Dopo l’alluvione in Romagna ed il disastro di Valencia, dopo il fallimento della Cop di Bogotà di ottobre, ci siamo chiesti cosa potessimo fare per evitare che l’attenzione di tutti non si allontanasse dalla questione climatica. L’UCI ritiene che prima di tutto si debba partire da una corretta informazione. Per tale ragione abbiamo intervistato il dott. Antonello Pasini, fisico del clima del Cnr. Ecco di seguito le domande che abbiamo posto e le sue illuminanti risposte.
Dottor Pasini, abbiamo assistito in questi giorni a quanto è accaduto a Valencia. Le immagini di fango e devastazione hanno scosso tutti e ancora si attende di capire l’entità dei danni. Ci può spiegare cosa è accaduto e perché?
Un fenomeno meteorologico abbastanza usuale, cioè il fatto che si sia staccata una massa di aria fredda dalle correnti che vanno da ovest a est alle medio-alte latitudini e si sia isolata più a sud, ha creato però fenomeni estremamente violenti a causa del contrasto termico molto forte con l’aria calda preesistente sulla Spagna, ma anche (direi soprattutto) per il fatto che sia transitata su un Mediterraneo occidentale molto surriscaldato dagli anticicloni africani, che sono la rappresentazione proprio più tipica del riscaldamento globale di origine antropica nel Mare Nostrum.
Negli ultimi anni tante alluvioni hanno colpito anche il nostro Paese, basti pensare alla Romagna o al fiume di fango che ha invaso Ischia, nel novembre di due anni fa. Che cosa sta accadendo nel Mediterraneo?
Il Mediterraneo è un hot spot per il cambiamento climatico, perché qui non solo sono aumentate le temperature medie, ma è cambiata addirittura la circolazione dell’aria. Ora sempre più spesso assistiamo a forti anticicloni africani che invadono la nostra penisola, portando grande caldo e siccità. Ma quando si spostano vediamo purtroppo anche l’altra faccia della medaglia, perché entrano correnti fredde che creano un contrasto termico molto forte, contrasto che viene alimentato di umidità ed energia dal basso, cioè dal mare surriscaldato.
Notiamo anche che gli stessi eventi naturali come le piogge non sono più quelli di un tempo. Hanno sempre più una connotazione catastrofale, a cosa la dobbiamo addebitare?
Questo è dovuto ai più forti contrasti termici nord-sud, cioè alla impronta digitale del riscaldamento globale nel Mediterraneo, e allo stato di vulnerabilità dei nostri territori, spesso antropizzati in maniera poco accorta.
Quale ruolo possono avere nel contrasto a cambiamento climatico le foreste e l’agricoltura?
Un grande ruolo. Esse subiscono gli impatti del cambiamento climatico, ma possono essere anche parte della soluzione, in quanto le foreste assorbono CO2 e l’agricoltura deve fare in modo di mettere meno gas serra: bisogna renderla sostenibile.
Questo è un concetto su cui anche l’UCI lavora. Un’ultima domanda; ieri è iniziata la COP29 a Baku. Ma in ottobre, l’ultima Cop colombiana è stata un fallimento. Quali azioni possono essere suggerite agli Stati?
Occorre riscoprire il valore del multilateralismo, perché in questo sistema complesso che è il clima in interazione con noi umani, dobbiamo capire una volta per tutti che siamo sulla stessa barca che rischia di affondare. Se permettiamo che qualcuno affondi ora perché più vicino alla falla, più tardi non avremo scampo neanche noi dei paesi sviluppati.