentono abbandonati”. La Calabria è decisamente in ritardo sul tema. Come spiega Annamaria Bavaro, portavoce locale del Forum Nazionale Agricoltura Sociale, l’unica norma regionale che fa riferimento all’agricoltura sociale è la legge regionale 14 del 30 aprile 2009 che ha lo scopo di sostenere e disciplinare l’attività agrituristica, didattica e sociale nelle aziende agricole. Rientra nel quadro dei principi e delle finalità della legge 96 del 20 febbraio 2006 “Disciplina dell’agriturismo”. La Calabria, nel rivedere il proprio Piano di sviluppo rurale, purtroppo non ha colto le novità introdotte dal Piano Strategico Nazionale dello Sviluppo Rurale per l’agricoltura sociale, sia per quanto riguarda l’asse 1 Misura 121 (ammodernamento aziende agricole), sia l’asse 3, Misura 311 (diversificazioni verso attività non agricole) della Commissione europea. “Gli incentivi sono stati orientati verso il sostegno agli investimenti strutturali per attività di tipo agrituristico e didattico sociale più che per vere e proprie attività di agricoltura sociale – continua Bavaro.
Le realtà che praticano l’agricoltura sociale non sono numerose, ma il nodo più critico è la scarsa capacità di fare rete tra loro. Nome di riferimento dell’agricoltura sociale in Calabria è la cooperativa sociale “Le agricole” di Lamezia Terme (Catanzaro), fondata da un gruppo di donne nell’ambito della “Comunità Progetto Sud”, nata il 20 ottobre 1976, dopo due anni di preparazione e collaborazione tra una quindicina di disabili e quattro volontari, sostenuti dall’aiuto organizzativo della Comunità di Capodarco. La cooperativa “Le agricole” fa agricoltura senza concimazioni e diserbanti aggressivi, né trattamenti antiparassitari, seguendo un metodo biologico certificato. Tra le iniziative, anche la possibilità di adottare un pezzo di terra per coltivare un orto e ricavarne cibo a sufficienza per tutto l’anno. Un modo per andare oltre il ruolo di consumatori passivi contribuendo noi stessi alla produzione del cibo che mangiamo: questa è la finalità del progetto.
Parallelamente alla coltivazione dell’orto, c’è la possibilità di partecipare ad incontri con esperti di coltivazione biologica, per ricevere consigli e istruzioni sulle azioni da compiere per ottenere un buon raccolto, a riunioni periodiche di monitoraggio condiviso delle attività dell’orto, ma anche di trasformare alcuni ortaggi (pomodori soprattutto) per fare le conserve da tenere in scorta per tutto l’anno. La finalità delle iniziative – come spiegano le promotrici – è quella di favorire il rilancio dell’agricoltura, riavvicinare al mondo della natura, mangiare sano, responsabilizzare le persone, socializzare, diminuire i trasporti e risparmiare. Tutto ciò per opporsi alla mancanza di consapevolezza (“non so più cosa mangio”), all’uso di concimi chimici e pesticidi, alla crisi delle piccole economie locali, all’eccessiva quantità di rifiuti (mediamente un terzo del prodotto), alla produzione di gas serra e alla fine della stagionalità.
Il fenomeno in Sardegna
Sono una trentina le realtà sarde che operano nell’agricoltura sociale, con prevalenza nelle province di Nuoro e Cagliari, a seguire Oristano. Il PSR 2007-2013 ha contribuito al consolidamento del ruolo sociale dell’azienda agricola multifunzionale attraverso diversi interventi previsti dall'asse 3 che hanno riguardato, sotto profili differenti, l’agricoltura sociale. In particolare, la misura 311, azione 5, ha previsto l’erogazione di contributi diretti alla famiglia agricola per la realizzazione di spazi attrezzati per lo svolgimento di attività sociali in fattoria. La misura 321, azione 1, ha previsto, invece, aiuti a favore degli enti pubblici per l’avviamento di servizi di utilità sociale, a carattere innovativo, da realizzare presso le fattorie agrosociali.
