Per legge, la numero 296 del 2006, in Italia sarebbero dovuti sparire all'inizio del 2010, anno dedicato alla biodiversità. Ma non essendo stati emanati i decreti attuativi, nè effettuate sperimentazioni (per le quali era stato pure stanziato un miliardo di euro, finito chissà dove), la rivoluzione è stata rinviata di un anno. Ora – pur tra difficoltà , ambiguità e distinguo – è ufficialmente vietato commercializzare i sacchetti di plastica. Per merito, soprattutto, di Stefania Prestigiacomo. Il ministro dell'Ambiente non ha voluto sentire ragioni: ha puntato i piedi contro l'ipotesi di ulteriori ritardi, che sembravano la strada obbligata dopo i silenzi del Milleproroghe (il decreto ignora la materia dei sacchetti, glissando su norme applicative, criteri, riferimenti tecnici, sanzioni). Non mancherà, tuttavia, qualche proroga per lo smaltimento delle scorte. Lo ammette la stessa ministra siciliana. Le date saranno frutto di accordi con i produttori di sacchetti e con i consorzi che riciclano la plastica. Secondo le prime indiscrezioni, i supermercati avranno tempo fino al 30 aprile, le grandi strutture fino al 31 agosto, i negozi minori fino al 31 dicembre 2011. Salvo ulteriori proroghe.
Al di là dei dettagli temporali e di qualche polemica amplificata soprattutto da Federdistribuzione, che associa le catene di supermercati, e da Unionplast, associazione dei produttori di manufatti in plastica (si cerca, ad esempio, di salvaguardare i sacchi impiegati per il confezionamento dell'ortofrutta, utili per la sicurezza igienico/sanitaria e qualitativa dei prodotti), la messa in mora nazionale degli shoppers non biodegradabili, cioè non rispondenti ai criteri fissati dalla norma tecnica comunitaria EN 13432, rappresenta comunque una vittoria del buon senso. Un trionfo della civiltà. Che accomuna l'Italia a non poche realtà dei cinque continenti.Se in Europa, nel settore, prevale la tassazione punitiva dei consumatori (adottata nel 2002 in Irlanda, quindi nel 2007 in Belgio, poi in Svizzera, Germania e Olanda), i precursori dell'off-limits troneggiano in Asia. A Mumbai, in India, i sacchetti sono vietati dal 2000. In Bangladesh dal 2002, in quanto causa di blocchi al sistema di drenaggio durante le inondazioni. A Taiwan, dal marzo 2003. Grande supporto, viceversa, alla juta.Bando totale anche in molti Paesi africani: il Sudafrica ha bandito i sacchetti dal 2003, Eritrea, Ruanda e Somalia dal 2005, la Tanzania dal 2006, Kenia e Uganda dal 2007. La città statunitense di San Francisco li ha vietati nei supermercati e nelle farmacie dal marzo 2007, seguita dalla California. L'Australia ha detto no nel 2009.In Italia, ad onor del vero, non manca qualche esempio virtuoso. Sono circa 150 i Comuni che sono partiti in anticipo sul fronte no alla plastica. Molti, tra cui Firenze, aderiscono all'iniziativa "Porta la sporta". La Val di Fiemme, in Trentino, ha cancellato i sacchetti di plastica dal 2009. Il mercatino di piazza Chanoux, ad Aosta, è esente da inquinanti. Torino ha attuato l'originale campagna "O la borsa o la vita". Caiazzo, in provincia di Caserta, è capofila del progetto "No plastic bag" che coinvolge i settanta centri italiani riuniti in Cittaslow.
Pietro Di Paolo, assessore alle Attività produttive della Regione Lazio, assicura che anche nella sua regione i prossimi saldi saranno sotto il segno dell'ecoshopper grazie all'iniziativa "Saldi a rifiutizero". Sul fronte della grande distribuzione, la Coop sottolinea con enfasi che in quasi l'80 per cento della sua rete commerciale c'è già stato il cambiamento: solo buste biodegradabili (carta o l'italianissima mater bi). Il conseguente risparmio ambientale è di dieci milioni di sacchetti usa e getta e di 300 tonnellate di plastica. Altre catene di distribuzione sono sulla stessa linea. Segnali non da poco. Specie nel nostro Paese. Dove il disuso dei sacchetti di plastica, emblemi dell'economia dello spreco e dell'insensibilità ambientale, contribuirà ad alleviare una piaga particolarmente rilevante. Infatti da noi si consumano globalmente circa 20 miliardi di buste all'anno. Un quinto di quelle utilizzate in tutta Europa (100 miliardi). Il 2 per cento della commercializzazione annua mondiale (1000 miliardi). Tristissimo primato.
Gli italiani, maglia nera comunitaria, consumano in media 300 sacchetti a testa in un anno. Pari ad oltre 180 mila tonnellate di petrolio bruciato, secondo stime di Legambiente. Il 28% di questishoppers diventa rifiuto e va ad inquinare l'ambiente. Provocando la morte di milioni di pesci, balene, delfini, tartarughe e altri animali (proprio una busta di plastica potrebbe aver causato la morte di un giovane delfino arenato a fine anno su una spiaggia presso Ravenna). Danneggiando la pesca. Contaminando i terreni agricoli, il paesaggio, il turismo, le produzioni alimentari.Il riciclo è una chimera. Soltanto l'1% dei sacchetti di plastica viene riciclato a livello mondiale. Perchè riqualificarli costa molto più che produrli. Una tonnellata di sacchetti vergini costa 32 dollari, riciclarli ne costa quattromila, oltre cento volte di più. I tempi di decomposizione naturale sono biblici: mediamente due secoli per dissolvere la plastica, con punte anche oltre il millennio, secondo le cifre diffuse dall'Agenzia europea per l'ambiente. Ma non è tutto. C'è un problema di salute pubblica. La maggior parte delle buste è prodotta in Cina, Thailandia e Malesia. E nella stampa dei sacchetti vengono spesso utilizzati coloranti e additivi cancerogeni. E ancora: sulla terraferma spesso i rifiuti di plastica vengono bruciati. Napoli docet. Ciò comporta l'emissione di sostanze come anidride carbonica e diossine. Certo, convertire milioni di consumatori e migliaia di negozi non sarà facile. Le leggi impopolari, specie in Italia, hanno vita difficile. Occorrerà l'azione congiunta di istituzioni, associazioni, commercianti, consumatori. Saranno necessarie azioni di sensibilizzazione per ridurne l'uso indiscriminato.