Il fenomeno dei lavoratori migranti nelle campagne assume dimensioni sempre più imponenti. Ne abbiamo avuto la prova durante il disastrato 2020 quando, per via dell’emergenza pandemica, le operazioni di raccolta hanno subito pesanti rallentamenti per via della mancanza dei lavoratori. Il contributo strategico che i migranti danno al settore agricolo nazionale, testimoniato dai dati statistici ufficiali dell’Inps, evidenzia come, nel 2018, era straniero il 37% degli operai a tempo determinato in agricoltura (+ 2% rispetto al 2014), di cui il 41% di origine comunitaria. Il fenomeno è, dunque, particolarmente significativo.
Non sfugge che la questione lavoratori in agricoltura sia legata a doppio filo sia alle condizioni di lavoro che, seppur stagionale, deve conferire la necessaria dignità alle persone che mettono in atto prevedendo i giusti diritti, allo status di cittadini. Negli ultimi tempi, anche grazie all’opera di denunzia del sociologo Omizzolo, che ha investigato lo sfruttamento dei lavoratori indiani nell’Agro pontino, si è potuto apprezzare come lo sfruttamento della forza lavoro irregolare o del tutto clandestina, abbia prodotto fenomeni di distorsione del mercato e soprattutto sfruttamento di persone, abbia contribuito a creare la tratta.
Sulla base di questo fenomeno è nato il progetto “Formazione Opportunità e Risorse per Migranti in Agricoltura”, il F.O.R.M.A. E’ finanziato dal Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione del Ministero dell'Interno programmazione 2014-2020, che sostiene progetti per la Prevenzione e il Contrasto dello Sfruttamento Lavorativo in Agricoltura. Il progetto mira ad offrire la giusta formazione professionale ai migranti, preparandoli in questo modo al lavoro nei campi, cercando in questo modo di favorire l’incontro tra domanda ed offerta di manodopera.
L’iniziativa ha lo scopo di promuovere l’emersione delle condizioni irregolari di lavoro di cui sono vittime, reali o potenziali, i lavoratori stranieri regolarmente presenti sul territorio, impiegati nel lavoro agricolo, e di costruire le condizioni per la regolarizzazione e la continuità dei rapporti per i migranti che lavorano in questo settore.
Attraverso un percorso formativo che attraversa quattro macro aree, sviluppate nel corso di 20 mesi, verranno esercitate attività di informazione rivolte ai lavoratori stranieri impiegati in agricoltura, con particolare attenzione ai rischi soggettivi e oggettivi della loro condizione, di sensibilizzazione e responsabilizzazione dei datori di lavoro, anche in merito ai contesti di accoglienza. Saranno poi sperimentati modelli di intervento che favoriscano l’emersione delle situazioni irregolari, la stabilizzazione dei lavoratori migranti e il miglioramento delle loro condizioni reddituali, abitative e relazionali nei contesti di accoglienza. Il tutto con il coinvolgimento delle comunità migranti e delle comunità locali, per giungere a percorsi di accompagnamento finalizzati all’uscita dalle condizioni di sfruttamento, irregolarità e vulnerabilità.
Il percorso prevede il coinvolgimento di 5 regioni (Liguria, Lombardia, Piemonte, Marche, Valle d’Aosta) e 22 partners, sotto il coordinamento del Consorzio Kairòs.
L’allarme lanciato è la conferma di come ormai, per gli addetti ai lavori, è una realtà consolidata A significativo impatto in tema di integrazione economica e sociale dei migranti. L’idea di fondo di tale scelta è la convinzione che si possano conciliare le esigenze specifiche del lavoro in agricoltura (stagionalità dei raccolti, mansioni non specializzate, ecc.) con un impiego equo della manodopera straniera e che il suo contributo rappresenti un’opportunità e non un problema per i percorsi di sviluppo delle aree rurali.
L’Uci aderisce al progetto grazie alle competenze sviluppate nel corso del tempo. “Non potevamo non prendere parte al progetto – spiega il presidente Serpillo – è nostro preciso impegno tutelare allo stesso tempo la salute ed i diritti dei lavoratori e le realtà produttive del settore primario”.