Con la misura 4 del POR 2000-2006 sono state finanziate 26 fattorie sociali e 5 fattorie sociali, preesistenti agli interventi e per questo denominate “storiche”. Tutte queste strutture sono finalizzate all'integrazione sociale di persone in condizioni di disagio, quali detenuti ed ex detenuti, persone con gravi handicap fisici, psichici e sensoriali, mediante la creazione di percorsi di effettivo inserimento lavorativo e percorsi riabilitativi/produttivi, come l’agroterapia, la pet-terapia e l’arte-terapia. Il Comune con più aziende orientate all’agricoltura sociale è Fonni (Nuoro). Qui opera, ad esempio, “Sa Ontonera”, azienda agricola biologica e agriturismo di proprietà dei fratelli Giovanni e Cristoforo Coccollone. Si estende per circa 150 ettari nel verde incontaminato dei monti del Gennargentu. Basa la sua attività sull’allevamento di ovini, suini, caprini, ma non mancano equini e vari animali da cortile. L’agricoltura rispetta i cicli stagionali di produzione e si effettua in pieno campo, soprattutto per la produzione di patate. Le materie prime sono lavorate e trasformate sul luogo secondo le antiche tradizioni e ricette della Barbagia: i prodotti ottenuti sono destinati al consumo presso i locali dell’agriturismo, sostenendo così il principio della filiera corta. L'azienda da alcuni anni svolge anche attività di fattoria didattica con lo scopo di sensibilizzare i visitatori sull'importanza di un’eno-gastronomia sana e genuina, sui processi produttivi naturali e stagionali, su un modello di sviluppo eco-sostenibile e sui temi di educazione ambientale.
Giovanni e Cristoforo Coccollone, un pozzo di saggezza, sono tornati a svolgere l’attività di allevatori dopo un periodo passato nell’autotrasporto. Un ritorno alla terra condito di tanta sapienza. “Oggi siamo rimasti in pochi a fare l’attività dei nostri avi, il lavoro è duro e abbiamo così aperto l’azienda ai servizi, offrendo anche i nostri valori – raccontano i due fratelli che, in pieno stile decrescita, hanno scelto di tornare alle radici, per coltivare la terra e allevare gli animali, rinunciando agli agi e alle illusioni del consumismo. “Le difficoltà non vengono però dal lavoro, anzi quello dà soddisfazioni, ma dalla burocrazia, dagli uffici, dalle Asl. E’ come dover spostare le montagne con le mani, abbiamo solo doveri e non più diritti. Ci stanno costringendo a perdere i nostri valori. Ma non hanno capito che per fare un passo avanti dobbiamo fare un passo indietro, riscoprire i nostri territori, che noi allevatori abbiamo salvaguardato solo con il lavoro, da generazioni e generazioni. Se non ci ponessero tutti questi ostacoli dall’esterno, questa nostra terra potrebbe essere il giardino dell’Eden. Non vogliono capire che non tutti possiamo fare gli avvocati o i commercialisti, non possiamo mangiare tastiere di computer. Occorre ripartire dai territori, perché un sistema economico folle, insieme ai media, ha creato dei veri e propri mostri, tipo le multinazionali che accaparrano i semi o la grande distribuzione che può permettersi di vendere anche sottocosto. La socialità è insita in agricoltura ed è all’opposto di tutto questo”. Sul piano istituzionale, da registrare il progetto “Imparis – Agricoltura Sociale Regione Sardegna”, promosso dal 2012 dal Formez PA in collaborazione con la Regione Sardegna e strutturato in una serie di corsi di formazione. Nel luglio 2013 è stata lanciata l’omonima associazione con lo scopo di mettere in rete gli imprenditori e le cooperative che hanno scelto di fare agricoltura sociale in Sardegna.
