Immatricolazioni ai corsi di laurea che parlano di agricoltura e agroalimentare in calo (-3% nell'anno accademico 2018/19 rispetto al precedente). E’ il terzo anno di fila che ciò accade. La fonte è attendibile in quanto si tratta dei dati pubblicati dall'anagrafe universitaria del Miur. Vanno bene, invece, i laureati, iscritti nel periodo 2010-2015.
Se le iscrizioni agli atenei italiani sono in aumento, è diminuito l'appeal per le materie agrarie. Nell’anno accademico 2018/19, le immatricolazioni ai corsi di laurea in materie “agroalimentari” (indirizzi agroforestale, zootecnico, alimentare), sono diminuite del 3% (8.249) rispetto all’anno precedente. In generale le immatricolazioni sono cresciute dell’1,8% (298.614). Tra gli studenti che hanno scelto corsi di laurea agroalimentari, il 42% ha optato per l'indirizzo agroforestale, il 38% l'indirizzo alimentare, il 20% la zootecnia. Sul totale delle immatricolazioni di settore, le donne hanno rappresentato poco meno del 45%.
I dati relativi agli studenti che hanno conseguito la laurea triennale evidenziano invece una crescita, sia in generale (225.454 lauree triennali o a ciclo unico, +2%), sia per le lauree in materie “agroalimentari” (5.833 lauree triennali, +11%). Queste ultime sono state “agrarie” per il 46%, “alimentari” per il 39%, “zootecniche” per il 15%.
Il censimento dell’agricoltura del 2010 ha rilevato 13mila capi azienda laureati in “agraria”, circa il 22% dei 60mila laureati in “agraria” usciti dalle università tra il 1980 e il 2010. Tra il 2010 e il 2020, i nuovi laureati in “agraria” si stimano in circa 43mila.
Pur tenendo conto del grande patrimonio di esperienza agricola maturato nel nostro Paese e del sistema consulenziale che supporta i produttori, si tratta di un valore minimo, soprattutto davanti alla necessità di far fronte a nuove e complesse condizioni di esercizio dell’attività agricola (mutamenti climatici, uso appropriato della chimica, agricoltura di precisione, volatilità dei mercati, ruolo crescente di internet nella gestione dei rapporti diretti con i consumatori ecc.). Soprattutto in un Paese come l’Italia, dove la produzione agricola e l’industria alimentare rappresentano, col made in Italy agroalimentare, una quota rilevante del Pil e dell’export.