Dopo quella degli immobili pubblici sta arrivando la cartolarizzazione delle terre demaniali. L’iniziativa mira a contrastare il pericoloso fenomeno dell’abbandono di terreni incolti, che poi finiscono nel degrado contribuendo al dissesto idrogeologico che tanti danni ha provocato nel nostro Paese. Non solo, ma potrebbe essere una risposta alla disoccupazione giovanile ed un tentativo di rilanciare la produzione di cibo “made in Italy”.
Ma non è detto che sia necessario alienare la proprietà della terra. Un’altra possibilità consiste nella creazione delle “banche della terra”, un sistema che consenta la catalogazione delle terre pubbliche che vengono poi offerte in un regime di concessione a costi decisamente contenuti per non dire simbolici.
In otto regioni (da nord a sud, Veneto, Liguria, Toscana, Umbria, Abruzzo, Campania, Puglia, Sicilia) la banca delle terra è già realtà, mentre altre cinque ci stanno arrivando; si tratta di Lombardia, Lazio, Calabria, Marche, Molise. L’iter prevede il censimento e la formazione di un elenco. Poi si passa per l’emanazione di bandi pubblici che rivolgono grande attenzione ai giovani. Chi si aggiudica il bando tiene il terreno per un periodo di 20 anni.
Il canale della vendita, invece, ha avuto alterne fortune. L’Istat ha censito ben 140.000 ettari disponibili per un valore (teorico) di mercato di quasi tre miliardi di euro.
Ma questa può essere davvero un’opportunità per i giovani? Probabilmente dipende dalla qualità agricola dei terreni stessi. In un territorio pianeggiante o collinare come quello toscano sono alte le probabilità di successo nella coltivazione e anche le possibilità di sviluppo dell’azienda in senso agrituristico, lo stesso può essere meno realistico per gli appezzamenti marginali come quelli montani. Certamente l’immissione nel mercato di terreni a prezzo “vantaggioso” potrebbe avere l’effetto di calmierare il costo dei terreni e apportare una certa spinta in termini occupazionali e di rilancio “giovanile” della produzione agricola nazionale.