"Oltre che alla qualità del prodotto – spiega in una nota Giovanna Porcu, presidente dell'associazione – noi prestiamo attenzione anche alla qualità della produzione, di chi e come è stato impiegato per produrlo, di quanto e quale benessere ha generato non solo in termini economici, ma anche sociali. Dietro i nostri prodotti o servizi c'è la storia di un riscatto, di un'emancipazione: quella di un ex detenuto piuttosto che di un minore problematico, di una donna che ha subito violenza, di una persona con disabilità, di un ex disoccupato, Il nostro obiettivo – conclude – è anche quello di evitare lo spopolamento delle campagne e delle zone interne dell'isola". L'associazione ha raccolto l'adesione di una cinquantina di soggetti, tra imprenditori agricoli e cooperative, distribuiti su tutto il territorio sardo, da Sassari e Porto Torres a Olbia, dall'Ogliastra al Medio Campidano, dall'Iglesiente alla Marmilla e Guspinese, passando per Oristano, la Planargia, il Guilcer e il Barigadu.
L’agricoltura in ateneo
Pisa e Viterbo rappresentano sicuramente i due atenei che da più anni seguono con attenzione il fenomeno dell’agricoltura sociale. Da circa dieci anni, il gruppo di economia agraria dell’università di Pisa, coordinato dal professor Francesco Paolo Di Iacovo, svolge ricerca nazionale e internazionale sul tema dell’agricoltura sociale (http://sofar.unipi.it e http://agricolturasocialeinnovativa.wordpress.com). L’università toscana, tra l’altro, ha presentato ad aprile 2013 a Lucca le linee guida “Progettare l'agricoltura sociale”, realizzate in collaborazione con il Cesvot, il Centro Servizi Volontariato Toscana. L’iniziativa offre al volontariato alcune indicazioni operative per costruire reti tra associazioni, imprese agricole ed enti locali e promuovere l'agricoltura come strumento di riabilitazione sociale ed inserimento lavorativo di persone con disagio. Le esperienze censite da Università di Pisa e Cesvot confermano la bontà del lavoro in fattorie e orti per integrare nella società persone che vivono situazioni di disagio ed emarginazione.
Come sottolinea il professor Francesco Di Iacovo, uno dei massimi esperti di agricoltura sociale, “in tempi di crisi le aree rurali più di altre soffrono la diminuzione drastica di risorse e servizi, ma è proprio per questo che l'agricoltura sociale può diventare un importante volano di sviluppo. Tuttavia perché ciò si realizzi serve saper comunicare e raccontare le tante esperienze che ci sono sul nostro territorio, servono passione e competenze, motivazione e formazione. Il vero cambiamento è guardare con occhi diversi quello che già c'è ma dobbiamo farlo in fretta perché la riflessione è certamente aperta ma i tempi d'intervento non possono essere lunghi". L'Università di Pisa, tra l’altro, dal 2009 promuove il progetto "Orti etici" (www.ortietici.it) sui terreni a San Piero, dal Centro di ricerca interdipartimentale “Avanzi”, in collaborazione innovativa con la cooperativa sociale “Ponte Verde” e con l’azienda “Colombini”. L'iniziativa promuove formazione e inclusione sociale e lavorativa per persone a bassa contrattualità inviate dai servizi per le tossicodipendenze, per l'esecuzione della pena all'esterno del carcere e dal distretto di salute mentale. Da quando è nato, in accordo con la Società della salute zona pisana, il progetto ha formato e incluso circa 50 persone assicurando, allo stesso tempo, la produzione di cibo fresco, locale, prodotto con tecniche biologiche.
