Sempre più spesso l’agricoltura e la zootecnia si trovano a dover far i conti con anomalie climatiche che stanno perdendo il carattere di sporadicità. I numeri parlano chiaro: il 2017 è stato l’anno più secco degli ultimi due secoli con danni stimati pari a circa 2 mld di euro, gran parte dei quali dovuti alla siccità. Solo in ottobre nel nostro territorio sono mancati complessivamente 19 mld di metri cubi di acqua piovana. Fino ad oggi ‘la questione clima’ si è affrontata sempre e solamente gestendo la crisi, l’emergenza, piuttosto che pianificando tecniche e strategie di prevenzione utili alla mitigazione dell’impatto. Serve un cambio di paradigma, dunque, capace di mettere a confronto in modo costruttivo i diversi attori e portatori di interesse del mondo agricolo nazionale ed europeo: imprenditori, ricercatori, tecnici e decisori politici. La siccità è un problema di governance. Da queste necessità prende le mosse e si inserisce il progetto MACSUR, (Modelling European Agriculture for Food Security with Climate Change), l’hub della conoscenza sviluppato nel contesto della JPI FACCE (Agricoltura, sicurezza alimentare e cambiamento climatico) che unisce attività di networking, ricerca e formazione in una dimensione che non ha precedenti sul tema in Europa, attraverso un’iniziativa congiunta alla quale hanno aderito 22 paesi europei, tra cui l’Italia. A MACSUR hanno preso parte 17 paesi europei, più Israele, e quasi 80 gruppi di ricerca, di cui una decina italiani.
Durante il Convegno “Agricoltura e cambiamenti climatici: sfide e opportunità” organizzato dal Nucleo di Ricerca per la Desertificazione dell’Università di Sassari che si è svolto a Roma presso il Mipaaf, presentati i risultati delle ricerche realizzate dalla partnership italiana del progetto che porta in dote le analisi condotte su 7 casi di studio (finanziate dal Mipaaf). Dalle analisi emerge che gli imprenditori agricoli italiani lamentano il freno rappresentato da regole inefficaci e applicate male, alle quali si aggiungono concrete difficoltà nel rispondere in modo adeguato ai nuovi scenari climatici. Le soluzioni proposte non sono mai semplicistiche: occorre personalizzarle in modo efficace caso per caso, in relazione alle specificità del contesto ambientale e socio economico.
«L’impatto del cambiamento climatico in agricoltura non può essere facilmente generalizzato – ha dichiarato Pier Paolo Roggero, Professore presso il Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari -. Per esempio quest’anno, così caldo e siccitoso, ha visto alcune produzioni calare (es. mais in pianura padana) altre invece migliorare in qualità e diminuire in quantità (uva da vino), altre ancora migliorare in qualità e quantità (es. olivo da olio in Sardegna). Dunque in ogni situazione c'è chi vince e chi perde. Ma complessivamente le crisi climatiche portano il sistema a perdere, soprattutto quando si verifica una forte specializzazione delle produzioni in pochi distretti, perché aumentano i rischi e la vulnerabilità del sistema nel suo complesso che ha poi inevitabili riflessi sui prezzi dei prodotti con effetti a catena sull’intero sistema economico. Questo sta accadendo anche su scala mondiale».
Gabriele Dono, professore presso l’Università della Tuscia, evidenzia che «Il cambiamento climatico sta generando problemi economici già ora: il mutamento del contesto agro-climatico riduce la capacità degli agricoltori di effettuare le scelte più appropriate. Questi ultimi, infatti, non hanno modo di aggiornare le proprie concezioni su cui essi basano le scelte e, per questo, vanno sostenuti promuovendo nuove forme d’integrazione con i ricercatori che hanno sviluppato strumenti integrati di tipo fisico-biologico-economico, adatti per affrontare insieme questa difficoltà».
Uno dei messaggi emersi dalle ricerche è che, non potendo ritornare alle aziende miste di un tempo, che non sarebbero più sostenibili dal punto di vista economico, occorra facilitare le sinergie tra gruppi di aziende specializzate tra loro complementari (es. le aziende non irrigue con quelle irrigue, le aziende specializzate in produzioni vegetali con quelle zootecniche) tenendo conto delle specificità dei contesti ambientali e socio-economici regionali e locali.
«Da un’analisi condotta, in collaborazione con degli attori locali, sul caso di studio dell’Oristanese, per quanto riguarda la capacità di adattamento del territorio ai cambiamenti globali (inclusi i cambiamenti climatici) – ha affermato Gianni Bellocchi Direttore di ricerca INRA -, abbiamo quantificato e aggregato un set di indicatori socio-economici per stimare la capacità adattativa di questo territorio. Emergono fragilità infrastrutturali e tecnologiche del territorio mentre il suo capitale sociale e la recettività di certe problematiche da parte degli abitanti si manifestano come punti di forza, anche se gli impatti attesi dei cambiamenti climatici sono soprattutto percepiti in relazione ad altri problemi, come l’inquinamento e la qualità dell’acqua».
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