Le città italiane sono in ritardo nel predisporre piani di adattamento ai cambiamenti climatici e soprattutto alle cosiddette bombe d’acqua che, fra l’altro, stanno crescendo di numero e intensità. È l’allarme lanciato da uno studio del Politecnico di Torino apparso questo mese su Geophysical Research Letters e scritto da tre esperti di idrologia:Pierluigi Claps, Daniele Ganora e Andrea Libertino del Dipartimento di Ingegneria per l’Ambiente, il Territorio e le Infrastrutture del Politecnico di Torino.
La ricerca ha messo in rilievo nuove evidenze sul rischio climatico che derivano da una banca dati che unisce eventi storici e rilevamenti dalle reti di monitoraggio regionali. L’indagine esamina in particolare i nubifragi estremi italiani, ormai comunemente denominati bombe d’acqua e conclude che in alcune aree la loro intensità sta effettivamente aumentando.
Le piogge torrenziali di breve durata, tipicamente di qualche ora, mettono a dura prova i sistemi di drenaggio delle città e sono sempre più spesso causa di vittime, determinate dalla mancanza di preavviso, di conoscenze e di prudenza, soprattutto alla guida. A partire dal 2000, anno della grande alluvione del Po, la stragrande maggioranza delle 208 vittime censite dal CNR-IRPI nel progetto POLARIS sono state causate da alluvioni improvvise generate da forti nubifragi di breve durata. Molto spesso questi disastri sono avvenuti in aree urbane, che mostrano sempre di più la loro vulnerabilità rispetto a questi eventi, tanto intensi quanto improvvisi e concentrati geograficamente.
“Queste caratteristiche rendono ancora oggi molto arduo il compito della Protezione Civile di assicurare alla popolazione un sufficiente preavviso – spiega in particolare il Pierluigi Claps, docente di Idrologia e Protezione Civile – Questo rende a volte molto gravosa la responsabilità dei sindaci di indicare in tempi brevi le misure di emergenza da adottare, come insegnano i casi di Genova, 2011 e Livorno 2017. La preparazione della popolazione rispetto alle piene improvvise, le cosiddette ‘flash floods’, si può costruire preparando scenari di rischio nei quali si simulano eventi di pioggia di forte intensità per prevedere le conseguenze quando le opere di protezione non dovessero risultare sufficienti, come nel caso di Via Fereggiano a Genova”
La ricerca del Politecnico di Torino fornisce elementi proprio in questa direzione: i risultati sono basati sull’elaborazione di piogge torrenziali registrate in intervalli da 1 ora a 24 ore, tratte da una banca dati che non ha precedenti in Italia, costituita da circa 5000 stazioni che hanno funzionato nell’arco di un secolo, a partire dal 1915. Un campione rappresentativo di 1346 stazioni ha reso possibile rilevare, su base statistica che in alcune aree d’Italia la frequenza e l’intensità delle bombe d’acqua mostra tendenze all’aumento nel tempo, a causa della maggiore capacità dell’atmosfera di immagazzinare vapor d’acqua, grazie al riscaldamento globale. “L’Italia risulta un paese di per sé vulnerabile ad alluvioni e frane, ma la ricerca evidenzia che, indipendentemente dalla fragilità del territorio, è proprio il clima a mostrare una intensificazione dei suoi fenomeni estremi nel Nord-Est, in Liguria ed in altre aree del centro e del sud del paese” spiegano gli esperti.
“La complessità orografica e geografica dell’Italia non consente di concludere che vi sia in atto un aumento complessivo dell’intensità dei nubifragi nel nostro paese – aggiunge Andrea Libertino che ha affrontato l’argomento nella sua tesi di dottorato – Le analisi mettono piuttosto in luce specifiche condizioni locali, con aree dove l’aumento è statisticamente rilevante (triangoli rossi) ed altre dove è invece evidente il contrario. Quanto all’aumento della frequenza con cui si manifestano gli eventi, dare una risposta è difficile ed i risultati non consentono ancora conclusioni significative”.
Esaminando infatti l’andamento nel tempo dei ‘record’ nazionali di pioggia totale in poche ore, i ricercatori hanno rilevato che il ritmo con cui questi record vengono superati è cresciuto solo nell’ultimo decennio, e solo in alcune aree geografiche, senza però raggiungere l’evidenza statistica. “È stato possibile ottenere questi risultati – sottolinea Daniele Ganora, docente diProtezione Idraulica del Territorio al Politecnico – solo disponendo dei cento anni di osservazioni della banca dati I-RED, pubblicata dagli stessi autori sulla rivista Hydrology and Earth Systems Sciences, una delle poche raccolte al mondo in cui i nubifragi sono registrati alla scala nazionale per periodi così lunghi. Un archivio così cospicuo ha reso possibile adottare metodi statistici, denominati “record-breaking” mai prima d’ora utilizzati per misurare se la frequenza delle piogge estreme stia aumentando”.
“Finanziare la ricerca significa anche fornire ai cittadini elementi concreti su cui basare i propri comportamenti e le richieste da indirizzare ai propri amministratori – conclude Claps – In questo caso i risultati sono arrivati anche grazie a fondi che il Politecnico di Torino ha reso disponibili in autonomia ai propri docenti e ricercatori per compensare la scarsità di occasioni di finanziamento in ambito nazionale. Una proposta di ricerca su questo argomento, presentata in collaborazione con scienziati di fama interazionale di altre università italiane e del CNR, è stata recentemente bocciata dal Ministero per l’Università e la Ricerca nell’ultimo bando PRIN”.