Proprio su tale iniziativa è stata incentrata la tesi di laurea in “Produzioni agroalimentari e gestione degli agroecosistemi”, discussa da Salvatore Griffo, studente originario di Bovalino Marina (Reggio Calabria). Intitolata "La co-produzione di valore economico e sociale in agricoltura sociale: il caso Orti etici", la tesi evidenzia il contenuto economico e sociale dei prodotti di agricoltura sociale: ogni chilogrammo di verdura di agricoltura sociale realizza sei minuti di lavoro inclusivo, la cui efficacia è superiore di quella di altri progetti, portando spesso un risparmio nell'uso dei farmaci consumati e rendendo le persone da percettori di assistenza a produttori di reddito. Inoltre consente il risparmio di 0,74 euro di spesa pubblica, per l'incremento di efficacia degli esiti sulle persone, ma anche per la differenza tra il costo del progetto “Orti etici” e altre ipotesi consuete di intervento. A Viterbo nel 2004 è stato attivato un lungimirante Master universitario in “Agricoltura etica di utilità sociale” (1.500 ore in dieci mesi), promosso dall’università della Tuscia per “far crescere una cultura interdisciplinare capace di legare competenze tecnico-agronomiche, giuridico-normative, economico-gestionali, medico-psicologiche e organizzative orientate ad integrare le persone svantaggiate nelle attività agricole”. Il Master, frutto di un’attività pluriennale di ricerca condotta dalla facoltà di Agraria della Tuscia, ha coinvolto imprese agricole ed enti locali, promuovendo l’agricoltura sociale nel territorio. Secondo la definizione del professor Saverio Senni, docente di Economia e politica dello sviluppo rurale all’università della Tuscia e tra i massimi esperti sul tema, l’agricoltura sociale consiste in “un insieme di attività a carattere agricolo in senso lato – coltivazione, allevamento, selvicoltura, trasformazione dei prodotti alimentari, agriturismo, ecc. – con l’esplicito proposito di generare benefici per fasce particolari della popolazione”. Di recente, “Idea 2020”, spin-off dell’università della Tuscia, ha sottoscritto un protocollo di intesa con l’Ente nazionale per il microcredito, l’Associazione italiana per l’agricoltura biologica e “Avviso pubblico”, rete di amministrazioni comunali, provinciali e regionali impegnata a promuovere la cultura della legalità con particolare riferimento al contrasto alle mafie.
Tale accordo rappresenta il primo passo verso la costruzione di progettualità che, nelle intenzioni dei firmatari, potranno prendere avvio sul terreno dell’agricoltura sociale, tematica per la quale “Idea 2020”, traendo beneficio dalle ricerche condotte presso l’università della Tuscia, rappresenta un autorevole soggetto tecnico di supporto alle azioni operative sia in Italia che all’estero, in particolare nei paesi meno sviluppati. “L’idea di valorizzare lo strumento del microcredito per promuovere progetti imprenditoriali nel campo dell’agricoltura sociale – sottolinea Saverio Senni, presidente di “Idea 2020” – è particolarmente appropriata. Si sta infatti assistendo, nel contesto di una perdurante fragilità sociale ed economica del nostro paese, ad un rinnovato interesse verso l’agricoltura, intesa in senso ampio, dal campo alla tavola. In questo quadro molti soggetti stanno guardando con crescente interesse al ruolo sociale che possono svolgere le pratiche agricole manifestando bisogni formativi, di supporto tecnico e finanziario che i firmatari del protocollo di intesa intendono mettere in campo. L’accordo firmato coincide inoltre con l’avvio della nuova programmazione 2014-2020 dei fondi europei che sosterranno progetti, in campi molto variegati, nei quali agli attori privati è chiesto di partecipare con un co-finanziamento che non sempre questi sono in condizioni di sostenere. La possibilità per soggetti non bancabili o per giovani ai margini del mercato di accedere a forme di sostegno, come quella del microcredito, per sviluppare progetti in campo agricolo, anche valorizzando terre pubbliche o confiscate alle mafie, può costituire una soluzione che al tempo stesso si connota di valenze economico-occupazionali, ambientali e sociali e contribuire così alla ripartenza del paese Italia”. Presso l’università di Venezia, lo scorso 25 settembre, nell'aula Biral di Palazzo Malcanton, s’è svolta un’importante iniziativa sull’agricoltura sociale che ha coinvolto la Scuola in servizio sociale e politiche pubbliche, i corsi di laurea in Servizio sociale, il Master sull’immigrazione e l’Unità di sociologia del Dipartimento di filosofia e beni culturali.L’intento del workshop è stato quello di far convergere a Venezia alcune tra le esperienze più significative in corso a livello nazionale e regionale, per contribuire da un lato ad un bilancio dell’esperienza fin qui fatta da parte dei soggetti protagonisti, dall’altro per dare un contributo di analisi e di ricerca in ambito universitario ad un ambiente vitale e interessante. Con tale prima iniziativa Ca’ Foscari ha inteso porsi come punto di riferimento per quanto concerne la sostenibilità economica ed ecologica delle politiche di welfare e nello specifico per la formazione degli operatori sociali nella prospettiva dell’innovazione sociale. “Multifunzionalità e nuovi modelli di redditività in agricoltura: il caso della agricoltura sociale” è stato invece il titolo del seminario svoltosi lo scorso 22 ottobre nell’aula Pasteur del Dipartimento Agricoltura Ambiente e Alimenti dell’università a Campobasso. Il seminario ha inteso in primo luogo illustrare la situazione normativa e le esperienze che caratterizzano il comparto a livello europeo e nazionale. In secondo luogo ha valutato, insieme agli addetti ed alle istituzioni coinvolte, le potenzialità dell’agricoltura sociale nel caso molisano nel quadro definito dal nuovo ciclo di programmazione europeo. Presente Roberto Finuola, esperto e consulente del Comitato economico e sociale europeo. Tra le altre innumerevoli iniziative, la convenzione che l’ateneo di Bologna ha sottoscritto con l’Istituto superiore di sanità in materia di “pet therapy”.
