L’arrivo del grande caldo di fine luglio ha riportato all’onore delle cronache una questione che si è andata sempre più intensificando negli ultimi anni, la siccità. Si stanno inaridendo i territori adriatici dell’Emilia Romagna. Si tratta del primo segnale di un rischio desertificazione.
Si è visto che dal 1° Ottobre 2019 al 26 Luglio 2020 sui bacini occidentali tra i fiumi Parma e Trebbia, sono caduti 1.301 millimetri di pioggia, in crescita rispetto agli anni scorsi ma sulla macroarea sud-adriatica, dal fiume Reno fino al confine con le Marche, sono invece piovuti solo 463 millimetri, una quantità inferiore agli anni scorsi, ma soprattutto analoga (456 mm) al 2017, uno degli anni più siccitosi. «I dati purtroppo confermano le previsioni degli enti di ricerca sul rischio desertificazione per la dorsale adriatica del Paese. Bisogna averne coscienza, ora che il Paese sarà chiamato a ridisegnare il proprio modello di sviluppo verso un’economia più green – le parole illuminate di Francesco Vincenzi, presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (Anbi)».
Sempre in Emilia Romagna, portate dei fiumi in ripresa con Trebbia, Savio e Reno superiori alla media del periodo, mentre resta deficitaria la situazione del Secchia. Negli invasi piacentini (Molato e Mignano) sono attualmente custoditi quasi 13 milioni di metri cubi d’acqua, una riserva rassicurante, comunque in calo ed inferiore agli anni più recenti (ad eccezione del sitibondo 2017). In ripresa sono anche le portate del fiume Po (916 metri cubi al secondo al rilevamento ferrarese di Pontelagoscuro), inferiori tuttavia alla media mensile e che destano qualche preoccupazione per il prosieguo della stagione irrigua.
Al Nord continua l’abbassamento dei livelli dei grandi laghi, tra i quali solo il Garda è sopra la media mensile e il Lario scende a circa il 26% del riempimento. A beneficiare dei rilasci dai bacini lacustri sono soprattutto i fiumi lombardi (Adda, Mincio, Brembo, Chiese, Ticino), i cui livelli poco si discostano dagli anni scorsi, così come sostanzialmente nella media resta il fiume Adige, in Veneto principali fiumi (Bacchiglione, Piave, Livenza, Brenta) segnano altezze idrometriche inferiori al 2019.
In discesa e inferiori allo scorso anno sono anche le portate dei fiumi (Dora Baltea, Stura di Lanzo, Sesia) in Piemonte, le cui dighe (Ingagna, Ravasanella, Ostola), nella Baraggia, trattengono ancora quasi 16 milioni di metri cubi d’acqua (volume massimo autorizzato: 17,20 milioni di metri cubi), record del più recente quadriennio.
In Centro Italia, nelle Marche, i cui bacini hanno perso 1 milione di metri cubi d’acqua in una settimana, scendendo a circa 43 milioni, quantità superiore solo al 2017 nel recente quinquennio; resta invece confortante la situazione idrica in Lazio, Abruzzo, Sardegna mentre, in Campania, i fiumi Sele e Volturno registrano livelli superiori allo scorso anno. Analogamente deve dirsi degli invasi Sant’Anna e Monte Marello in Calabria, mentre resta deficitaria la situazione idrica in Sicilia.
Continuano, infine, a diminuire le riserve idriche, trattenute negli invasi di Puglia e Basilicata: nella prima regione (utilizzati 10 milioni di metri cubi in una settimana) sono scese sotto i 118 milioni di metri cubi (-91 milioni rispetto all’anno scorso); in Lucania, invece, al ritmo di 2 milioni di metri cubi in meno al giorno, sono rimasti circa 291 milioni (-64,26 milioni rispetto al 2019).