La pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, costituisce una enorme minaccia per gli ecosistemi marini e compromette la corretta gestione delle risorse ittiche in modo sostenibile. Nonostante i provvedimenti assunti dall’UE e dagli Stati membri, tali misure non sono efficaci quanto dovrebbero perché i singoli Stati membri effettuano le verifiche e applicano le sanzioni in modi diversi. È l’amara conclusione della Corte dei conti europea, enunciata in una relazione speciale.
La Corte pertanto si vede costretta a raccomandare alla Commissione europea di vigilare affinché gli Stati membri rafforzino i propri regimi di controllo per impedire l’importazione nell’UE di prodotti della pesca illegale, e di adoperarsi perché vengano applicate delle sanzioni dissuasive contro la pesca illegale esercitata nelle acque dell’UE e degli altri paesi.
L’Unione europea è uno dei principali attori globali nel settore della pesca, sia in termini di flotta peschereccia (con circa 79 000 navi), sia in qualità di maggiore importatore al mondo di prodotti ittici (il 34 % del commercio totale a livello mondiale). In linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile, l’UE si è impegnata a porre fine alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata entro il 2020, ma non vi è riuscita. In ogni caso, non basta assicurare la legalità di un prodotto per garantire che quest’ultimo provenga da fonti sostenibili.
Nel 2008 l’UE ha istituito un sistema di certificazione delle catture al fine di garantire la legalità dei prodotti della pesca importati. Secondo la Corte, tale sistema ha migliorato la tracciabilità e ha rafforzato i controlli sulle importazioni, ma i controlli eseguiti dagli Stati membri non sono uniformi. Il sistema di certificazione delle catture dell’UE è basato su documentazione cartacea, con il maggior rischio di frode che ne consegue, mentre sarebbe più efficace – sostiene la Corte – un’unica banca dati elettronica a livello di Unione. In realtà, la Commissione europea ha sviluppato un sistema informatico a livello di UE per svelare più facilmente le frodi e automatizzare i controlli, ma nessuno Stato membro lo utilizza. La Commissione ha proposto di renderne obbligatorio l’uso.
La Commissione e il Consiglio, qualora reputino carenti i regimi di controllo in atto in paesi non appartenenti all’UE che esportano prodotti ittici nell’Unione, possono intervenire emettendo cartellini “gialli” o “rossi”. Quando viene attribuito un cartellino rosso a uno di questi paesi, gli Stati membri dell’UE sono tenuti a respingere tutte le importazioni di prodotti della pesca provenienti dai suoi pescherecci. La Corte ha riscontrato che il sistema dei cartellini si è rivelato utile, innescando riforme nella maggior parte dei paesi a cui è stato applicato.
Agli Stati membri spetta verificare l’attività di pesca condotta dalla flotta battente la loro bandiera e nelle loro acque. La Corte ha constatato che le verifiche nazionali hanno spesso rilevato casi di pesca illegale. Ciò nonostante, in alcuni Stati membri persistono, a causa di scarsi controlli, volumi di pesca eccessivi e una comunicazione incompleta delle catture. La dichiarazione errata delle catture costituisce l’infrazione più comune commessa dalla flotta dell’UE, a cui fa seguito la pesca in zone di divieto o senza contingenti assegnati e l’utilizzo di attrezzi illegali. È ampiamente dimostrato, stando alla Corte, che è problematico imporre il rispetto dell’obbligo di sbarco e che i rigetti illegali in mare continuano. La Corte ha inoltre constatato che i progetti finanziati dall’UE sottoposti all’audit avevano concorso a rafforzare il regime di controllo della pesca.
La relazione speciale 20/2022 intitolata “Azione dell’UE per contrastare la pesca illegale – Regimi di controllo in atto ma indeboliti da verifiche e sanzioni non uniformi applicate dagli Stati membri” è disponibile sul sito Internet della Corte dei conti europea.