Dai parchi all’ambientalismo
Da ricordare, tra le miriadi di progetti, quelli attivati nei Parchi in tutta Italia, quelli regionali promossi da Arsia in Toscana, da Arsial nel Lazio e dalla Regione Veneto (alcune iniziative di sperimentazione sono frutto dell’accordo tra ministero della Salute e Regioni del febbraio 2003), nonché quelli dei distretti di agricoltura sociale in Friuli-Venezia Giulia. L’associazione “Italia Nostra” è promotrice di un progetto nazionale denominato “Orti urbani”, proposto nel 2006, a cui hanno aderito Anci nel 2008, e “Res Tipica” (l’associazione costituita da Anci e dalle Associazioni delle Città di Identità per la promozione e la valorizzazione del patrimonio enogastronomico, ambientale, culturale e turistico dei Comuni aderenti) nel 2013. Al progetto hanno aderito città come Roma, Torino, Genova, Savona, Padova, Perugia, Foligno, Ostini e Favara. Nel campo della comunicazione, il blog “Il lombrico sociale” rappresenta da anni un punto di riferimento, mentre l’Aiab, l’associazione italiana di agricoltura biologica, è sicuramente uno degli organismi che sta maggiormente contribuendo a promuovere l’agricoltura sociale nel nostro Paese. In Rete anche il blog di “Orto diffuso” (http://ortodiffuso.noblogs.org) ed i siti ambientalisti, per quanto non specifici sul tema, di Marco Boschini e di Jacopo Fo.
Pur nella difficoltà di censire con completezza un panorama policromo e discontinuo, è tuttavia possibile individuare una serie di tratti comuni nelle esperienze italiane. Ad esempio: l’adozione del biologico e di tecniche a basso impatto ambientale, con preferenza per produzioni “di nicchia”; le dimensioni medio-piccole delle attività agricole, anche quale garanzia di prossimità e di controllo; il forte legame con il territorio e la comunità locale, in cui l’agricoltura conferma il ruolo storico di collante e di strumento di coesione sociale; la multifunzionalità espressa nell’adozione di pratiche connesse, dalla trasformazione in azienda alle attività didattico-formative-educative, dall’ospitalità e dalla ristorazione fino alla vendita diretta dei prodotti; la preferenza verso il lavoro manuale; la significativa presenza di occupazione femminile; la qualità specifica del cosiddetto “multiprodotto”, conseguente ad una diversificazione degli ordinamenti produttivi; il recupero di risorse fondiarie residuali; l’attenzione per la comunicazione e per l’informazione; l’impatto politico, talvolta espresso con la creazione o l’adesione a reti “dal basso” per incidere su scelte “dall’alto”. Pur in un quadro certamente positivo a grandi linee, si confermano quei nodi che anche l’agricoltura tradizionale ben conosce: dall’accesso al credito alle agevolazioni fiscali e contributive fino agli appesantimenti burocratici.
Per saperne di più
Soprattutto nell’ultimo decennio la produzione di libri riguardanti i diversi aspetti dell’agricoltura sociale è letteralmente esplosa. L’Inea (tel. 06-478561), in particolare, offre una serie di testi gratuiti di grande interesse.
“Linee guida per progettare iniziative di agricoltura sociale” di Alfonso Pascale, presidente della Rete delle fattorie sociali, è stato realizzato nell’ambito del progetto Inea “Promozione della cultura contadina”, finanziato dal ministero delle Politiche agricole e coordinato da Francesca Giarè. Nell’ambito di tale progetto, sono stati pubblicati altri volumi, tra cui “Vite contadine. Storie del mondo agricolo e rurale” (di Caggiano, Giarè, Vignali), che presenta una grande varietà di esperienze e di realtà che coniugano l’agricoltura in maniera diversa dal passato e indicano innovazioni che, per taluni aspetti, rappresentano una rielaborazione consapevole di modalità e attitudini che un tempo caratterizzavano l’agricoltura degli anni addietro. La pubblicazione non offre dati statistici ma storie di vita, immagini che permettono di definire tanti modi di fare agricoltura oggi e di vivere il territorio, le relazioni, il contesto rurale.
La pubblicazione “Mondi agricoli e rurali. Proposte di riflessione sui cambiamenti sociali e culturali”, sempre frutto del progetto finanziato dal ministero, raccoglie i seguenti saggi: “Il capitale sociale e umano e lo sviluppo rurale. Alcune riflessioni” di Francesca Giarè; “Le campagne urbane e le nuove forme dell’abitare” di Maurizio Di Mario e Alfonso Pascale; “La legalità in agricoltura: la confisca dei terreni” di Elisa Ascione e Manuela Scornaienghi; “Tra lavoro e non lavoro. L’agricoltura dentro e fuori le mura del carcere” di Francesca Giarè; “Contesti rurali e benessere individuale” di Maria Carmela Macrì; “Contadini di città” di Adalgisa Rubino e Manuela Scornaienghi; “Tutti giù per terra: verso un’ecologia della mente” di Monica Caggiano; “Gli immigrati nella società e nell’agricoltura italiana” di Monica Caggiano; “Cultivar e razze autoctone delle aree rurali: tradizione e innovazione nella conservazione e nell’uso” di Sabrina Giuca.
Un saggio sull’agricoltura sociale, sempre a firma di Alfonso Pascale, è contenuto nel volume “La Costituzione italiana e l’agricoltura”, che raccoglie gli atti del convegno organizzato dall’Inea a Roma il 19 febbraio 2009. Sempre l’Inea ha pubblicato “L’agricoltura sociale nelle politiche pubbliche” di Roberto Finuola e Alfonso Pascale, quaderno della Rete nazionale dello sviluppo rurale (maggio 2008). Più recente il libro “I buoni frutti: viaggio nell’Italia della nuova agricoltura civica, etica e responsabile”, edito da Agra editrice a fine 2011. Si tratta del resoconto di un viaggio in Italia iniziato il 28 agosto e terminato il 25 settembre, dal Trentino alla Sicilia, che raccoglie circa quaranta storie di chi ha scelto di investire in agricoltura senza trascurare il “valore di legame” con le proprie comunità di appartenenza. Gli autori Angela Galasso, Francesca Durastanti, Giuseppe Orefice, Margherita Rizzuto e Silvia Paolini, sono cinque tecnici che da anni si occupano di agricoltura civica e di didattica in ambito rurale su tutto il territorio nazionale. Tante storie: dagli agrumicoltori di Ribera (Agrigento) che hanno realizzato il sogno di poter rimanere in Sicilia e attraverso il web riuscire a veicolare le loro arance, o “Madrenatura”, azienda campana, che ha fatto della vendita diretta “responsabile” la propria bandiera e la chiave del proprio successo. Poi l’agrinido “Piccoli frutti” di Cremona, inaugurato a settembre 2011, o la giovane cooperativa piemontese “AgriCooPecetto” che promuove progetti formativi e inserimenti lavorativi di persone disabili. Oancora l’associazione “Il giardino di Filippo” che realizza attività didattiche e riabilitative in un’azienda agricola utilizzando il contesto agricolo ed il cavallo.
Racconta in proposito Andrea Segrè, preside della facoltà di Agraria presso l’Università di Bologna: “Il viaggio che ha portato a questo libro – che è stato un po’ anche il mio idealmente – credo abbia dimostrato che le nostre azioni, anche se piccole, possono portare a un mondo nuovo. Dobbiamo solo credere nel nostro ruolo di individui attivi nella società, fuggendo dalla passività e dal vuoto che ci circonda. Basta poco. Sarebbe sufficiente rinnegare la pervasiva cultura del consumo e del rifiuto che genera lo spreco di cui siamo circondati: di cibo e altri beni, ma soprattutto di relazioni. Attraverso queste esperienze di agricoltura civica – continua Segrè – è possibile far vedere e riconoscere nuovamente il valore di legame, gli si ridà – appunto – valore, senza negare gli altri due – lo scambio e l’uso – in modo da rivoluzionare, veramente, il nostro sistema. La speranza è che altri copino da queste esperienze: esse ci fanno vedere che la relazione civile esiste ancora e dimostrano che è possibile rendere l’economia più efficiente e anche più civile, proprio a partire dall’agricoltura e dai suoi buoni frutti”. Da segnalare anche un documentario sull'agricoltura sociale realizzato dalla Rai nel 2011. Si chiama “La buona terra. Esperienze di agricoltura sociale in Italia” ed è stato prodotto dal segretariato sociale della Rai in collaborazione con l'Università della Tuscia. Più datato un altro documentario di 22 minuti, firmato dal regista sardo Ignazio Figus, intitolato “Giuseppe, pastore di periferia” (Condivisioni, 2004), sull’ultimo pastore di Nuoro città. Altri utili riferimenti bibliografici:
- “Lo sviluppo sociale nelle aree rurali” di Francesco Di Iacovo (Franco Angeli, Milano, 2003);
- “L’impresa meticcia. Riflessioni su no-profit ed economia di mercato” di Gianluca Alleruzzo (Erickson, Trento, 2004);
- “Il ‘68 delle campagne” di Alfonso Pascale (Rce Edizioni, Napoli, 2004);
- “L’economia della solidarietà. Storia e prospettive della cooperazione sociale” di Borzaga-Ianes (Donzelli, 2006);
- “Le nuove frontiere della multifunzionalità: l’agricoltura sociale” (atti del convegno di Ripatransone del 17 novembre 2006, Alpa);
- “Ippoterapia. Istruzioni per l’uso” di Angelici-Marino (Equitare Editrice, Lesa, 2006);
- “Il giardino che cura” di Cristina Borghi (Giunti, Firenze, 2007);
- “Agricoltura sociale e agricoltura di comunità” di Marco Noveri (Arsia, Firenze, 2007);
- “Agricoltura sociale: quando le campagne coltivano valori. Un manuale per conoscere e progettare” di Francesco Di Iacovo, con i contributi di Anna Carbone, Roberto Finuola, Marco Gaito, Alessandro Lenzi, Paolo Pieroni, Lavinia Rossi, Saverio Senni, Viviana Ventura (Franco Angeli, Milano, 2008);
- “Agricoltura biologica e sociale. Strumento del welfare partecipato” di Anna Ciaperoni (Aiab, Roma, 2008);
- “L’agricoltura sociale in Italia. Un’indagine sulle cooperative sociali che operano in agricoltura di Fabio Belano (tesi di laurea presso la facoltà di Agraria di Viterbo, 2008);
- “L’asino che cura. Prospettive di opoterapia” di Patrizia Reinger Cantiello (Carocci, Roma, 2009);
- “Farm City, l’educazione di una contadina urbana” di Novella Carpenter (Slow Food, 2011);
- “L’innovazione in agricoltura sociale. Progettazione e strumenti di lavoro per le associazioni”, a cura di Francesco di Iacovo e Roberta Moruzzo dell’università di Pisa (Quaderno Cesvot, 2014).